giovedì 27 febbraio 2014

Epica e pallottole 2 - Epici Cavalieri e Ranger delle Praterie

Questo post prosegue il discorso sull'Epica in Tex iniziato QUI (introduzione generale) e proseguito QUI con la prima parte di questa sezione

2. Epici cavalieri e ranger delle praterie

Ebbene, gentili lettori: leggete non Chrètien de Troyes, ma l’Espagne; leggete i poemi canterini e non l’Orlando Furioso.
L'entrata in Spagna dei Paladini
Se farete questo, vi troverete immersi e impelagati in decine di scontri senza apparente senso. A meno di non accettare che il senso profondo sua quello del meraviglioso, del vedere l’eroe in lotta contro sempre nuovi nemici, sempre uguali dietro nomi diversi, sempre in soccorso dei deboli contro i malvagi, a prescindere da quale colore, religione, rango o epoca appartengano gli uni e gli altri. E trovare il piacere dell'eroe che vince, e subito si lancia in un'avventura molto simile a questa.
Leggete La morte Darthur di Malory, o anche L'Orlando Innamorato di Boiardo: scoprirete quante fanciulle sono in pericolo dentro un castello destinate al matriomonio non voluto con un fellone; quanti ponti guardati possono essere attraversati solo dopo aver vinto il guardiani; quante città sotto un lago o in un labirinto; quante dame sono di bellezza incomparabile...
L’epica si nutre di vette artistiche, che a ben vedere sono la punta di un vasto iceberg sommerso di produzione popolare. E il nocciolo di questa produzione “minore” è la ripresa dello spunto e dell’essenza per variare il tema, senza alcuna mutazione sostanziale.

Ho scritto (è stato scritto da tanti) che Tex ha spesso seguito questo stesso procedimento ripetitivo. Tex è dunque l’epica dei nostri giorni?
Lo è, a mio giudizio.
O almeno: di sicuro lo è stato, perché si inserisce nel filone di un genere nato come Epica del '900 (il Western) e ne ha colto e raccolto l’essenza mitica. E in più ha usato per i suoi fini narrativi lo strumento che per eccellenza, assieme al cinema, ha rappresentato l’Epica del XX° secolo… ovvero il fumetto.

Quanti messaggi epici sono passati attraverso il fumetto?
Propaganda bellica, ottimismo e sogno americano, vasti spazi (non solo terrestri), esseri con poteri meravigliosi in grado di compiere imprese sovrumane e di incarnare i sogni…

Il fumetto, per la sua praticità, per la sua comodità e semplicità di produzione, per la sua intrinseca capacità di essere fruito più e più volte [1], per la sua intima economicità, è stato spesso il veicolo solo apparentemente minore di idee, impressioni e alti valori semplificati (e semplificanti) che sono propri dell’Epica.
Se il cinema garantiva quella condivisione, quella fruizione collettiva che la lettura del fumetto non permette [2], è però vero che il fumetto più che il cinema si presta alla possibilità di soffermarsi, di rileggere, di ripetere il piacere della visione. Di muovere la fantasia garantendo alla fruizione un tempo proprio di ciascun fruitore, non un tempo imposto dal regista o dall’operatore di macchina [3].
E, rispetto al cinema, permette una riproduzione autonoma estremamente più semplice ed economica.

Permettemi una valutazione che potrà sembrare semplificante: i personaggi del fumetto - proprio i più semplici, almeno - sono eterni. Il motivo è semplice: sono archetipi epici.

Superman è un personaggio superato? Achille lo è?
No, nessuno dei due, perché sono l'incarnazione dell'eroe eterno [4]. Possono esserci storie brutte e buone storie, ma la validità dell’essenza del personaggio non cambia. Superman esce ogni mese, talvolta lo ha fatto con indegnità quasi senza limite... eppure chi non vorrebbe scrivere la storia definitiva su Superman [5]? Esattamente come chiunque voleva aggiungere la sua su Orlando, o su Ulisse all’epoca in cui erano LORO gli eroi popolari…
Ne consegue che neppure Tex, eroe archetipico di un West archetipico, lo può essere.
A patto, ovviamente, di mantenere i suoi caratteri originari. Ma di questo ne parleremo più avanti.

Chi potrebbe fare la storia definitiva su Tex?
Nessuno, penso. Perché nessuno può dire la parola “fine” su un mito, nessuno ha l’autorevolezza (ed il diritto) necessario per cambiarlo [6].
Tex è ripetitivo perché non potrebbe cambiare senza cessare di essere sé stesso. Per i miti l’alternativa è solo tra “essere e non essere”: a loro non è consentito “essere altro”, se non assai limitatamente.
E, in realtà, solo apparentemente.

