mercoledì 30 marzo 2011

30/03/2011 (Meno 83.238 al BigT) - Cantami di questo tempo

Dialoghi, che dolore!
Una trama mediocre può essere salvata da buoni dialoghi, una trama geniale può essere affossata da dialoghi mediocri.
Insomma: in un fumetto il dialogo (buono o brutto che sia) vale più dell'idea.
C'è poco da fare, funziona così, in ogni tipo di narrazione.
Qualcuno o molti non saranno d'accordo, io rimango di questa opinione.

Dunque il problema è come farli bene, questi dialoghi.
Scegliere il realismo? Credo sia sbagliato, in linea di massima. 
Perché il fumetto (così come il cinema, in fondo) **non può** essere totalmente realistico.

Innanzitutto per la forma oggettiva del medium: nessuna realtà è fatta di immagini fisse, di parole che vengono dette ma possono essere lette\interpretate con la velocità desiderata dal lettore\ascoltatore. Chi parla governa il tempo della realtà, nel fumetto governa chi legge.

Quindi, oltre al fatto che manca l'enfasi propria del realismo, nel fumetto non c'è lo spazio sufficiente per un dialogo realistico. Persino per un dialogo tra persone notoriamente laconiche.
Basta fare un esperimento: registratevi in una normalissima, banalissima conversazione. Poi "sbobinate". Poi rileggete lo scritto.
Non credo che nessuno abbia letto libri scritti in questo modo, neppure in un delirio di un James Joyce in acido.

Ok, allora opzione due: usiamo un linguaggio "da fumetti".
Oltre al fatto che "linguaggio da fumetti" è un'espressione che sembra essere pronunciata sempre e comunque accompagnata dal ghigno di disprezzo di uno snob intellettualoide… cosa intendiamo con linguaggio "da fumetti"?
L'idea che suggerisce è qualcosa di artificioso, innaturale, limitato, appunto, al fumetto e escluso per questa stessa ragione dal realismo o, addirittura, dalla verosimiglianza.
E su certi dialoghi in certi fumetti sono anche d'accordo.

Però, se è riconosciuto e accettato come "da fumetti", vuol dire che si potrebbe\dovrebbe usare per fare i fumetti, no?

Ricordo quando partecipai a un concorso per un porno a fumetti, bandita dalla rivista leader del settore patinato. Pardon, la rivista era “erotica” (ed edita curiosamente da uno spettabile editore che ha come cognome il nome di un animale notoriamente assai prolifico).
Il problema non era la storia, ma i dialoghi. 
Innaturali, non “suonavano” affatto.
Quindi sono andato a leggermi con occhio critico alcuni “capolavori” del genere, leggendoli per trarre spunti. E lì, vista la criticità e lo “straniamento” necessario per leggere siffatti immortali versi, ho capito che il linguaggio del porno non è assolutamente verosimile. Per lo meno non rientra nella mia esperienza diretta!

“Usa l’esperienza diretta, allora!” mi dissi. Sarà stato il lieve rossore che arrossò le mie guance, sarà il senso di colpa atavicamente italico che nel campo dà effetti opposti, ma anche il realismo non funzionava.

Così ho ripreso il “dettato” dei maestri e ho fatto dialoghi artificiosi seguendo il loro modello.
Dialoghi che ancora oggi mi sembrano assolutamente inverosimili, ma che chi ha letto il fumetto “da estraneo” ha trovato tutto sommato nello standard del genere.

Quindi il problema è trovare lo standard del genere, qualcosa che non è realistico, né inverosimile. 
Qualcosa che sia efficace per il fumetto che si vuole raccontare.

Diamolo per buono. Ma quale è il modello di un "linguaggio da fumetti", di un fumetto di avventura come aspira ad essere DanG.E.R.?
Quello magniloquente di Stan Lee? Quello epico e tagliente di un Gianluigi Bonelli prima maniera? Il poetico e spesso criptico di Gaiman? Le mille variazioni di Alan Moore? Il volgarotto geniale di certi pezzi di Ennis?
Il verboso ammaliante e stordente (detto in senso positivo, naturalmente) di Alfredo Castelli in versione "Martin Mystère a ruota libera"? (Quanto vorrei saper scrivere come Castelli, invidia invidia invidia!)

