lunedì 30 dicembre 2013

300 -Il fumetto di guerra secondo Frank Miller parte 1

Questa è la versione riveduta, aggiornata e corretta di un articolo uscito originariamente sulla fanzine “Clark’s Bar” oltre dieci anni fa.


300: il fumetto di guerra
visto da Frank Miller


UNA FINESTRA SULL’ALTRO
Gli Stati Uniti non sono l’Europa.
Sono i figli, forse i nipoti degli europei, e spesso non hanno un contatto diretto, una percezione, un interesse per i cardini della storia europea che non hanno avuto diretta influenza sulla nascita della Grande Nazione.
Ad esempio il loro ordinamento scolastico è zeppo di "Storia degli Stati Uniti"; nel nostro la storia tenta sempre una visione tutto sommato europea e poi mondiale, e solo di rado strettamente nazionale: un’impostazione nata dalla visione delle singole nazionalità europee come eredi del mondo romano.
E' quindi sempre interessante vedere autori americani confrontarsi con la storia, le leggende e i miti classici greci e romani: sono argomenti alla base della cosiddetta "cultura occidentale", ma che in realtà sembrano marginali rispetto al sostrato anglosassone e comunque germanico che permea la cultura statunitense. Un’interpretazione americana di questa storia, di questi miti è dunque una finestra aperta su come un “quasi-estraneo” veda le nostre radici.
Ma una finestra ha sempre due sensi: questa consente a noi europei di verificare quanto sia profonda l’infiltrazione di quell’idea chiamata America in campi che dovrebbero essere separati da quell’idea stessa.

Una delle opere in questo senso più significative è l'interpretazione della battaglia delle Termopili data da Frank Miller nel 1998 con 300, poi ripresa da un film di Zack Snyder del 2007 [1].
Frank Miller in versione Leonard Cohen
Miller è stato uno dei più grandi autori del fumetto made in USA degli anni ’80 e ’90. Nella fase iniziale della sua carriera ha dato un contributo fondamentale all’innovazione grafica e testuale del fumetto superoistico USA (Dark Knight Returns, Daredevil: Love and War, Elektra Assassin e Daredevil: Born Again bastino come indiscutibili esempi); successivamente si è (in parte) staccato dal genere, diventando una delle colonne di quel nuovo fumetto americano che, dalla fine degli anni '80, ha invaso i generi narrativi più disparati (si vedano la saga di Sin City o di Give me liberty).
In tutta la sua carriera Miller non si è mai tirato indietro dalla strada della ricerca di nuove forme di espressione e di narrazione, dimostrando una curiosità verso stilemi provenienti dal Giappone (Lone Wolf and Cub di Koike e Kojima in primis) o dall’Europa (Toppi).
Questa vena non si è fermata neppure se i suoi esiti più recenti sono stati oggetto di contestazione: si veda l’infinita polemica attorno ad Holy Terror o, per altre ragioni, sul suo pieno “debutto” alla regia cinematografica con The Spirit [2].

