sabato 9 maggio 2015

TANK GIRL - UN INDICE (tranquilli, non è il medio)



A chiudere, ecco i link alle diverse parti della mia disamina su Tank Girl (TG per i canguri), nati dalla sfida lanciata da Cinematografia Patologica.

1. L’intro. Ovvero: come una sfida tra analitici di media diversi ha portato a tutto questo. Ne ho parlato QUI

2. Pubblico ideale e idee (?) dietro TG. Ne ho parlato QUI

3. La nostra eroina (nessuna ambiguità, please!) sotto i riflettori. Ne ho parlato QUI

4. Parliamo un po’ dei comprimari. Ne ho parlato QUI

5. Due-idee-due su Jamie Hewlett in Tank Girl. Ne ho parlato QUI

6. La Conclusione, per tirare un po’ di somme. Ne ho parlato QUI


PS: come sempre l'immagine è presa dal web e non mi appartiene. Anche per oggi questo blog non ha fini di lucro!


TANK GIRL - Tough Gurls 'r' linvin' in eighties




“Come sarebbe… un sogno?”
Da Tank Girl Episodio Quattro, Febbraio 1989

TANK GIRL, UN'IPOTESI DI CONCLUSIONE:

COSA RESTERA’ DI QUEGLI ANNI OTTANTA


La canzone della Royal Air Force e gli arguti sproloqui dell’Autoptico diPellicole ci portano all’inevitabile conclusione di questa gita nel bush degli Antipodi.
Ovvero: perché Tank Girl è stato un fumetto di culto, e perché resterà scolpito nei nostri cuori (insomma: nei vostri, io non ho pettorali scolpiti con il carrarmato né tatuaggi “Mamma perdonami” sul cuore).

“Punk is not dead”, si diceva una volta, e forse si dice ancora. Anche se, leggendolo sulle spilline prodotte in fabbriche orientali e che vengono vendute nel supermegastore di libri e varia, uno si potrebbe chiedere se qualcuno stia prendendo per c*lo il detto movimento o se si tratti invece di un messaggio dall’aldilà di qualcuno più morto della disco (più o meno gli stessi anni, tra l’altro).
Lo stesso Raf è stato in origine punk, e poi si è evoluto in altro, così come Lindo Ferretti e, shame on you punkettari, Jo Squillo. O i Frankie goes to Hollywood e mille altri.
I buoni Hewlett e Martin hanno cavalcato qualcosa che apparteneva a loro, e insieme non c’era già più come fenomeno globale, se non come radiazione di fondo o DNA mitocondriale: TG come canto del cigno, dunque?

Come sottolineato in precedenza, più che l’aspetto davvero distruttivo del punk, i due in TG hanno profuso l’aspetto sca##ato. Niente ribellione, ma solo dei bambini in un corpo cresciuto che ca##eggiano allegramente con qualsiasi cosa venga in mente.
Niente contestazione dell’ordine costituito, se non in una versione estremizzata di Animal House. Nessuna protesta che ha afflato di libertà in senso filosofico: solo divertimento, realtà alterata dal troppo alcool (e da qualche canna) e il gusto di serate tra amici in cui si parte dall’assurdo (“Te li immagini dei Canguri Mutanti?”[1]) e si finisce a una tizia che i canguri se li fa.

La libertà richiesta non è quella di espressione “alta”, ma quella del tredicenne che vuole farsi le regole del mondo. Di chi confonde la libertà con l’anarchia spiegata da mia nonna (non quella filosofica, né quella in UK, né quella di V for Vendetta: ma la semplice assenza di regole, il Verwirrung di cui parlava nella sua opera l’ex punkettaro zio Alan Moore).
Ridiamo non perché stiamo “epatando les bourgeois”, ma perché abbiamo suonato il campanello del vicino alle tre di notte e poi ci siamo messi subito a scappare. Non c’è lotta al sistema, non c’è il postatomico nichilista à la Druillet de “La notte”: ci sono Tex Avery e Wil E. Coyote, una violenza troppo finta per essere credibile e ben poco simbolica.