Purtroppo alcuni di questi stili sono invecchiati (ovviamente), altri sono limitati al loro campo specifico, altri esempi sono meno illustri di quelli sopra citati, e meno efficaci.
Nessuno corrisponde esattamente a ciò che vorrei fare con DanG.E.R.: non riesco a "sentire" Daniel mentre parla come un BVZM o come Rorschach o come Jesse Custer.

In realtà la verità sta come sempre nella banalità: ogni autore deve trovare il suo stile di dialogo. 
E questo stile deve adattarsi ai personaggi che di volta in volta si creano.

Banale perché vero e sacrosanto.

Un dialogo non può essere completamente realistico, mimetico, nè innaturale, troppo immaginifico.
Non può essere realistico oltre un certo livello, non può essere un "linguaggio altro" troppo distante dalla realtà.
Insomma: l'optimun si trova a metà strada, come sempre e naturalmente.

Ritorniamo sempre lì: chi scrive deve tener conto del medium che ha a disposizione, e della storia che vuole narrare.

Se vogliamo la lingua del fumetto "realistico" (con tutte le virgolette del caso nell'uso di questo termine) è simile al "doppiaggese" su cui mi ha aperto gli occhi la mia girl. Avete mai ascoltato con attenzione i film tradotti dall'inglese?
Ma davvero davvero davvero?
Sono zeppi di costruzioni che ormai ci sembrano normalissime perché le abbiamo ascoltate in decine di film e telefilm... ma che, a pensarci bene, abbiamo ascoltate solo lì.

Ad esempio il generico "amico" (che dubito sia mai stato usato come appellativo in Italia prima dell'invasione del cinema Hollywoodiano) che traduce indifferentemente gli inglesi mate, buddy, horny, man.

O il "fottuto" che tanto impera nei nostri film di duri realistici... Che in realtà è un calco del fucking ammmmerigano, usato anche per esigenze di lunghezza.

Dopo aver riflettuto sul fatto che
Proprio il doppiaggese, criticatissimo fin dagli esordi, diventa un po’ alla volta la vera lingua italiana a cui tutti inconsciamente aspirano.
torniamo proprio al "fucking" e alla parolaccia.
Come inserire le parolacce in un fumetto senza che sembrino forzate? E ha davvero senso inserire quelle che un tempo erano espressioni volgari, ma che nella quotidianità hanno quasi perso il valore trasgressivo, aggressivo ed offensivo?
Zoat!, ne parleremo nel prossimo post, perché mi sembrava "giusto" che Daniel dicesse un sacco di parolacce.

giovedì 17 marzo 2011

17/03/2011 (Meno 83.251 al BigT) - Come è complicato finire

Ci siamo lasciati quasi due mesi fa con un "angoscioso" punto in sospeso. I problemi del finale.
Poi sono arrivate le prime immagini.
Poi ho dato a Max la revisione della sceneggiatura del primo capitolo.
Poi sono di nuovo qua, a togliervi la curiosità (se ne è rimasta).

Ho raccontato delle difficoltà dell'inizio. Quello che deve catturare, farti leggere fino in fondo.
Ma questo è nulla in confronto ai problemi dati dal finale.
Per me, almeno.
Perché in una struttura a tankobon come quella che ho immaginato per DanG.E.R., il vero gancio è tutto il primo episodio.
Non bastano le prime tavole: l'inizio vero e proprio deve portare il lettore fino a tavola 22 del primo capitolo. Ma è il finale del capitolo che convincerà a leggere gli altri.
O vi farà gettare via l'albo.
O vi farà dire "Grandi disegni, pessima storia".

