mercoledì 18 aprile 2012

LA SINDROME DI PROUST (meno ?.? al BigT)



Si sa che, ancora la notte prima di morire, Marcel Proust ricevette il suo editore. Lo scrittore sentiva la morte come ormai inevitabile, e diede (letteralmente) le ultime indicazioni per dare una versione definitiva degli ultimi romanzi della Recherche
La lunga corsa tra la conclusione dell'opera e la morte era stata vinta da quest'ultima.


In realtà la versione "finale" dei suoi romanzi non esiste. Esiste solo l'ultima versione, chiaramente provvisoria.
Proust scriveva su quaderni, ma avrebbe adorato il pc. Perché i suoi quaderni iniziarono ad ampliarsi con l'aggiunta di fogliettini incollati, riferimenti ad altri quaderni, idee… da inserire, spostare, togliere, modificare.

Proust avrebbe mai davvero finito i suoi romanzi? 
In realtà risulta che, attorno a un canovaccio e a uno scheletro già compiuti (salvo alcuni errori e alcune parti decisamente ancora "in abbozzo", la Recherche è leggibile e "conclusa" per il lettore), Proust continuava ad aggiungere episodi, a modificare forme, a spostare pagine e capoversi, alla ricerca di una forma perfetta, ideale.
Non una corsa frenetica, se non in alcuni momenti della sua vita, ma una accidiosa ricerca della pennellata finale, che talvolta non soddisafva più a un secondo sguardo.

Ecco, anche in me c'è una sorta di "Sindrome di Proust", benché il mio sentimento nei confronti dello scrittore francese sia di pura invidia per la sua abilità e il suo genio e non sono certo degno di paragonarmi a lui. 
Certo, io non faccio una corsa contro la morte (speriamo di no! E tocchiamo ferro!), ma gli assomiglio in una accidiosa ricerca del "qualcosa di più perfetto".

Nella nostra vita, temo, faremo ben poche cose con perfezione. 
C'è chi è più fortunato, c'è chi ha parametri più realistici, chi si "accontenta", chi deve fare i conti con le scadenze e la pagnotta e dà il suo meglio dati tempi e luoghi. 
Chi non cerca un "meglio in assoluto" che, idealmente come Proust, avrebbe potuto fare.

Tutto ciò per dire che cosa? 
Che se si deve scrivere una storia da quattro tavole non si può cercare di metterci cose che sembrano "più fighe" ma che portano la storia a cinque tavole. 
Per quanto ci si danni non si può arrivare a ciò che vorremmo, ma solo a ciò che possiamo.

E quindi anche la versione C di ciò che sto scrivendo, dovrà rassegnarsi a lasciare il posto alla versione D, in cui dovrò rinunciare a una serie di idee, di immagini, di dialoghi, che nella mia mente avrebbero reso la storia se non altro migliore, ma che sarebbero stati la porta aperta verso la versione E, la versione F, la G… per un numero di pagine e di tavole che potenzialmente sono pari solo al mondo.

Nella speranza che la Ricerca del Tempo Perduto non diventi il Rimpianto del Tempo Sprecato.

Perché Wasteland non sono riuscito a farmela disegnare. 