Supes non può non essere straordinariamente forte: si può fare il divertente giochino di togliergli o ridurgli i poteri, ma la sua essenza è di averli, non di essere un uomo. Di spostare pianeti, non di stancarsi nel farlo.
Clark Kent non è epico, il suo rifiuto di usare i poteri è un sotterfugio per far identificare il lettore. Questo rifiuto non è l’ira di Achille, poiché l’enorme distanza tra l’eroe e l’uomo esiste anche nella sdegnosa rinuncia del Pelide, mentre Superman sembra inconsciamente desiderare di identificarsi con chi protegge, alla ricerca di una normalità impossibile [7].
Achille uccide Pentesilea

Allo stesso modo Tex. Si potrebbe addirittura fare una storia in cui sbaglia (eresia!), ma deve essere solo un episodio e non deve essere un errore decisivo, che coinvolga innocenti: dare come presupposto delle storie il fatto che sia irrimediabilmente minata la certezza di Tex nelle sue azioni, é scrivere storie di un casuale omonimo, non del nostro ranger.

Personaggi della stessa casa editrice come ad esempio Dampyr o Nathan Never o i recenti Orfani nascono subito come personaggi in mutamento, perché non saranno mai miti [8]. Non sono nati per esserlo, né ci possono riuscire con il tempo: non sono arrivati a un livello di profonda semplificazione tale da esserlo. Sono sfaccettati, ambigui, fallibili. Sono VEROSIMILI. Sono eroi dei nostri tempi ma non di tutti i tempi. Umani. Possono narrarci storie più vicine a noi, ma non possono essere esempi atemporali.

A questo punto uno dei miei 18 follower potrebbe contestare che non è compito di uno sceneggiatore di una casa editrice popolare indicare esempi…
La risposta non può che essere: “E perché no?”
Omero è stato il cardine della cultura greca, perfino nelle democrazie così lontane dai superbi re/eroi achei. Lo spettacolo dei “pupi” siciliani, che ha come protagonisti i paladini di Carlo Magno non è certo esclusivo delle classi alte, ma anzi er rivolto a un pubblico culturalmente modesto… E per essere (apparentemente) irriverenti, la televisione ha fornito alla cosiddetta “Goldrake generation” valori epici ed etici (l’abnegazione, la sofferenza e il sacrificio per gli altri, il coraggio di esporsi e di impegnarsi per una salvezza non tanto propria quanto degli altri) attraverso degli eroi popolari e ripetitivi, con una psicologia semplice, azioni-tipo ricorrenti e così via.

L’Epica “per il popolo” mira all’identificazione del fruitore con l’eroe. Ma si tratta di una identificazione non per verosimiglianza e abbassamento (l'eroe è simile all'uomo comune) ma per aspirazione e innalzamento (l'uomo comune sogna di essere come l'eroe).
Questo processo di identificazione spesso genera nel fruitore\lettore\ascoltatore\spettatore la creazionefanfic è solo l'ultima versione digitale di un'esigenza creativa che ha attraversato il tempo.
Orlando infuria sul campo di battaglia
autonoma di storie che hanno come protagonisti gli eroi di cui si sono viste o udite le imprese, con variazioni minime (negli elementi costitutivi) eppure infinite (nell’aspetto più superficiale). La
Questa creazione apocrifa è frequente nei bambini, meno carichi di esigenze di realismo e più disponibili a quella sospensione dell’incredulità che è richiesta dall’Epica. I ragazzi e gli adulti diventano progressivamente più restii (o più pigri o più timidi) nei confronti della creazione autonoma per imitazione, accettando al contrario, spesso supinamente, la ripetizione “autorizzata” da parte degli autori [9].

Vi dirò che neppure io, nella mia giovinezza, ho resistito alla tentazione di scrivere la storia definitiva su Tex. Un bel Western crepuscolare, magari sottolineando l’esigenza di giustizia con una bella vendetta finalmente necessaria (che so: in seguito all’uccisione di Carson!), un Tex che scompare come Kenshiro [10] nel sole nascente o morente, alla ricerca di criminali “finché avrò fiato in corpo e una pallottola nella mia colt”…

O Tex chiuso in un gioiello, destinato per l’eternità a impedire a Mefisto di portare il male sulla Terra [11].

Ma non sarebbe stata la storia definitiva: sarebbe stata solo un’ennesima versione delle leggende che i cowboys e gli indiani narrano a volte intorno al fuoco quando un coyote in lontananza ulula…
Aggiunte alla leggenda, appunto, ma necessarie per renderla viva, come l'Epica richiede.


