mercoledì 26 febbraio 2014

EPICAMENTE TEX - EPICA E PALLOTTOLE 1: L'ETERNO RITORNO

EPICA E PALLOTTOLE
1. Eterno ritorno o storie eterne?


Non mi nascondo dietro un dito: le storie di Tex sono (state a lungo) ripetitive [1].
Oltre dieci anni fa io stesso ho rinunciato da tempo con continuità mensile le nuove/vecchie avventure del ranger, limitandomi ad acquisti mirati e di storie autoconclusive (i “Texoni” di Magnus e Kubert; varie storie a colori). E il motivo era, appunto, quello della ripetizione delle storie. Cercavo qualcosa di più “nuovo”, in evoluzione: la formula di Tex, il personaggio Tex erano scolpiti nei canyon della Riserva Navajo, immobili nel tempo
Ricordo ancora il mio velenoso esordio sulle pagine della fanzine Ikhnaton (nel 1990!): riguardava constatazioni sul perché i persecutori degli indiani fossero sempre colonnelli e mai generali; perché ci fosse sempre una tribù indiana che migrava con l’aiuto di Tex e l’opposizione delle “giacche blu”; perché Tex fosse andato almeno tre volte a Washington a parlare con Ely Parker per una paventata revisione dei confini; perché in Canada ci fosse sempre una rivolta indiana risolta dall’intrepido ranger in missione north of the border; perché la tempia di Tex apparisse ancora ricoperta di pelle viste le non meno di 20 ferite di striscio e colpi con il calcio della colt dati alla stessa…
Attorno al numero 400 della serie la stanchezza nella produzione di idee di Nizzi sembrava irreversibile, e non pensavo che lui stesso potesse negarlo o offendersi di questa considerazione. L’albo doveva/deve uscire ogni mese (più un “Texone”, un Almanacco del West e un “Minitexone” ogni anno, i Tex Color...), e reinventare continuamente il West dopo 50’anni non è possibile, neppure ricorrendo a Plutarco [2].

Da allora molte cose sono cambiate: Mauro Boselli ha preso il posto di Claudio Nizzi come sceneggiatore principe, pur affiancato da altri autori; sotto la sua guida è iniziato e prosegue una meritoria opera di svecchiamento. Tuttavia alcuni elementi delle storie e soprattutto dei personaggi non possono essere toccati, perché questa e’ la filosofia dell’Editore [3]… ma, attenzione, questa é anche la coerenza interna del personaggio.


A questo punto qualcuno penserà che dietro la maschera di difendere l’eroe, dichiarata in premessa, io lo voglia affondare i colpi con velenosa ironia [4]: ebbene costui sbaglia.


Anche io sono cresciuto con Tex: i miei ricordi più antichi di un fumetto riguardano Il sentiero dei Broncos, Tex numero 188 del Giugno 1976: non avevo ancora 5 anni!
Anche io, crescendo, ho cercato delle letture più vicine alla mia età e più consone alla mia immaginazione e alle mie esigenze. Ma ancora oggi, quando leggo un nuovo Tex (anche i diversi “Texoni” o i “Color Tex” che pure, comprati occasionalmente, non mi hanno esaltato), trovo confortante ritrovare lo stesso eroe, gli stessi istinti di giustizia, la stessa netta distinzione del mondo in bianco e nero.
Qualcuno forse dirà che questo modo di caratterizzare gli eroi è superato. Che nonostante i cambiamenti, la messa in evidenza dei personaggi secondari delle storie (un po' il marchio di fabbrica di Boselli) Tex (come personaggio a fumetti) è vecchio. Che nel dire queste parole io stesso lo condanno.

Sinceramente, pur tenendo ferme le dichiarazioni sulla limitata variazione delle storie del ranger, ritengo che la creazione fumettistica preferita dagli Italiani [5] tragga valore proprio da questa ripetitività. Qui non si parlerà di gusti personali, ma di efficacia narrativa, di rispondenza a modelli culturali, di attese del pubblico che ripetono le attese del pubblico di ogni tempo.