PS: non confondete la Sindrome di Proust con la Sindrome di Hari Seldon (o dell'Ultimo Asimov). 
"Fondazione Anno Zero" non è un grande romanzo, secondo me. 
Eppure ho adorato i cicli di Asimov su Fondazione, Impero, Robot… e l'ultimo tassello di una storia iniziata cinquant'anni prima doveva emozionarmi, soddisfarmi, coinvolgermi.
"Fondazione Anno Zero" è ben costruito, come sempre in Asimov, ma mi sembra forzato. Non c'è lo spunto, il tentativo di innovazione, di mettere un altro piano nell'edificio narrativo del buon dottore. 
No: è solo la storia di come Hari Seldon invecchia, perde progressivamente tutto, gli rimane solo il sogno di finire ciò che ha iniziato. E la soluzione, come già in "Fondazione e Terra" è piuttosto mistica, nel senso che tira fuori un deus ex machina  che nulla ha a che fare con gli sforzi dei protagonisti. Il mondo del Buon Dottore (Asimov) non è più il mondo della Psicostoria, del razionale positivista, ma quello dell'affidarci a chi ne sa (o può) più di noi. A Dio, o ai suoi emissari.
Troppo facile vedere in Seldon lo specchio di un Asimov malato, condannato a morire (lo sapeva), che cerca di "far quadrare i conti" prima della fine.
Solo che Asimov era un uomo pratico, di formazione scientifica, di un'altra era rispetto all'accidioso Proust. Asimov fece i conti con il tempo, con la morte, e portò la sua storia dove poteva. Mise un tetto al suo edificio. Forse non bello quanto avrebbe voluto (o potuto con un tempo infinito a disposizione), ma ce la fece.
Proust, con una vita infinita, probabilmente scriverebbe ancora oggi delle adorabilmente fatue chiacchiere del Barone di Charlus, senza mai riuscire a far ritrovare al suo lettore il tempo perduto in quelle stesse chiacchiere che sono la vita.

PSII. Non sapete di cosa parla la Recherche? Ma conoscete l'inglese? Allora ecco un breve sunto dell'opera...

domenica 15 aprile 2012

FIDA DIDA 5 - Realtà parallele (Meno 2512.27 al BigT)



RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI...
QUI ho iniziato a illustrate in generale i diversi tipi di didascalia usati da Alan Moore in Watchmen.

QUI ho esaminato il Primo tipo (didascalie tratte dal Diario di Rorschach) e QUI il secondo (dai Racconti del Vascello Nero).

E ora veniamo alle didascalie (ravvicinate) del terzo tipo presenti in Watchmen...

Come detto, si tratta di dialoghi che si muovono tra due scene rappresentate in vignette della stessa tavola.
Nelle vignette relative alla prima scena, i dialoghi sono effettivamente pronunciati dai personaggi in vignetta, e quindi compaiono nei balloon.
Nelle vignette della seconda scena compaiono come voci fuori campo, e quindi in didascalia. Le vignette della seconda scena riportano flashback o avvenimenti contemporanei alla prima scena, che però si svolgono altrove.

Più lungo da dirsi che da far vedere (come sempre nel fumetto).
Quindi ecco la tavola che esamineremo oggi


E' la tavola 12 dell'episodio III. Non è una tavola leggibile autonomamente (per quanto pure possa mai esserlo una tavola all'interno di un albo di una serie): si trova inserita in un blocco (tavv.9-16) in cui si mescolano due scene diverse.

La prima scena (chiamiamola scena A) segue la serata di Jon Osterman, il Dottor Manhattan dopo il suo litigio con Laurie. Il Dottore si prepara per un'intervista che gli verrà fatta in televisione, va allo studio, viene intervistato, e durante l'intervista viene aggredito verbalmente da un giornalista.

La seconda scena (chiamiamola scena B) segue Laurie e Dan. I due prima parlano del litigio tra Laurie e Jon, poi passeggiano e vengono aggrediti fisicamente da teppisti. Inutile dire che i due Vigilantes in pesnione sconfiggeranno i loro avversari.

All'interno del blocco che abbiamo detto, le tavole 11-16 hanno la stessa struttura.
Ogni tavola presenta sei vignette, suddivise su tre registri\striscia (ognuna da due vignette); la tavola risulta così nettamente divisa in due parti nel senso verticale: le vignette della “colonna” di sinistra riportano avvenimenti della scena A, quelle di destra gli avvenimenti della scena B.
La struttura è identica anche per quanto riguarda i dialoghi e alle didascalie.

Nella tavola precedente a quella presentata qui, Jon Osterman (il Dottor Manhattan) dopo il litigio con Laurie, la sua compagna, si è teleportato in uno studio televisivo per rilasciare un'intervista.
Nel frattempo, Laurie fa quattro passi con Dan per sfogarsi, e dei teppisti si avvicinano a loro con fare minaccioso.
Le due scene sono contemporanee o forse no, ma non importa (vista la lunghezza dell'esame, e la sua marginalità in questo contesto, ne parleremo in un prossimo post).