TERMOPILI 480 a.C.: LA STORIA COME VENNE NARRATA DAI GRECI.
In 300 Miller narra, con leggere deformazioni, una delle pagine più gloriose della storia greca: nel 480 a.C.
Serse, Gran Re dei Persiani, aveva attaccato la Grecia per vendicare la sconfitta di Maratona subita dieci anni prima dal padre Dario; aveva con sé un esercito che secondo gli storici greci superava il milione di persone, e una gigantesca flotta di appoggio. Contro di lui c’era una lega delle poleis Elleniche: un esercito molto inferiore in numero, fornito da città divise da lotte secolari e neppure troppo solidali contro il nemico esterno [3].
Il peso di coordinare la resistenza era affidato via terra agli Spartani, le perfette macchine da guerra dell'antichità, e sul mare alla flotta Ateniese. Ma la lotta appariva ai più senza speranza.
Inizialmente i Greci, vista la sproporzione delle forze, impostarono una strategia che prevedeva la creazione di due linee di difesa, una terrestre e una marittima. La prima si attestava appunto alle Termopili, l’unico e stretto passo di accesso dalla Tessaglia alla Beozia ed all’Attica; la seconda era marittima, presso il vicino Capo Artemisio [4]. L’intenzione non era quella di sconfiggere sul campo gli asiatici, cosa ritenuta improbabile, ma di bloccarli e logorarli; si voleva impedire la distruzione della Grecia fino a che il Gran Re si fosse stancato di un’impresa divenuta troppo dispendiosa.
Il piano inizialmente sembrò funzionare alla perfezione: i Greci, guidati dagli Spartani del re Leonida, fermarono via terra i nemici, la flotta della coalizione fece il suo dovere. Ma grazie al tradimento di un greco i Persiani scoprirono una via che aggirava le Termopili e consentiva agli asiatici di prendere alle spalle gli elleni: l'esercito greco sarebbe stato preso su due fronti e sterminato, grazie al preponderante numero dei nemici. A questo punto, per consentire una ritirata ordinata del resto dell’armata verso una nuova linea di resistenza sull’Istmo di Corinto, gli Spartani rimasero sul posto a farsi massacrare, seguendo la loro inflessibile legge di non ritirarsi mai [5].
Il sacrificio dei trecento spartani di Leonida, tutti uccisi senza pietà dai Persiani, rimase nella memoria greca come uno degli atti più eroici mai compiuti. La strage consentì di ritardare l'avanzata persiana abbastanza da consentire la riorganizzazione della flotta e dell'esercito ellenico: le successive vittorie di Salamina e di Platea, con le quali il pericolo persiano tramontò definitivamente, non sarebbero state possibili senza gli Spartani morti alle Termopili.
Si può forse ipotizzare che senza il loro sacrificio la civiltà greca sarebbe stata assoggettata dai Persiani, e la storia e la cultura del mondo occidentale sarebbero state ben diverse.

DA STORIA A PARADIGMA DEL FUMETTO DI GUERRA.
La battaglia delle Termopili fu una di quelle sconfitte che, ai fini della propaganda, valgono più di mille vittorie: per restare alla storia americana vi dice niente Alamo?
In quello scontro si mescolarono eroismo, abnegazione, il sacrificio dei pochi per la vita dei molti. Sulla battaglia nacque un mito che era ben vivo presso gli stessi greci. Non mancarono le frasi famose: un greco disse a Leonida, re di Sparta, che le frecce persiane sarebbero state talmente numerose da oscurare il sole; al che Leonida rispose solo: “Meglio, così combatteremo all’ombra!”
La battaglia divenne così un modello per l’epica bellica. Una Roncisvalle con il crisma della storicità accertata.

In epoca moderna le Termopili sono state fonte di ispirazione per film e fumetti [6], poiché quest'episodio è forse la quintessenza dell'avventura bellica di ogni tempo: oltre agli elementi già detti, la solidarietà di corpo, la devozione delle truppe al comandante e del comandante ai suoi uomini, il sacrificio in nome di ideali e del bene dei più… tutti elementi che si ritrovano in questa vicenda e in tanti film di guerra.

Frank Miller prende tutti questi spunti e li ripropone, a volte piegando la verità storica al suo fine artistico. Il suo fine è mostrare uomini avvezzi solo alla guerra nel momento cruciale in cui dovranno dimostrare di non essere semplici parassiti dei lavoratori civili, ma elementi indispensabili per la sopravvivenza dei valori e delle vite dei loro concittadini.