Ci sono tette, birra, case disordinate, canne, donne, canguri. Non ci sono i genitori che protestano. Quando ci sono, li facciamo saltare in aria.
E tutto questo senza il minimo afflato di libertà o lotta per la sopravvivenza: TG, a prescidnere da seni e sederi ben formati, è un fumetto piatto, quasi uguale a sé stesso dall’inizio alla fine.
E’ un fumetto di evasione da un carcere che non esiste e che non è imprigionante.
E’ un sogno di adolescenti, che dura da grandi solo perché ci ricorda di quando eravamo giovani e stupidi, e non perché da grandi vorremmo davvero che il sogno si realizzasse.
E’ un’altra delle vacuità tanto anni ’80, che sarebbero confluite anni dopo in un Preacher qualsiasi, o in una band che esiste ma non si può vedere.

E’ la storia-nonstoria di una ragazza su un carro armato, perché…
“Perché non ci mettiamo una ragazza su un carro armato?”

“Punk is not dead”: sarà poi vero?
Basta intendersi sul termine punk. 



[1] A proposito di mutazione: se volete deliri divertenti con una vena polemica e di contestazione della società ben più mirati e “seri” nella loro follia, leggetevi “Muflone Insano vs Pecora Mutante” e il suo seguito “La rivincita del Muggine di Caucciù”, del mitologico Giallo. Capirete cosa si intende con “Trasmutazione identitaria” e tra una risata e l’altra vi resterà davvero quel sottofondo amaro che è il primo segnale della riflessione seria. Siccome si tratta di un grUllo parlante, schiacciatelo, e poi tornate alla playstation. Se potrete.




PS: mentre scrivevo questi articoli sciammanati, avevo spesso in sottofondo Leonard Cohen con le canzoni che scoprirete cliccando QUI.
Che c’entra con TG, direte voi?
Nulla. Ma mi andava, era in opposizione a quanto stavo facendo… e quindi corrisponde pienamente allo spirito sca##ato di TG, no?
Enjoy.


 

(Ma se proprio volete una donna che canta canzoni di un tipo duro che sta in un deserto postatomico... anche se vive nel pieno degli anni '90...)

PS: come sempre immagini, video e quant'altro non mi appartengono e sono stati presi dal web a corredo di questa analisi, finalmente giunta alla fine (ho parlato più di TG che di fumetti che mi hanno rubato il cuore!). Questo blog, se proprio avete bisogno che ve lo ripeta ancora una volta, è senza fini di lucro.

venerdì 8 maggio 2015

TANK GIRL - Dai canguri ai Gorilla(z), sempre di animali si tratta?


JH ci tiene ad apparire sempre come una persona seria

Lo stile del fumetto è fortemente influenzato dall'arte visiva punk
e le strisce sono spesso profondamente disorganizzate, anarchiche, assurde e psichedeliche.
La produzione del fumetto fonde vari elementi con richiami alle tecniche surrealiste,
fanzine, collage, tecnica di cut-up, flusso di coscienza, e metafiction,
con poco riguardo o interesse per la trama convenzionale
o la narrativa impegnata.
Parola di Wikipedia


JH E METAFUMETTO
OVVERO: PERCHE’ TG VALE LA PENA

Una tipica tavola di Hewlett 

Se siete rimasti ammaliati dalle immagini del film, beh, quelle del fumetto sono migliori.

Perché la vera ragione di leggere TG, se non siete dediti allo sballo più intenso, sono i disegni di Jamie Hewlett.
Curatissimi, folli quando serve, con volti espressivi all’eccesso ma non caricaturali, con una composizione della tavola variata e dinamica.
Il tratto del nostro sembra trovare il suo meglio nel bianco e nero delle prime storie più che nel colore: questo gli consente di inserire dettagli accurati anche nelle microvignette che talvolta costellano le tavole, e insieme di caratterizzare ampi spazi, degni dell’outback. Insomma: se “vuota” Australia fu scelta, questo non nasce da pigrizia di disegno, come maliziosamente insinuato da Alan “Caino” Martin! [1]

Lo stile personalissimo, fatto di sapiente alternanza di realismo e deformazione, capacità di rendere le scene di delirio “lento” così come quelle d’azione frenetiche, nasce da influenze diverse che vanno dall’animazione per la televisione (Hanna &Barbera, Chuck Jones, Tex Avery) ad autori inglesi quali Ronald Searle o Mike McMahon (Judge Dreed, Slàine, solo per citare alcune sue opere), ma anche Moebius, Tony Hart e Liberatore, fino a MAD Comics.