Tex é nato come personaggio già “adulto” nel 1948, con tematiche, problematiche e soluzioni adulte, mature e decise, appunto: e questo ha condizionato la sua evoluzione come figura a tutto tondo [6]. Era un personaggio talmente forte da diventare paradigmatico, pietra dello scandalo: ricordiamo l’appassionante (e fuorviante) dibattito sorto negli anni ’70, mirante a rispondere al (per l’epoca) fondamentale quesito: “Ma Tex è di destra o di sinistra?”…
Quale altro personaggio italiano ha goduto di una così positiva ambiguità e quindi di una così positiva fruttuosa profondità [7]?

Qui si scateneranno le risate ilari dei detrattori del nostro caro ranger. “Ma come – mi chiederanno una volta ripresisi – Tex è profondo???”.
Beh, saro’ uno sciocco, ma il Tex maturo degli anni ’60 lo era. Sul personaggio-Tex si può dire tutto ed il contrario di tutto, e questo è un dato positivo: quando un’opera letteraria o un’icona cessa di essere oggetto di dibattito, allora ha esaurito le sue potenzialità di rappresentare altro oltre che sé stessa… ovvero cessa di essere icona.
E l’icona-Tex genera ancora discussioni: lo dimostrano gli stessi detrattori accaniti, le polemiche proprio sulla sua ripetitività e sul suo successo che dura.

A mio giudizio, se è vero che le storie basate sempre sullo stesso canovaccio possono apparire noiose alla lunga (e lo sono state proprio per me), esse tuttavia sono necessarie per rendere un personaggio seriale un personaggio eterno: nella sua complessità Tex è semplice. E' un vero eroe, un'icona quindi è necessariamente ripetitivo.
Questa affermazione di certo farà nascere più di una perplessità.
Il legame “ripetizione\iconicità” può sembrare assurdo in un mondo culturale in cui miti e successi durano pochi mesi (se non poche settimane) e poi si bruciano. In un mondo, tutto sommato, figlio del Romanticismo e del suo “genialismo”, influenzato da una visione parziale dell' “immaginazione al potere” del '68, la ripetizione sembra una bestemmia creativa. Eppure l'icona ha bisogno della ripetizione, o non sarebbe icona; e ha bisogno di fermarsi nel tempo, proprio perché rappresenta quel momento storico.
Si potrebbe obiettare che il tempo scorre, e che le cose cambiano. Che Marylin è un'icona popolare perché non abbiamo assistito alla sua decadenza. Ma si trascura la corrente sotterranea della cultura popolare, che si basa sulla continuità, sulla variazione minima sulle sue tematiche.

Le domande da porsi sono dunque diverse dal “ma perché si ripete”. Sono quelle che indagano se Tex sia davvero un'icona; se sia davvero figlio della cultura popolare non degli anni '40, ma di quella che è nata in Egitto o a Sumer, a Roma, e ha assunto una forma specifica nel Medioevo del'Europa Occidentale; in cosa segue questi modelli culturali e in cosa se ne discosta.

Rispondere alla prima domanda è semplice e insieme difficile, perché l'iconicità di un personaggio è condizionata dallo spazio\tempo in cui nasce.
Di certo Tex ha tratti iconici, se seguiamo la definizione data dal Dizionario Treccani [8]

Figura o personaggio emblematici di un’epoca, di un genere, di un ambiente

o da wikipedia [9]

Il termine icona (a volte anche icona pop) può essere usato per indicare una persona vista come modello da seguire negli ambiti più diversi di una società: cultura, spettacolo, moda, politica, economia, sport, eccetera. Nella cultura dell'immagine (cultura pop) è di frequente associata a immagini (icone) di personaggi molto seguiti dai media e in voga, che fondano uno stile, un look o un modo di vita che può essere invidiato, seguito o criticato dal pubblico e dalla gente comune.