Un episodio ci sembra particolarmente significativo: l’incontro tra gli Spartani e i loro alleati Arcadi.
Alle proteste del capo degli alleati arcadi, giunti più numerosi degli Spartani, re Leonida replica che i trecento Spartani accorsi alle Termopili erano sì pochi di numero, ma erano veri guerrieri, nati, allevati e cresciuti solo per quel momento; gli arcadi, più numerosi, non erano veri guerrieri, ma contadini, mercanti, marinai, effeminati: uomini sottratti alle loro vere attività e prestati alla guerra. E orgogliosamente ripeterà la stessa frase anche davanti al Gran Re Persiano.
Fra le righe di queste frasi (Miller lo esplicita in altri punti della narrazione), si comprende per i trecento ci sarà la fine sicura, per loro non ci sarà ritirata: gli Spartani sono guerrieri, vivono in attesa della guerra (non per la guerra, tuttavia), non hanno null’altro in cui trovare ragione di vita. Gli altri potranno ritirarsi, se sconfitti, addirittura sottomettersi e continuare a fare ciò che facevano quotidianamente: gli Spartani no, ed è per questo che, al di là di ragioni strategiche e di opportunità, non si ritireranno.

In più punti della narrazione il Leonida milleriano ha ben chiaro che la spedizione si risolverà in un  disastro. E procede cosciente verso questa direzione.
La Legge di Licurgo, l’imperativo morale di Sparta è quasi nel DNA dei guerrieri: ecco la molla che spinge tutti ad affrontare il pericolo certi della morte, solo per essere coerenti con sé stessi.
La Legge che regola la vita di ciascuno Spartano dalla nascita alla morte, la vera Legge uguale per tutti gli Spartiati (ovvero i cittadini Spartani con pieni diritti). I guerrieri sono gli “Omoioi” ovvero gli “uguali”, poiché tra loro non doveva esserci differenza di ricchezza; condividevano la stessa vita: da sei a sessant’anni sotto le armi, pasti in comune, dormitori in comune, terra divisa in parti eguali tra loro, figli affidati allo stato e subito uccisi se nati inadatti alla vita militare.
Storicamente a Sparta non c’era (almeno all’epoca) la ricchezza che potesse differenziare gli Spartiati tra loro: le uniche monete riconosciute erano enormi dischi di ferro, perché il denaro non contava a Sparta. Lo Spartano nasceva e moriva membro della falange spartana, senza differenze tra il re e il semplice soldato. Gli Spartani combattevano per la Legge, per il proprio mondo, perché la loro esistenza non cambiasse. Perché loro e i loro figli potessero continuare ad essere guerrieri, in modo da tenere sottomessi gli schiavi che lavoravano per loro, consentendo agli Spartiati di essere guerrieri. Un circolo chiuso, immutabile, da difendere perché le alternative avrebbero sancito la fine di Sparta così com’era agli occhi dei 300.
La realtà di Sparta era l’unica scelta accettabile.

I trecento Spartiati sono trecento corpi ed una mente sola. Miller è straordinario nelle prime scene a mostrarci il gruppo in marcia, a far parlare il narratore collettivo nelle didascalie usando il "Noi", perché il singolo non esiste.
I Trecento sono un’unità, ce lo dimostra l’eccezione: il deforme Efialte è respinto da Leonida non perché è un freak, ma perché tale malformazione non lo rende in grado di inserirsi in quella macchina perfetta che è la falange oplitica.
    "Noi combattiamo come una singola, impenetrabile unità. Questa è la sorgente della nostra forza. Ciascun Spartano protegge l'uomo alla sua sinistra. Dalla coscia al collo. Con il suo scudo. Un singolo punto debole... e la falange si frantuma". (Leonida)
L'elmo corinzio adottato dagli Spartani e da tutti i greci, impedisce al guerriero la visione laterale (Miller ce ne da un esempio nel quinto albo), consentendo di vedere solo davanti a sé e lasciando ciechi i lati, e quindi il guerriero deve affidarsi alla presenza del compagno che gli copre il fianco. Negli scontri oplitici non vince il singolo, il combattimento corpo a corpo è pressoché bandito: vince il gruppo, l'unità, chi ha protetto il compagno a fianco e da lui è stato protetto.
Nella narrazione milleriana dal gruppo emergono alcune figure (il capitano, il narratore, il novellino), ma sono solo i rappresentanti di quelli come loro nel gruppo, sono più esempi che vere personalità, hanno le loro funzioni all'interno e a servizio del gruppo: anche loro sono personaggi-tipo delle storie di guerra.
E se vogliamo anche Leonida si stacca solo perché è il re, figlio di re: l'educazione è stata uguale a quella dei suoi compagni, mangia con loro, marcia con loro, vive come loro, muore come loro. La guerra appiattisce le differenze sociali (peraltro tendenzialmente inesistenti a Sparta, il re aveva lo stesso censo degli altri), e Leonida si distingue perché è il portavoce più che il capo.
Un portavoce che non ascolta gli altri, perché sa che gli altri la pensano esattamente come lui, coem dimostra l’episodio finale di Leonida davanti a Serse con l’intervento di Stelios.