[1] a differenza del cinema prima dell’avvento delle VHS, il fumetto era, assieme a poche stampe d'arte, il modo per assistere a opere visive a basso prezzo. Da qui la sua espansione verso lidi meno epici ma altrettanto popolari, come il fumetto erotico, il porno (dalle Tijuana Bibles al Tromba), l'horror (l'EC Comics e la Warren). L'avvento dei sistemi di riproduzione video ha modificato questo quadro, Internet lo ha rivoluzionato.

[2] Condivisione e partecipazione dell’ascolto/visione che invece erano propri dell’Epica antica. Solo per fare un esempio, possiamo ricordare l’episodio in cui Odisseo giunge al banchetto nella reggia di Alcinoo: l’aedo Demodoco canta davanti a tutti i presenti i fatti della guerra di Troia, finita da dieci anni.
Difficilmente la lettura dello stesso albo a fumetti (inteso come singolo fascicolo cartaceo, non la stessa storia) può essere condivisa da più di due, tre, massimo quattro persone per volta: la separazione fisica della fruizione cambia notevolmente la percezione e la fruizione stessa del messaggio.

[3] si veda il mio articolo comparso su Conversazioni sul Fumetto a QUESTO indirizzo e a QUESTO, prossimamente rivisti e ripubblicati su questo blog.

[4] riprendo il concetto di “Campione eterno” sviluppata da Michael Moorcock in diverse saghe per lo più fantasy, come quella di Elric di Melnibonè.

Un'illustrazione per i poemi canterini
[5] In questo senso, Superman ha avuto la fortuna di un eccezionale cantore della sua morte:
Sto invece parlando del Bardo di Northampton, l'unico e solo Alan Moore, l'uomo che ha fatto della sua profonda conoscenza del fumetto e della letteratura in senso lato il suo marchio di fabbrica. Dall’alto della sua auctoritas di osannato scrittore, Moore ha scritto la vera morte di Superman in Cosa è successo all’Uomo di Domani?. Qui, utilizzando tutti gli stilemi più classici e retro’ del Kryptoniano ha dato alla saga una fine tutto sommato prevedibile e “giusta”, senza per questo impedire storie PRECEDENTI a questo avvenimento nella cronologia immaginaria di Supes… nel puro stile dell’epica. Come tocco in più, la storia è disegnata da Curt Swan: il tratto di questo autore aveva caratterizzato il Superman ingenuo degli anni ’60 e ‘70, l’ultimo epico prima dell’avvento dei supereroi problematici e “umani”.
Non dimentichiamo che l'episodio di Moore e Swan si collocava nel contesto della transizione tra l'universo pre-Crisis e post-Crisis: l'intera saga di Crisis on the infinite Earths era un canto di morte. Un Epico canto di morte.
La predilezione di Moore per delineare l'episodio conclusivo di una saga, della consapevolezza della necessità della “morte” (in senso lato) dell'eroe, si può trovare nell'abortito progetto The twilight of Super-Heroes che è reperibile in rete. Alla luce di recenti fenomeni editoriali, ci tengo a sottolineare che no, Superman e il resto degli eroi DC non diventavano vampiri!

[6] L’unico ad avere un’autorità simile su Tex era G.L. Bonelli non in quanto ideatore, ma in quanto il maggior interprete del suo stesso personaggio. Questa identità non é sempre così automatica come sembrerebbe facile credere: la reinterpretazione di Batman come psicopatico fatta da Frank Miller in The Dark Knight Returns é oggi più condizionante per i posteri di quella data dallo stesso Bob Kane, il creatore dell’uomo-pipistrello, e non solo perché Miller é più vicino ai nostri gusti.
La scomparsa del Grande Vecchio ha lasciato l’eredità della scrittura a Claudio Nizzi e in seguito a Mauro Boselli: ma non sembra rimasto lo stesso piglio epico e, di conseguenza, la stessa autorevolezza nell’imporre anche al lettore le decisioni dell'autore e le svolte narrative.