Tex è icona perché è stato un modello per i fumetti successivi, per il cinema (non solo spaghetti-western) italiano e insieme è la sintesi di idee precedenti. Tex é l’anelito di giustizia, è il non arrendersi mai di fronte alla prepotenza, è colui che sa dove sia il bene e dove il male... e il bene è sempre la parte in cui sta Tex. In un'Italia da ricostruire dopo la guerra è colui che non delega, ma anzi non ha paura di esporsi per i deboli, e lo fa per l’unica ragione che gli altri sono deboli e che lui, invece, può fare qualcosa. È un eterno ingenuo, se vogliamo; un eterno fanatico, potreste dire; un eterno eroe, aggiungerei.
E' sicuramente figlio del superomismo del '900, che mescola tendenze anarchiche a tratti dell'etica gentiliana (il cavaliere solitario rappresentante e vendicatore della Giustizia, ma anche il “ranger” rappresentante della Legge).
Come i suoi epigoni Dylan Dog (che nel suo nucleo essenziale è l’eterno adolescente) e Martin Mystère (l’eterno curioso), anche Tex deve essere immutabile negli anni: cavalcherà sempre nelle praterie alla caccia dei criminali, dei prepotenti. E vincerà.
Tex è icona come Superman, come Orlando e come Artù: è una figura epica, ma di un’epica per il popolo, non epica alta per intellettuali.
E qui la prima domanda che di dovremmo porre davanti a Tex si salda con le successive: l'epica popolare si è sempre nutrita di storie ripetitive ed elementari… nel senso che riproducono costantemente e chiaramente sempre gli stessi elementi costitutivi.

Sento forte le risate dei miei avversari. Ma come, diranno: si parla di epica? Tex come Achille, Artù, Orlando?
Io dico di sì in modo altrettanto forte. Spero di poter dimostrare questa tesi nelle prossime puntate…


[1] Come detto, questa serie di scritti trae spunto da riflessioni fatte anni fa per rispondere all’articolo Dal vangelo secondo Tex, di Detritus, pubblicato in www.ultrazine.org/ultrapensieri/detritus02.htm; una risposta più dettagliata a quello che ritengo essere stato all’epoca il vero bersaglio di Detritus (ovvero la linea editoriale della Sergio Bonelli Editore) si troverà nell’articolo Oratio pro Tex.
[2] Detritus, nel suo articolo citato, erroneamente indicava in Polibio la fonte di trame per il Bardo inglese, ma ritengo si sia trattato di un lapsus calami. In ogni caso gran parte delle trame delle tragedie Shakespeariane di argomento classico derivano appunto dalle Vite Parallele di Plutarco.
[3] Ancora una volta si veda il futuro articolo intitolato Oratio pro Tex.
[4] Questo è il procedimento scelto da Detritus nel suo articolo.
[5] Ancora una volta: non parlerò dell'evoluzione della testata-Tex nel suo formato e (in parte) nelle sue tematiche; qui si vuole mettere in evidenza la continuità, nei confronti di forme narrative codificate e del passato editoriale del personaggio.
[6] Lo dimostrano i dati di vendita non solo degli inediti, ma anche delle ristampe, specie il successo di quelle (ricolorate) allegate a “La Repubblica”.
[7]Forse solo un altro delle colonne del “fumetto popolare” nostrano, il Diabolik delle sorelle Giussani, che proponeva un dilemma etico: un criminale convinto può essere un eroe? Badate bene: non un criminale costretto dagli eventi o pentito, ma un criminale ben lieto del suo ruolo!


PS: Le immagini sono tratte per lo più da albi della Sergio Bonelli Editore che ne è proprietaria: qui appaiono solo a corredo dell'articolo. Questo blog non ha fini di lucro

1 commento:

  1. il buon Detritus altrove mi commenta dicendo che la citazione di Polibio non era lapsus, ma voluta dicendoci
    "è senz'altro vero vero che Shakespeare abbia attinto a piene mani ad una traduzione inglese delle Vite parallele di Plutarco per i suoi drammi storici, ma è altrettanto vero che Plutarco stesso considerava Polibio la principale tra le sue fonti"
    presentando lungo e articolato curriculum che rivela la sua conoscenza delle fonti del Bardo.
    Noi registriamo, ringraziamo per la puntualizzazione e correggiamo!
    EugM

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