Nella scena A abbiamo dei dialoghi, che sono "pronunciati" dai personaggi quando le vignette li inquadrano, e sono in didascalia quando le vignette riportano immagini relative alla scena B.
Due didascalie presenti nelle vignette della scena B riportano anche i "rumori" dallo studio della scena A (una risata e un applauso).

La scena B è sempre “fumettisticamente” muta, e i dialoghi "dal vivo" riprenderanno solo quando il gioco delle didascalie che riportano dialoghi che avvengono nella scena A si interrompe.
Ovviamente ciò che avviene nella “realtà della vignetta” non lo , ma non dimentichiamo che Watchmen è un fumetto senza onomatopee scritte direttamente sulla tavola (cioè al di fuori dei balloon o delle didscalie).
Il "silenzio fumettistico" di queste vignette è quindi totale... salvo per le didascalie, appunto.

Anche queste didascalie riprendono il gioco che abbiamo visto anche nei primi due esempi di Watchmen che abbiamo esaminato: il testo relativo a una "realtà" (la scena A) può paradossalmente diventare un commento a una scena diversa (la scena B).
Un commento che sottolinea, distorce, ironizza.


Vediamo nel dettaglio, analizzando prevalentemente le vignette a destra (scena B).
La prima vignetta a sinistra (scena A), infatti, ci fa vedere l'ingresso del Dottor Manhattan nello studio di ripresa. L'agente del Governo da' al Dottore le ultime indicazioni su "quello da dire", l'assistente di studio li informa che sono in onda, il presentatore fa il suo lancio dicendo "Signore e Signori, siamo pronti a iniziare...".
Nella vignetta di destra prosegue il lancio del presentatore TV ("...e potete credermi se vi dico che stasera abbiamo un ospite davvero speciale"), ma abbiamo la scena B: Laurie e Dan hanno "ospiti" speciali... i teppisti, armati e aggressivi.

La seconda vignetta a sinistra ci presenta l'inizio dell'intervista, con la prima parte di una battuta del presentatore ("Jon, mi perdoni se le chiedo subito...").
La battuta finisce in didascalia alta nella vignetta a sinistra: "... che cosa c'è dietro l'angolo?". E, in didascalia bassa, le risate del pubblico. Solo che il disegno della vignetta vede Dan e Laurie spalle al muro, circondati dai teppisti (e una minacciosa scritta sul muro stesso dice "Go mad").
Sono chiusi all'angolo, potremmo dire. Metaforicamente, non letteralmente.

Terzo registro, sempre due vignette. In studio un giornalista dal pubblico inizia una domanda ("Se i rossi attaccano l'Afghanistan...") che termina nella vignetta di destra sempre con la didascalia alta ("...è pronto a mettersi in azione?"). Come nella precedente coppia di vignette, anche qui c'è una didascalia bassa con la reazione del pubblico (un applauso).
Ma il disegno presenta uno sguardo d'intesa tra Laurie e Dan, che già si è levato gli occhiali: anche loro sono pronti ad entrare in azione.
Il pubblico applaude come forse farebbe a un incontro di Wrestling.

E una tavola basti, perché il gioco è esattamente identico nelle altre tavole del blocco (tavv.11-14). Al contrario il gioco era esattamente opposto alle tavole 9-10: qui avevamo avuto 9 vignette per tavola, alternativamente con scene di Laurie e Dan che parlano a casa (anticipatori della Scena B) e di Jon che si prepara (anticipo della scena A), con solo voci di Dan e Laurie "dal vivo" quando sono inquadrati, e in didascalia, quando nella vignetta si vede Jon.
Nella tavola 15,poi, le due scene A e B proseguono parallele, ma non ci sono didascalie (le vignette della scena B sono mute, o hanno in balloon il "fiatone" di Dan e Laurie che si riprendono dallo scontro), mentre nella 16 il gioco è opposto: sei vignette, le didascalie (solo nelle vignette della scena A) "provengono" dalla prosecuzione dei dialoghi che sono propri della scena B.