Insomma: nella mia idea di come sarà DanG.E.R., il finale del primo capitolo deve essere uno snodo cruciale.
Non dimentichiamo che se non immaginiamo un buon finale (o almeno uno che speriamo lo sia!) non ci sarà mai una buona storia. E qui il finale del capitolo deve essere il traino per i capitoli successivi. Perché nel volumetto di DanG.E.R., immaginato come un tankobon, le storie devono essere molto trinitarie: indipendenti ma interdipendenti, una storia in cinque parti, ma anche cinque storie diverse...
"Ma perché complicarsi la vita così?" forse mi chiederete.
E' che DanG.E.R. vive in un mondo frammentato eppure unito da un grande problema, e quindi questo mi pareva il modo migliore di rendere anche graficamente la storia.
Poi il tempo e la carta vi\mi diranno se sono in grado di reggere questa ipotesi di lavoro.

In fondo, qualcuno ben più esperto di me e ben più autorevole (continuo i miei sperticati complimenti a Fabio Bonifacci e al suo corso, ovvio!), dice che

se trovate uno sceneggiatore che dice “ho un grande finale”, staccate un assegno e fategli firmare un’opzione. Quello ha un buon film.
Ma dice anche
se avete un buon personaggio, una buona trama e uno sviluppo appassionante, il finale si scriverà da solo.
Beh, ciò che accade nel finale ce l'avevo in mente fin dall'inizio. Non so se questo sia positivo (cioè ho davvero un buon personaggio, una buona trama e uno sviluppo appassionante) o non ho capito niente e sono in preda a un delirio acritico di autoesaltazione.
Mi andrebbe benissimo se la verità fosse nel mezzo: né capolavoro né ciofeca, ma funzionale e dignitoso. Perché il finale che ho immaginato mi piace. E mi piace anche pensare che, se lo leggessi scritto da un altro, lo apprezzerei.

Il finale, dunque.
Riscritto tre volte, finora. Non tanto per quello che succede: come ho detto è stato deciso fin dall'inizio, è una chiusura del primo capitolo ed è il sentiero che porterà il nostro eroe fino al termine del tankobon.
Ma è stato riscritto per rendere al meglio l'atmosfera, l'idea del tipo di narrazione che sta dietro.
E questa idea si è definita meglio non appena leggevo le bozze di finale.
Che ci volete fare? Nonostante la mia veneranda età, sono ancora un novellino nella scrittura, e sto cercando la mia strada mentre la percorro.
Ma forse è sempre così, quando si crea.

Il finale, dunque.
Inizialmente era molto classico, un finale dove "succedono cose". Fine della prima missione, minaccia del cattivone che lascia aperta la sfida alle evoluzioni dei capitoli successivi. L'apparizione di qualcosa legata al passato di Dan. Stuporone di Dan, nuove speranze, musiche e titoli di coda, appuntamento al capitolo due.
I dialoghi avrebbero dovuto essere un semplice corredo a ciò che avveniva.
Poi una riflessione: per tutto il primo capitolo Daniel corre dall'inzio fino a (quasi) la fine.
Perché farlo correre ancora? Perché concentrarci su ciò che aggiungevo in queste tavole?

Così ecco l'idea della pausa.
Non la pausa che precede il salto, la pausa per prendere il fiato.
No, la pausa quando il salto è compiuto, l'esibizione è finita, le luci si spengono, e l'attore rimane da solo.
A dirsi: questo lo potevo fare meglio.
O, semplicemente: mi fanno male i piedi, vorrei un bel bagno caldo.
Che Dan sappia saltare, lo avete visto nel promo, e lo vederete nelle prime 18 tavole.
Ma mi piacerebbe che Daniel Knight non fosse solo l'ennesima variazione del tipo "scavezzacollo ma duro". Che dietro il sorriso sbruffone ci fosse una storia, dei ricordi, una personalità. E in una narrazione che fa del tempo il suo leit-motiv, la storia personale è necessaria.
Meno stereotipa possibile.

Quindi le ultime tavole si sono trasformate: c'è tutto quello detto sopra (mi serve per i capitoli successivi!), ma ciò che avviene fuori non può essere l'unico fulcro.
Queste tavole devono essere la pausa per approfondire Daniel.
Ma come renderlo in maniera adeguata?