Di contro i "barbari", i Persiani: un’antica civiltà splendida ma decadente. I perfetti nemici per una storia di guerra.
Serse è coperto di gioielli (i fan del piercing lo accoglierebbero come uno di loro, visto il numero di anelli sul suo viso), viaggia su carri coperti d'oro e che ricordano il trionfo di Cleopatra nell’omonimo film, parla tramite intermediari, corrompe. Quando si trova in battaglia è solo per assistere, non è la punta del cuneo come Leonida. Fisicamente sembra un ragazzo: Miller sembra suggerire che tutta l’Asia si è mossa per il capriccio di un bimbo.
I Persiani vinceranno alle Termopili perché sono superiori: come in tante storie di guerra, possono prevalere sui “buoni” solo grazie al tradimento del deforme Efialte, uno Spartano respinto dai suoi Questi serve a darci un altro luogo comune della vicenda bellica, quello del tragedia del traditore. Non sembra trattarsi di un malvagio, ma piuttosto di un deluso che non è nel gruppo degli eroi perché non può esserci, e soffre di questa esclusione. Efialte è cresciuto solo, nel sogno di entrare nella falange, e agisce come un "solitario": gli spartani veri non tradiscono i compagni perché non saprebbero nemmeno pensarlo, non più di tradire sé stessi. Verso Efialte il re non ha rabbia, solo pena.

Per rendere la sua narrazione un paradigma, Miller deforma alcuni dati storici, piegandoli per fini esemplari o drammatici.
Innanzitutto gli efori: da magistratura annuale formata da anziani Spartiati e destinata al governo della città, gli efori vengono trasformati da Miller in una congrega di avidi sacerdoti; essi, grazie a un’interpretazione formalistica e deformata della Legge di Licurgo tengono sotto controllo anche re Leonida; corrotti dall’oro persiano, cercheranno di ritardare la partenza del re con la scusa di una festa religiosa.
Qui Miller mischia le carte e gli episodi storici: in realtà il potere del re era ben al di sotto di quello degli Efori; essi non erano sacerdoti più di quanto non lo fosse ciascun magistrato di una qualsiasi città greca. Quanto all’episodio della marcia rinviata per scrupoli religiosi, essa non risale alla guerra contro Serse ma a quella contro Dario, avvenuta dieci anni prima: e allora gli Spartani non portarono davvero aiuto agli Ateniesi, non per invidia né per paura, ma solo perché avevano avuto un oracolo sfavorevole.
Tutta la faccenda degli efori serve a Miller per mostrarci come la scelta di Leonida sia dettata da un dovere interiore che supera anche la devozione religiosa e gli aspetti più formali della Legge; se volessimo osare l’ipotesi dell’inferenza di un autore classico, sembra quasi il ripetersi del motivo della scelta solitaria (e con esito funesto) dell’eroe nelle tragedie Sofocle.