In realtà tutto l'albo si gioca sulle variazioni date dalle didascalie di diversi tipi (dalle Storie del Vascello nero, all'intervista fatta da Doug Roth a Janet Slater, alle frasi di Nixon e del suo entourage) che "invadono" scene ambientate in luoghi differenti.

Cosa dobbiamo ricavare da questo albo?
Intanto dobbiamo dire che qui compare una svolta della storia, una svolta importante.
L'albo successivo, il IV, è l'unico dedicato a un solo personaggio, il Dottor Manhattan: sarà l'unico "a solo" della serie.
Già in questo terzo albo, però, Moore ci vuole introdurre al suo concetto di tempo. "Suo" forse non di Moore, ma del Dottor Manhattan.
Tutto è sincronico.
I dialoghi detti in una scena sono contemporanei a ciò che avviene in un'altra.
Gli avvenimenti non sono slegati gli uni dagli altri, ma legati da fili invisibili che non sono quelli della teoria del caos: non il battito della farfalla, la causa remota, la consequenzialità, ma la sincronicità.

E quale è la svolta contemporanea?
C'è una crisi in atto, ovviamente.
Una crisi mondiale e personale.
La guerra è alle porte, e il Dottor Manhattan, così superiore a tutti gli altri esseri umani, si scopre debole davanti a ciò che resta della sua umanità, e fuggirà.
Al contrario, Dan e Laurie, che poco tempo prima avevano definito il Keene Act, il decreto che metteva fine alle loro carriere di vigilantes, “la cosa migliore che potesse capitarci”, scoprono di non essere così arrugginiti, che anzi la lotta contro i criminali da strada crea tra loro un legame, un'intesa anche a livello sessuale che li fa sentire davvero vivi.

Le due vicende sono antitetiche, o forse no: i tre personaggi stanno trovando (ri-trovando?) la loro strada, dopo una maschera che hanno indossato. Per il Dottor Manhattan è quella di pensare come se fosse ancora un essere umano. Per Dan e Laurie, quello di poter essere “normali”.
Il Dottore si deve togliere la sua maschera, andare “là dove nessun uomo è mai giunto prima”, Dan e Laurie dovranno indossarne una esteriore per togliersi quella interiore.

Ciò che vale per una scena, vale per l'altra.
Le due scene sono legate, perché tutto è legato. La vicenda del Dottore, di Dan e Laurie, dell'edicolante e del giovane lettore a scrocco, del naufrago del Vascello Nero, dell'intero mondo immaginario di Watchmen.

Le frasi vanno d'accordo, perché sono solo una delle meravigliose, infinite e insieme uniche combinazioni di cui è fatto il magico universo mooriano.

O forse è il nostro.

PS: come sempre le immagini sono copyright degli aventi diritto, e sono qui inserite per dare spunto all'analisi e al commento.

mercoledì 11 aprile 2012

Martin Mystère the best (meno 1942.4 al BigT)


Alfredo Castelli è un genio.

Se non avesse altro merito nel mondo del fumetto (e ne ha, ne ha in abbondanza!), ha creato Martin Mystère, un personaggio su cui, come accade con pochi altri (penso al Sandman di Gaiman), si possono scrivere storie di tutti i tipi e generi.
E senza che queste storie sembrino forzate.

Alfredo Castelli è in grado di scrivere storie che possono compiacere dei nerd assoluti senza essere retorico.
O didascalico.
O noioso.
Alfredo Castelli è ironia, curiosità, apertura mentale.

E' vero: ho comprato per la prima volta Martin Mystère perché, in un mercatino dell'usato, c'era un albo intitolato “Il mistero del Nuraghe”. E ho fatto un po' il locale che scopre che qualcuno parla della sua terra.
Poi ho divorato tutti gli altri albi.