[7] Che il divenire definitivamente Clark Kent sia la fine dell’epica di Superman è stato ben intuito, come detto, da Alan Moore: nella sua meravigliosa Cosa è successo all’omo di Domani l’autore di Nothampton descrive la MORTE del personaggio eroico, in uno scontro epico; il fatto che l’essenza mentale sopravviva nella forma di Clark Kent, non nega che Superman sia morto e che se quella storia viene presa come termine ultimo, egli non possa resuscitare, salvo escamotages di recupero di poteri che inficerebbero il valore della storia stessa... come accaduto nella saga La Morte di Superman di Dan Jurgens e Louise Jones\Simonson. Questo era un classico tentativo di restituire una patina epica al personaggio per fini commerciali, strombazzandone la morte, salvo poi rivelare che proprio morte non era, negando così ogni epicità alla narrazione. Vi rinvio a questo mio post sull'argomento.
Nell’altra grande storia di Moore su Superman, Per l’uomo che ha tutto, scopriamo che il sogno più nascosto del supereroe è quello di vivere una vita ordinaria e senza poteri su Krypton non distrutto… ma Superman si sveglia, perché sa che quella NON PUÒ ESSERE la sua realtà. Insomma: un Clark Kent realistico e davvero umano non è Superman, né potrebbe esserlo.
Questa verità è stata contestata da John Byrne, l'autore a cui si deve il reboot del Superman post-Crisis. Lo scrittore\disegnatore canadese fa dire a Lex Luthor in Man of Steel n.6: “Un uomo con il potere di Superman non può fingere di essere un comune terrestre! Quel potere dev’essere sfruttato continuamente… deve essere usato!!!”.
John Byrne usa questa frase per ironizzare sull’intelligentissimo Luthor che non riesce ad accorgersi dell’identità segreta di Superman. Ma è pur vero che mostra un Luthor “romantico”, in grado di vedere solo la dimensione epica del suo avversario, e non quella brutalmente logica e banale del razionalismo di un computer... o di un marketing che chiedeva un eroe “più al passo con i tempi”.
Comunque, sia dalla DC che dalla sua rivale storica, la Marvel, viene continuamente ripetuto che a fare l’eroe non sia il superpotere, ma la volontà, il coraggio, la scelta; implicitamente viene sottinteso che anche i lettori possano essere eroi, i veri eroi (vedi a tal proposito i vari albi dedicati all’11 settembre 2001).
E' superfluo aggiungere che da un punto di vista epico l’uomo comune è abissalmente, costituzionalmente inferiore all’eroe. Il lamento di Achille morto nella Nekyia (Canto XI dell’Odissea: meglio essere servo e godere del sole che essere morto) non inganni: esso è dovuto più alla concezione della crudeltà della morte nell’autore del poema che a una reinterpretazione del personaggio; messo di fronte alla scelta se avere una vita lunga e oscura o una vita breve ma gloriosa, Achille scelse da eroe la seconda, e non poteva scegliere diversamente, perché il Pelide era un eroe PRIMA ANCORA di compiere azioni eroiche.

[8] La parola non viene qui usata, naturalmente, nel senso comune e familiare del termine, ma nella sua accezione letterale e tecnica.

[9] Sarebbe interessante un'analisi sociologica e pedagogica sull'immedesimazione cosciente data dai videogames, considerati a lungo i “nemici” del fumetto (dopo la televisione) perché riguardavano spesso la stessa sfera di pubblico. Mi spiego: quanti ragazzi “giocano” a impersonare i videogames, al “facciamo finta che io sono X e tu Y”, così come si faceva un tempo con gli eroi dei cartoni o dei fumetti? Stiamo prescindendo da situazioni volutamente formalizzate (il cosplay e il Gioco Di Ruolo, dove la distanza tra interprete e interpretato è chiara) o al limite e oltre il limite del disturbo (l'incapacità di distinguere la realtà dalla fantasia).
Qui non c'è lo spazio (e soprattutto mancano le conoscenze disciplinari specifiche) per approfondire.

[10] Altro personaggio intrinsecamente epico, per le sue lotte familiari in difesa dei più deboli, la sua abnegazione, la sua infallibilità, la sua capacità di combattimento superiore a quella degli altri esseri, le sue lotte contro mostri e giganti a difesa dei più deboli.


[11] Si veda l’ultimo di questa serie di articoli: Le Morte Tex e la leggenda

Ps: gran parte delle immagini appartiene alla Sergio Bonelli Editore o alla DC Comics e ai loro autori; le altre sono tratte dal web: non mi appartengono in alcun modo, e qui sono a corredo dell'analisi. Questo blog non ha fini di lucro.

mercoledì 26 febbraio 2014

EPICAMENTE TEX - EPICA E PALLOTTOLE 1: L'ETERNO RITORNO

EPICA E PALLOTTOLE
1. Eterno ritorno o storie eterne?