Le tavole di Hewlett, insomma, sono gioie per gli occhi, e rendono efficacemente quel disimpegno che sta alla base della serie. 
Si vedano ad esempio i nudi di TG, parziali o totali (ma mai full frontal), che costellano gli episodi: l’esibizione del corpo non è volgare, ma nello stesso tempo ha ben poco del sensuale che ci potremmo aspettare dalla nudità femminile in altre serie. Il nudo è esibito perché fa parte della libertà del personaggio, così come il sesso, più accennato che esplicitato: non c’è torbido che tenga, non c’è passione travolgente, non c’è malizia. I disegni sembrano dirci che se ci fosse una valenza anche contestatrice del nudo, questo appesantirebbe.
Le Femen guardino da un’altra parte, non a TG, seppure la nostra tipa tosta sfoggi capezzoli in fuori quasi in ogni storia.

Se le grazie femminili sono “innocentemente” mostrate, il pene maschile è spesso enorme, gigantesco, inteso in erezioni sproporzionate, anche se pudicamente (censura docet) coperto. Anche questo contribuisce all’atmosfera ca##eggiona: è come una gara continua a mostrare chi ce l’ha più lungo, il tutto non per giungere a un primaverile cozzo di corna d’alci in calore, ma solo per il gioco di burlarsi dei compagnetti meno dotati.

E questo livello di burla arriva a toccare l’aspetto linguisticamente per me più interessante di TG (no, non è la lingua della nostra carra(r)mata intrecciata a quella di Booga né le parolacce): ovvero il metafumetto.

Fin dal primo episodio TG è consapevole di essere un fumetto: parla con i lettori!
Se nelle didascalie sono gli autori a rivolgersi direttamente al loro pubblico, alla conclusione è TG a esporre la sua morale della storia (folle e sconclusionata, ovviamente) parlando con chi ha in mano le pagine della sua storia.
E di lì non si fermerà più. A puro titolo di esempio possiamo ricordare come nel secondo numero la sua consapevolezza culmini con un 

“Questo sì che è un cambio di pagina!”

e nel terzo anticipi lo spunto di trama: 

“[…] e ora nel terzo ho alle calcagna uno dei cacciatori di taglie più bastardi d’Australia!”


Insomma: un personaggio del fumetto che ammazza a destra e a manca, beve, rutta e sa di essere un fumetto… perché, pensavate davvero che Deadpool avesse inventato qualcosa?

E ora, andate dai Cinematografari per il loro rush finale, e poi tornate qui per il MIO (Ian) rush finale. Vi aspettiamo (nientemeno che) col post punk per eccellenza di casa nostra: Raffaele Riefoli, in arte Raf!

[1] L'abbiamo citato nella seconda parte della nostra analisi e qui lo ricitiamo:

“Jamie ha sempre sostenuto di aver scelto l’entroterra come ambientazione […] perché era completamente piatto e senza edifici, quindi facile da disegnare. Credo c’entri qualcosa anche Paul Hogan e il primo film di Crocodile Dundee, di cui eravamo grandi fan. E, ovviamente, Mad Max. In ogni caso era abbastanza lontano da Worthing da sembrarci un altro pianeta – un’ambientazione perfetta per immaginarci la vita fuori di testa della nostra ragazza”. 
Parola di Alan Martin.


NB: come al solito immaginitesticanzoniecc non sono miei ma sono tratti dal web a corredo di questo articolo di analisi (o, insomma, di cosa sia diventato nel tempo). Cmq invito i Canguri Mutanti a non farmi causa perché questo blog non ha fini di lucro.