Poi ho scoperto che Castelli si era stancato del primo Martin Mystère. Ma ho scoperto che non lo ha “ucciso”, ma lo ha trasformato, in un gioco di ironia e affetto.
Ho sopportato (come gli altri devoti) gli alti e i bassi della serie.
Ho sostenuto, finché è stato possibile, gli spin-off, gli speciali, gli annuali...

Mi sono incavolato quando mi hanno tolto i Dizionari del Mistero.

Ma quando questo pomeriggio ho acquistato l'albo mensile per i 30'anni di Martin, beh, l'ho divorato come un bambino.
Perché Alfredo Castelli mi ha restituito per un po' di tempo quel senso del fantastico che solo i bambini possono avere. Ma questo senso del fantastico è magistralmente combinato con una strizzatina d'occhio a chi bambino non è più.
Perché mi sono ritrovato a leggere la nuova dimensione di Martin come se mi trovassi ad un incontro con amici di vecchia data, quando ci si racconta le cose del passato e le speranze del futuro, e si vede come siamo cambiati dall'incontro precedente e si scopre che, da un certo punto di vista, per quanto riguarda i rapporti con i veri amici, il tempo non è passato.
Perché Castelli ha fatto l'ennesimo miracolo, dichiarando con forza che Martin Mystère ha ancora infinite potenzialità, e che si possono scrivere storie divertenti, ironiche, citazioniste, nerdeggianti... con tanta abilità e amore per la propria creatura.

Grazie, BVZA, per questi quaranta minuti di immersione nel fantastico e per tutti quelli che mi hai regalato e che mi regalerai.

PS: la somma invidia (buona) nei confronti della geniale scrittura del geniale Castelli ancora una volta regna sovrana in me, naturalmente.

PSII: so già che pochi, prendendo in mano un albo di Martin Mystère, avranno le mie stesse sensazioni. Molti si annoieranno (eretici!), lo troveranno verboso, lento etc. etc. etc.
Fatti loro: non sapranno mai quanto è bello, a volte, essere parte di una nicchia.
Da nerd.

PSIII: QUI la pagina di Martin nel sito della Sergio Bonelli Editore.

domenica 1 aprile 2012

FIDA DIDA 4: PIRATI DIDASCALICI (Meno 256.4 al BigT)


QUI abbiamo iniziato a parlare dell'uso delle didascalie in Watchmen.
E QUI ne abbiamo descritto il primo tipo.

Ora analizzeremo un esempio del secondo tipo di didascalia: quella che gioca col metafumetto, il fumetto-nel-fumetto degli albi "Le storie del Vascello\Mercantile Nero".

Nel corso di Watchmen, il giovane Bernie legge (a scrocco) gli albi a fumetti dei Pirati, senza quasi commentare i brontolii del vecchio edicolante Bernard.

Si creano dunque tre piani di lettura dal punto di vista del lettore.
Il primo è quello interno al fumetto di pirati. Le didascalie parlano di ciò che il protagonista pensa e vive nella sua macabra avventura.

Il secondo è quello della "realtà" di Watchmen. Ciò che accade intorno al lettore Bernie. E le didascalie
servono a dare quel contrappunto che, in forma diversa, è apparentemente lo stesso svolto dal diario di Rorschach (ancora una volta, vedete QUI per l'esempio di come viene usata la tecnica della didascalia-voce
narrante esterna).
Il terzo è quello della nostra realtà. Noi che leggiamo il fumetto di Watchmen.
E se fossimo giocatori di scacchi di Borges, il livelli si moltiplicherebbero all'infinito.

Il secondo livello è relativo alla struttura di Watchmen.
Il gioco dello sceneggiatore Alan Moore è, come sempre in Watchmen, duplice: da un lato, gli albi di pirati sono scritti da Max Shea, che avrà una involontaria parte nel diabolico piano.

 Dall'altro, la storia raccontata nel fumetto di pirati viaggia parallela alle azioni dei personaggi principali della "realtà" di Watchmen, dei Vigilantes alla ricerca del colpevole o impegnati a salvarsi dal complotto contro di loro.
E i testi del fumetto, le nostre amate didascalie, danno, come detto, il contrappunto, la
sottolineatura di ciò che avviene nella "realtà" di Watchmen.