Non mi nascondo dietro un dito: le storie di Tex sono (state a lungo) ripetitive [1].
Oltre dieci anni fa io stesso ho rinunciato da tempo con continuità mensile le nuove/vecchie avventure del ranger, limitandomi ad acquisti mirati e di storie autoconclusive (i “Texoni” di Magnus e Kubert; varie storie a colori). E il motivo era, appunto, quello della ripetizione delle storie. Cercavo qualcosa di più “nuovo”, in evoluzione: la formula di Tex, il personaggio Tex erano scolpiti nei canyon della Riserva Navajo, immobili nel tempo
Ricordo ancora il mio velenoso esordio sulle pagine della fanzine Ikhnaton (nel 1990!): riguardava constatazioni sul perché i persecutori degli indiani fossero sempre colonnelli e mai generali; perché ci fosse sempre una tribù indiana che migrava con l’aiuto di Tex e l’opposizione delle “giacche blu”; perché Tex fosse andato almeno tre volte a Washington a parlare con Ely Parker per una paventata revisione dei confini; perché in Canada ci fosse sempre una rivolta indiana risolta dall’intrepido ranger in missione north of the border; perché la tempia di Tex apparisse ancora ricoperta di pelle viste le non meno di 20 ferite di striscio e colpi con il calcio della colt dati alla stessa…
Attorno al numero 400 della serie la stanchezza nella produzione di idee di Nizzi sembrava irreversibile, e non pensavo che lui stesso potesse negarlo o offendersi di questa considerazione. L’albo doveva/deve uscire ogni mese (più un “Texone”, un Almanacco del West e un “Minitexone” ogni anno, i Tex Color...), e reinventare continuamente il West dopo 50’anni non è possibile, neppure ricorrendo a Plutarco [2].

Da allora molte cose sono cambiate: Mauro Boselli ha preso il posto di Claudio Nizzi come sceneggiatore principe, pur affiancato da altri autori; sotto la sua guida è iniziato e prosegue una meritoria opera di svecchiamento. Tuttavia alcuni elementi delle storie e soprattutto dei personaggi non possono essere toccati, perché questa e’ la filosofia dell’Editore [3]… ma, attenzione, questa é anche la coerenza interna del personaggio.


A questo punto qualcuno penserà che dietro la maschera di difendere l’eroe, dichiarata in premessa, io lo voglia affondare i colpi con velenosa ironia [4]: ebbene costui sbaglia.


Anche io sono cresciuto con Tex: i miei ricordi più antichi di un fumetto riguardano Il sentiero dei Broncos, Tex numero 188 del Giugno 1976: non avevo ancora 5 anni!
Anche io, crescendo, ho cercato delle letture più vicine alla mia età e più consone alla mia immaginazione e alle mie esigenze. Ma ancora oggi, quando leggo un nuovo Tex (anche i diversi “Texoni” o i “Color Tex” che pure, comprati occasionalmente, non mi hanno esaltato), trovo confortante ritrovare lo stesso eroe, gli stessi istinti di giustizia, la stessa netta distinzione del mondo in bianco e nero.
Qualcuno forse dirà che questo modo di caratterizzare gli eroi è superato. Che nonostante i cambiamenti, la messa in evidenza dei personaggi secondari delle storie (un po' il marchio di fabbrica di Boselli) Tex (come personaggio a fumetti) è vecchio. Che nel dire queste parole io stesso lo condanno.

Sinceramente, pur tenendo ferme le dichiarazioni sulla limitata variazione delle storie del ranger, ritengo che la creazione fumettistica preferita dagli Italiani [5] tragga valore proprio da questa ripetitività. Qui non si parlerà di gusti personali, ma di efficacia narrativa, di rispondenza a modelli culturali, di attese del pubblico che ripetono le attese del pubblico di ogni tempo.

Tex é nato come personaggio già “adulto” nel 1948, con tematiche, problematiche e soluzioni adulte, mature e decise, appunto: e questo ha condizionato la sua evoluzione come figura a tutto tondo [6]. Era un personaggio talmente forte da diventare paradigmatico, pietra dello scandalo: ricordiamo l’appassionante (e fuorviante) dibattito sorto negli anni ’70, mirante a rispondere al (per l’epoca) fondamentale quesito: “Ma Tex è di destra o di sinistra?”…
Quale altro personaggio italiano ha goduto di una così positiva ambiguità e quindi di una così positiva fruttuosa profondità [7]?