Dopo una riflessione ho avuto la folgorazione di... oibò, sì, di "Scrubs".
Avete presente gli episodi?
Il buon vecchio JD, alla "fine" di tutto ciò che è avvenuto, riflette con la sua voce fuori campo, e le sottotrame di quell'episodio (in realtà le diverse articolazioni della stessa tematica) trovano la loro unità e spiegazione. La morale della storia.
Mi piaceva poco l'idea della morale, ma la voce fuori campo sì. Tant'è che l'ho inserita anche nelle tavole precedenti.
Ecco quindi il tentativo e subito ecco la prima difficoltà: i tempi verbali della tv (e in generale del video) sono più "stretti" di quelli della vignetta.
Mi spiego: in dieci secondi ci stanno trenta parole (specie in inglese!) ma trenta parole di commento soffocano una vignetta...
Siamo in un fumetto, quindi dobbiamo far vedere, e dire il meno possibile. Così dice la regola.

Il buon Ilsu potrebbe avere da ridire sul fatto che sia arrivato a questa conclusione solo ora.
Perché se le didascalie soffocano, il disegnatore si deve dannare l'anima per trovare spazio nelle vignette anche al disegno. E così è costretto a rallentare e a non portare a termine delle storie affidategli da un qualche sceneggiatore anni e anni prima...
(Come avrete capito, Sergio, noto Ilsu, userà di certo questa motivazione se gli richiederò notizie de "Il prezzo della verità"!)
Se ci fosse questa obiezione replicherei al buon Ilsu che in quel fumetto la dissociazione testo\vignette era resa necessaria dal tipo di storia. E anche dal fatto che la storia andava decisamente meglio divisa in 6 tavole e non in 4, come qualcuno mi ha costretto a fare per fantomatici problemi di tempo. :-P
E che quindi l'abbondanza di testo fu dovuta proprio a questa riduzione delle tavole.
Certo, non all'inesperienza dello sceneggiatore, non ancora giunto alla considerazione che in un fumetto spessissimo è "meglio togliere parole che aggiungerne" :-p.

Il punto è proprio questo.
Il fumetto è fatto di immagini e parole. La regola del "non dire ciò che puoi far vedere" trova il limite proprio nel fatto che non tutto si può far vedere.
Certo, si possono usare simboli, trovare il montaliano "corrispettivo oggettivo", e così si può evitare che i pensieri restano confinati al campo del testo.
Ma il ridotto spazio a disposizione rende spesso impossibile far vedere tutto attraverso il simbolo.

Da questa riflessione è nata l'ultima versione, l'idea del compromesso alla Frank Miller: le bocche\balloon dei personaggi dicono una cosa, e le didascalie\pensieri dicono un'altra.
Didascalie che fanno della sintesi il loro punto forte.
Sintesi che però, lo vedete da questi post, non è ancora il mio forte...

Panico: vuoi vedere che se Max non trova in breve il tempo di disegnare, mi sembrerà necessaria una quarta versione?

P.S.: abbiamo parlato di tankobon e lo stile di Max è Global Manga... Il pensiero, ovviamente, non può che andare alla catastrofe in Giappone. Anche lì c'è stato un doppio BigT (terremoto e tsunami), e sembra che il peggio possa ancora arrivare. E' indubbio che senza l'orrore nucleare del 1945 anche le riflessioni sui limiti e sui rischi della scienza, che stanno alla base dell'idea di DanG.E.R., non sarebbero nate. 
Ma qui si parla di metafore e invenzioni, lì è tragedia e realtà.

giovedì 3 marzo 2011

03/03/2011 (meno 83.265 ) al BigT - Tempo di colorare...


Ed ecco un tocco di colore al promo di DanG.E.R. realizzato un po' di tempo fa.
I testi sono i miei, matite e chine di MaxD, colori di Flavio Naspetti.
Anche se, per quello che si prospetta, il promo sarà un elseworld, godetevi un post-TiranoAttack interpretato da Daniel Knight!