Vediamo questa tavola, tratta dall'albo III, Tavola 18

Poco prima il Dottor Manhattan è stato attaccato mediaticamente da un giornalista della rivista Nova
Express, e si teleporta via.
Nel frattempo il giovane Bernie legge la storia di un sopravvissuto a un attacco dei pirati, circondato
solo da cadaveri e gabbiani.
E così vediamo la...

VIGNETTA 1
La rivista è arrivata all'edicolante Bernard. Il corriere sottolinea come "aspettavano che il programma andasse in onda prima di tirare fuori le loro carte".
La didascalia (giustamente a mo' di pergamena) parla di ciò che accade nella vignetta dell'albo dei pirati, ma contrappunta: "Il furibondo attacco del vascello ci aveva colto di sorpresa".
Nessuno si aspettava l'attacco al Dottor Manhattan, meno che mai il Dottore stesso.
Una sottolineatura di ciò che accade. Un fumetto (Watchmen) che parla di un fumetto (I racconti del Vascello Nero), che parla del primo fumetto.
Tutto è un fumetto, solo un fumetto...

VIGNETTA 2
Il campo si allarga. L'edicolante irritato si augura che il Dottor Manhattan venga spedito in esilio, perché, a detta del giornale, la sua vicinanza fa ammalare di cancro chi gli sta vicino.
Sullo sfondo Dan e Laurie si allontanano. Questa vignetta ci fa capire che questa intera tavola, tecnicamente, è un flash-back. Infatti avevamo visto la stessa scena (ma dal punto di vista di Dan e Laurie) prima, a tavola 11 Vignetta 2.
Cosa ci dice la didascalia del fumetto-nel-fumetto?
"Avevano distrutto la nostra nave prima che potessimo avvisare Davidstown dell'arrivo di quel vascello infernale. Ero scampato solo io, sul mio atollo sperduto".
Chi è il colpevole? Chi si doveva avvisare? E chi è scampato?
Anche stavolta dobbiamo dare uno

SPOILER
di cosa avviene nel fumetto dei pirati. Il sopravvissuto, esattamente come il Dottor Manhattan, alla fine vedrà rovesciata la situazione in cui si trova in questo momento. Il salvatore diventerà il carnefice, e il colpevole si rivelerà una vittima. E sì, il Dottore se ne andrà su un "atollo sperduto" prima (Marte), e chissà dove ("una galassia meno complessa") alla fine.


VIGNETTA 3
Le battute dell'edicolante riguardano la famiglia, in senso lato.
Infatti cita la "Ex" del Dottore, e insieme cita la propria moglie, che fantasticava su Manhattan. E aggiunge:"Ma io ho sempre avuto quel sospetto..."
L'anonimo sopravvissuto all'attacco pirata dice "Pensavo alla mia famiglia, indifesa, ignara...".

VIGNETTA 4
Semplice passaggio narrativo dei pirati.
L'unico collegamento con la realtà è che all'edicola inizia a piovere, e nella didascalia c'è scritto che "Maledissi Dio e piansi, chiedendomi se anche lui piangeva".
L'abbinamento pioggia\lacrime di Dio è così abusata che il metterlo in evidenza qui basta.

VIGNETTA 5
"Ma a che servivano le mie lacrime se il suo aiuto mi era negato?" dice il fumetto del Vascello Nero.
E nella vignetta Bernie chiede a Bernard di prestargli il cappello per ripararsi dalla pioggia.
Inutile dire che l'edicolante, come da didascalia, rifiuta l'aiuto.

VIGNETTA 6
Mentre uno zoom in stringe la vignetta verso il cartello "Fallout sherlter", mentre la pioggia si intensifica, le battute dei personaggi e la didascalia del fumetto-nel-fumetto si rispondono.
Bernard, infatti, dice: "In questo mondo, non devi sperare nell'aiuto degli altri. In fondo, ognuno è solo."
La didascalia: "I miei singhiozzi avevano spaventato i gabbiani che si erano dileguati..."
Ancora singhiozzi tra le lacrime\pioggia. E i gabbiani erano le uniche creature viventi rimaste attorno al naufrago.