Qui si scateneranno le risate ilari dei detrattori del nostro caro ranger. “Ma come – mi chiederanno una volta ripresisi – Tex è profondo???”.
Beh, saro’ uno sciocco, ma il Tex maturo degli anni ’60 lo era. Sul personaggio-Tex si può dire tutto ed il contrario di tutto, e questo è un dato positivo: quando un’opera letteraria o un’icona cessa di essere oggetto di dibattito, allora ha esaurito le sue potenzialità di rappresentare altro oltre che sé stessa… ovvero cessa di essere icona.
E l’icona-Tex genera ancora discussioni: lo dimostrano gli stessi detrattori accaniti, le polemiche proprio sulla sua ripetitività e sul suo successo che dura.

A mio giudizio, se è vero che le storie basate sempre sullo stesso canovaccio possono apparire noiose alla lunga (e lo sono state proprio per me), esse tuttavia sono necessarie per rendere un personaggio seriale un personaggio eterno: nella sua complessità Tex è semplice. E' un vero eroe, un'icona quindi è necessariamente ripetitivo.
Questa affermazione di certo farà nascere più di una perplessità.
Il legame “ripetizione\iconicità” può sembrare assurdo in un mondo culturale in cui miti e successi durano pochi mesi (se non poche settimane) e poi si bruciano. In un mondo, tutto sommato, figlio del Romanticismo e del suo “genialismo”, influenzato da una visione parziale dell' “immaginazione al potere” del '68, la ripetizione sembra una bestemmia creativa. Eppure l'icona ha bisogno della ripetizione, o non sarebbe icona; e ha bisogno di fermarsi nel tempo, proprio perché rappresenta quel momento storico.
Si potrebbe obiettare che il tempo scorre, e che le cose cambiano. Che Marylin è un'icona popolare perché non abbiamo assistito alla sua decadenza. Ma si trascura la corrente sotterranea della cultura popolare, che si basa sulla continuità, sulla variazione minima sulle sue tematiche.

Le domande da porsi sono dunque diverse dal “ma perché si ripete”. Sono quelle che indagano se Tex sia davvero un'icona; se sia davvero figlio della cultura popolare non degli anni '40, ma di quella che è nata in Egitto o a Sumer, a Roma, e ha assunto una forma specifica nel Medioevo del'Europa Occidentale; in cosa segue questi modelli culturali e in cosa se ne discosta.

Rispondere alla prima domanda è semplice e insieme difficile, perché l'iconicità di un personaggio è condizionata dallo spazio\tempo in cui nasce.
Di certo Tex ha tratti iconici, se seguiamo la definizione data dal Dizionario Treccani [8]

Figura o personaggio emblematici di un’epoca, di un genere, di un ambiente

o da wikipedia [9]

Il termine icona (a volte anche icona pop) può essere usato per indicare una persona vista come modello da seguire negli ambiti più diversi di una società: cultura, spettacolo, moda, politica, economia, sport, eccetera. Nella cultura dell'immagine (cultura pop) è di frequente associata a immagini (icone) di personaggi molto seguiti dai media e in voga, che fondano uno stile, un look o un modo di vita che può essere invidiato, seguito o criticato dal pubblico e dalla gente comune.

Tex è icona perché è stato un modello per i fumetti successivi, per il cinema (non solo spaghetti-western) italiano e insieme è la sintesi di idee precedenti. Tex é l’anelito di giustizia, è il non arrendersi mai di fronte alla prepotenza, è colui che sa dove sia il bene e dove il male... e il bene è sempre la parte in cui sta Tex. In un'Italia da ricostruire dopo la guerra è colui che non delega, ma anzi non ha paura di esporsi per i deboli, e lo fa per l’unica ragione che gli altri sono deboli e che lui, invece, può fare qualcosa. È un eterno ingenuo, se vogliamo; un eterno fanatico, potreste dire; un eterno eroe, aggiungerei.
E' sicuramente figlio del superomismo del '900, che mescola tendenze anarchiche a tratti dell'etica gentiliana (il cavaliere solitario rappresentante e vendicatore della Giustizia, ma anche il “ranger” rappresentante della Legge).
Come i suoi epigoni Dylan Dog (che nel suo nucleo essenziale è l’eterno adolescente) e Martin Mystère (l’eterno curioso), anche Tex deve essere immutabile negli anni: cavalcherà sempre nelle praterie alla caccia dei criminali, dei prepotenti. E vincerà.
Tex è icona come Superman, come Orlando e come Artù: è una figura epica, ma di un’epica per il popolo, non epica alta per intellettuali.
E qui la prima domanda che di dovremmo porre davanti a Tex si salda con le successive: l'epica popolare si è sempre nutrita di storie ripetitive ed elementari… nel senso che riproducono costantemente e chiaramente sempre gli stessi elementi costitutivi.