VIGNETTA 7
Nell'ultima vignetta della tavola, lo zoom in è completo, l'inquadratura è ormai stretta sul cartello (che servirà per il passaggio analogico a un cartello simile nella prima vignetta della tavola successiva).
Ancora una volta didascalia dell'avventura del fumetto di pirati, e testo dalla "realtà" della vignetta di Watchmen si rispondono.
"... e in quel terribile silenzio compresi il senso della parola "solitudine" " dice la prima.
"Tutto solo. In ultima analisi" dice il secondo.
E nella tavola successiva il Dottor Manhattan se ne andrà dalla Terra, rimanendo solo.

Cosa dire di questa tecnica di uso delle didascalie?
Le didascalie che riprendevano il diario di Rorschach sembravano aprire molti più livelli: sottolineatura, contrasto, ridefinizione di ciò che si vede in vignetta attraverso il testo o viceversa. Ma il diario era un'analisi ***interna*** al piano della "realtà di Watchmen".
Fatta da un personaggio di ***quella*** realtà su ***quella*** realtà.
In questa tavola (e nelle altre dove c'è il fumetto di pirati) dalla disacalia emerge quasi sempre solo la sottolineatura di quanto avviene nella vignetta della "realtà di Watchmen".
Un uso più semplice? Più banale?

In realtà la vera domanda è un'altra.

<<Perché l'edicola e il fumetto?>>.

Un primo livello di risposta nasce dal fatto che Moore ha spesso arricchito le sue storie di Supereroi con sipari dedicati alla "gente normale". Seppure Watchmen non riponda esattamente a questa definizione di "fumetto di supereroi", naturalmente, Bernie, Bernard e tanti altri sono "spettatori esterni". Se Il Dottor Long è lo psichiatra che colloquia con Rorschach, se gli investigatori sono coinvolti direttamente con i Vigliantes, l'edicolante e il suo avventore sono lontani dagli "eroi", come nella vignetta 2.
Il loro contatto è solo casuale con Rorschach (anzi: con Kovacs, che, giova ricordarlo, ***non*** è Rorschach, nonostante tutto).
Anche se, a livello macroscopico, essendo dei "normali", verranno coinvolti anche non volendo, nelle vicende dei "super".

Ma soprattutto conta il secondo aspetto.
L'edicola, il rapporto tra Bernie e l'edicolante Bernard, è uno specchio della ***nostra*** realtà di lettori. Un ribadire che quello che anche noi stiamo leggendo un fumetto.
Come Bernie.

E questo cosa significa?
Significa che il fumetto, anche se portatore di un messaggio, rischia di distrarci dalla realtà.
Che i veri problemi della gente comune non sono quelli descritti nelle pagine dei comics.
Sono altri.
La bomba.
La vera guerra.
I rapporti umani.
La freddezza dell'isolamento e il bisogno di condivisione.
Il bisogno di protezione che solo il contatto umano può dare, al di là di una lettura individuale e isolante.

Watchmen è solo un fumetto. Può far riflettere, può invitarci a chiederci "come andrà a finire?", ma è solo un fumetto.
Non conta davvero.

E quindi, proprio per questo conta.



PS: se non conoscete le poesie di Borges sugli scacchi, onta e disonore su di voi, o miseri.
Borges è... uff, leggete intanto QUI la poesia Scacchi II, e poi riparleremo di Labirinti, specchi, tigri, Gesta dei per Francos, Aleph, Immortali...

PS II: come sempre, Tavole e traduzione sono copyright degli aventi diritto, e sono tratte da Watchmen – Sotto la Maschera, I classici del fumetto di Repubblica Serie Oro 26, 2005 (DC Comics e Panini S.p.A.); l'immagine di testa è tratta da Internet... e tutto ciò non è qui posto per fini di lucro, ma solo per esigenze di critica.