Sento forte le risate dei miei avversari. Ma come, diranno: si parla di epica? Tex come Achille, Artù, Orlando?
Io dico di sì in modo altrettanto forte. Spero di poter dimostrare questa tesi nelle prossime puntate…


[1] Come detto, questa serie di scritti trae spunto da riflessioni fatte anni fa per rispondere all’articolo Dal vangelo secondo Tex, di Detritus, pubblicato in www.ultrazine.org/ultrapensieri/detritus02.htm; una risposta più dettagliata a quello che ritengo essere stato all’epoca il vero bersaglio di Detritus (ovvero la linea editoriale della Sergio Bonelli Editore) si troverà nell’articolo Oratio pro Tex.
[2] Detritus, nel suo articolo citato, erroneamente indicava in Polibio la fonte di trame per il Bardo inglese, ma ritengo si sia trattato di un lapsus calami. In ogni caso gran parte delle trame delle tragedie Shakespeariane di argomento classico derivano appunto dalle Vite Parallele di Plutarco.
[3] Ancora una volta si veda il futuro articolo intitolato Oratio pro Tex.
[4] Questo è il procedimento scelto da Detritus nel suo articolo.
[5] Ancora una volta: non parlerò dell'evoluzione della testata-Tex nel suo formato e (in parte) nelle sue tematiche; qui si vuole mettere in evidenza la continuità, nei confronti di forme narrative codificate e del passato editoriale del personaggio.
[6] Lo dimostrano i dati di vendita non solo degli inediti, ma anche delle ristampe, specie il successo di quelle (ricolorate) allegate a “La Repubblica”.
[7]Forse solo un altro delle colonne del “fumetto popolare” nostrano, il Diabolik delle sorelle Giussani, che proponeva un dilemma etico: un criminale convinto può essere un eroe? Badate bene: non un criminale costretto dagli eventi o pentito, ma un criminale ben lieto del suo ruolo!


PS: Le immagini sono tratte per lo più da albi della Sergio Bonelli Editore che ne è proprietaria: qui appaiono solo a corredo dell'articolo. Questo blog non ha fini di lucro

lunedì 24 febbraio 2014

EPICAMENTE TEX - INTRO

Copertina di Tex 600, dal sito della Sergio Bonelli Editore

EPICAMENTE TEX

(Alcune riflessioni su Tex e un divertissement) [1]


In un bel saggio di un po’ di tempo fa, Carlo Bordoni e Franco Fossati [2] presentavano un’acuta analisi della “letteratura popolare”: i due autori individuavano una linea che parte dal Romanzo d’appendice del 1800 per arrivare al romanzo poliziesco, a quello rosa, alla Science Fiction, al Fotoromanzo, alle Telenovelas e… al Fumetto!
L’analisi era ben condotta, e volutamente analizzava questi fenomeni solo a partire dal 1800, legandoli alla nascita e allo sviluppo della letteratura ***stampata*** per la massa. Tuttavia dobbiamo ricordare che la cosiddetta “letteratura popolare” o “paraletteratura” in precedenza è sempre esistita, benché propria soprattutto di una cultura orale o al massimo aurale [3]. Nell’Europa di queste culture il suo rappresentante più illustre era la versione per il popolino dell’epica, sotto forma di poemi ciclici o canterini [4].
L’argomento di questa analisi parte proprio dal punto di vista della sopravvivenza a volte inconscia di forme appartenenti a questa “epica minore”: ma “epica minore” è una definizione sbagliata e di comodo, alla pari di quella di “fumetto popolare”.
Questa analisi non potrà che essere un abbozzo aperto, naturalmente, a obiezioni. E non può essere diversamente se l’argomento di questa disanima è la sopravvivenza di forme epiche nel fumetto Tex della Sergio Bonelli Editore. 
E quando si parla di Tex il dibattito è inevitabile, almeno da sessant’anni a questa parte!


Tex è un’icona del fumetto italiano. Si può amare o odiare la creatura migliore di G.L. Bonelli; è però indubbio che tutte le riflessioni generali sul fumetto in Italia ***non possano*** omettere accenni al ranger che da oltre 60’anni domina le scene, con successo variabile ma sempre amplissimo.
Qui mi propongo di esaminare Tex come erede delle tradizioni popolari e, come detto, in un certo senso epiche; inoltre parlerò dei condizionamenti che ciò ha portato anche in alcune scelte editoriali nel periodo “pionieristico” e poi “del successo consolidato” dell’albo [5]. Inconsciamente (o consciamente?) G.L. Bonelli ha inserito molti elementi propri della tradizione popolare ORALE nel suo fumetto: la ripetitività di avvenimenti e personaggi, la caratterizzazione dei protagonisti e dei “cattivi”; se vogliamo la formularità delle espressioni; lo spazio reale/immaginario delle vicende; il voluto ignorare le incongruenze che si possono creare; la deformazione del tempo che porta il ranger a essere uguale a sé stesso nel tempo. In un tempo, inoltre, che non ha ancore coerenti e fisse.
Questi apparenti punti deboli (spesso contestati [6]) sono, a mio giudizio, un’eredità di quella tradizione epica di cui parlavo. Ne consegue che essi siano da valutare non solo per il valore “artistico” del fumetto, ma anche per la sopravvivenza di certe forme. Infine, perché no?, per spiegare il continuo successo di un fumetto palesemente ripetitivo: se la scelta editoriale di non innovare un fumetto nelle sue linee portanti per oltre quarant’anni può essere contestata, il successo di pubblico va spiegato.

Presento dunque alcune riflessioni e un divertissement. La prima riflessione è sostanzialmente un tentativo di dimostrare, attraverso gli esempi [7], la sopravvivenza di alcune caratteristiche dell’“epica minore” in Tex.
La seconda è la ripresa di un mio intervento di tanto tempo fa sulla Mailing List di Martin Mystère, che approfondiva una delle caratteristiche più importanti dei poemi canterini che si ritrova in Tex, ovvero la presenza dell’elemento soprannaturale.
La terza parte era una risposta all’articolo di Detritus comparso sul magazine online (attualmente sospeso) Ultrazine [8].
Infine presento un divertissement: dato che una delle caratteristiche dei poemi epici mancanti in Tex è la narrazione della morte (o della scomparsa dell’eroe), mi sono divertito a ideare il soggetto di quella che potrebbe essere la storia finale di Tex (ma non la sua ultima avventura editoriale mensile!).
L’inserimento di questo soggetto ipotetico diverrà, spero, chiaro al termine della mia dissertazione.

[1] Questa serie di articoli riprende, amplia e corregge in impostazioni e dati quanto proposto temo fa sul sito online di fumetto Ultrazine poi evolutosi nel blog dell'ideatore.
[1] C.Bordoni-F.Fossati, Dal feuilleton al fumetto – Generi e scrittori della letteratura popolare, Editori Riuniti – Collana Libri di Base n. 90, Roma 1985.
[2] Per cultura “orale” si intende quella in cui la trasmissione del sapere avviene esclusivamente attraverso la parola pronunciata, senza l’ausilio di fonti scritte; per cultura “aurale” si intende quella in cui la trasmissione del sapere è registrata in fonti scritte, ma essa viene fruita essenzialmente da ascoltatori (spesso analfabeti) di un lettore: di conseguenza il supporto materiale del testo “è oggetto uditivo, dunque fluido e mobile” (P.Zumthor, Semiologia e Poetica medioevale, citato in S.Guglielmino-H.Grosser, Il sistema letterario – Guida alla Storia letteraria e all’analisi testuale, Vol.I: Duecento e Trecento, Principato, Milano 1987, pagg.382-383). Grazie all’invenzione della stampa e alla diffusione dell’alfabetismo, la nostra cultura (e in questa dobbiamo includere anche il fumetto) è fondamentalmente scritta, ovvero passa attraverso la vista e non l’udito. Ma per quanto riguarda i poemi canterini ed i supporti visivi usati per la presentazione al popolo analfabeta delle vicende, si veda oltre la sezione dedicata alle sopravvivenze epiche in quel caso particolare della “letteratura popolare” che è Tex.
[3] Vedi Gugliemino-Grosser, op.cit., pagg.114-120 e Vol.II: Quattrocento e Cinquecento, pagg. 125-132, con i testi allegati.
[4] per comodità di analisi essa si limiterà ai primi 400 numeri della serie “Tex Gigante”, e quindi non tiene conto delle variazioni portate, ad esempio, dal passaggio del timone della serie dalle mani di Claudio Nizzi a quelle (prevalentemente) di Mauro Boselli.
[5] Si veda l’articolo di Detritus Dal Vangelo Secondo Tex che era stato all’epoca il motore di questa analisi
[6] La numerazione degli albi di Tex citati, ove non specificato altrimenti si intende riferito alla collana “Tex Gigante”.
[7] Vedi nota 4. Tale risposta, visto il tono forense usato da Detritus, era stata intitolata Oratio Pro Tex, e apparirà (rivista e corretta) in coda all’analisi.

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