Miller fa gettare da Leonida in un pozzo gli ambasciatori persiani, a causa della loro arrogante proposta di resa. Questo trattamento riservato agli ambasciatori persiani è naturalmente falso: nessun sovrano greco avrebbe sfidato l’ira di Zeus protettore degli stranieri; e l’ambasciata andò dagli efori, veri detentori del potere, e non dai due re… e gli efori rifiutarono la proposta di Serse. L’episodio serve ancora una volta per mostrarci la fredda ira (ma è davvero ira o semplice comportamento automatico?) del sovrano: Leonida è l’eroe che non può accettare imposizioni da stranieri presuntuosi. Insieme a questo, ecco la punizione per l’arroganza di chi crede che nulla lon possa toccare, solo perché è protetto da giuramenti ipocriti e da un potere lontano che si crede invincibile.

Miller si diverte, in realtà, a narrare una storia di guerra del quinto secolo avanti Cristo con la sensibilità di un uomo degli anni ’90, filtrata dagli stilemi della guerra fredda.
Mai in tutta la storia c’è il dubbio di dove si trovi la verità, il “bene”; atti dal nostro punto di vista orribili e feroci trovano la loro giustificazione: lo sterminio dei bimbi nati deformi; la dura educazione; il totalitarismo di uno stato spartano che informa tutta la vita dei suoi cittadini, omologandoli ed eliminando quasi il pensiero indipendente; l’uccisione degli ambasciatori; l’uccisione dei feriti persiani a sangue freddo, mentre con umorismo nero Leonida dice che bisogna comportarsi civilmente con i nemici… Miller è abile nel mostrarceli “normali” e “necessari”.
Necessari, perché chi deve fare le grandi scelte deve essere pronto ai massimi sacrifici. Miller sa che in gran parte della Grecia le cose non andavano così, nel suo stereotipare non arriva a descriverci una sorta di Età Hyboriana nel cuore del Mediterraneo: all’ambasciatore persiano che, cadendo nel pozzo, urla che “Questa è blasfemia! Questa è follia!”, Leonida, nell’atto di dare il calcio che farà precipitare l’asiatico, dice “Questa è Sparta.”

I buoni sono i buoni, i cattivi sono i cattivi. E’ un mondo di bianchi e neri (il nero invade le tavole, opponendosi ai colori sfumati con la sua massa piena): gli efori traditori non hanno altra motivazione se non l’avidità; i persiani sono solo carne da macello al servizio di dignitari spietati e schiavisti; sopra di essi domina un bimbo crudele cresciuto tra agi e lussi, carico d’oro ed incapace di capire altro che non sia la sua superbia.
I buoni sono buoni fino in fondo, qualsiasi cosa facciano, perché lottano per  valori positivi (la libertà, la patria lontana, i cari che li aspettano a casa), mentre i nemici lottano solo per la sopraffazione.

Come già accennato, sembra sfuggire a questa classificazione solo Efialte, traditore perché respinto dai suoi; Miller apparentemente abbozza un approfondimento psicologico, apparentemente giustifica le sue azioni, apparentemente vuol mostrare come un grottesco aspetto fisico possa condizionare le scelte.
Ma Efialte non è Quasimodo: scavando si rivela niente più che un tipo, come tutti gli altri protagonisti di questa storia. Efialte è il tipo del traditore divenuto tale perché si ritiene ingiustamente escluso, offeso, tenuto da parte: Leonida lo compiange dicendo che se le cose fossero state diverse…  ma è solo un istante, non più di quanto sia necessario, perché Efialte è dal punto di vista di Sparta inutile per la guerra, e quindi inutile del tutto. Eun guerriero non deve rimpiangere più del minimo necessario le cose inutili.

Si possono rileggere decine di episodi di storie di guerra o anche qualche classico western di Tex, e scoprire tanti personaggi (o meglio tipi) che come Efialte tradiscono non perché lo vogliano davvero, ma perché inseriti in un meccanismo che non capiscono. Fanno il male solo perché raggirati dai veri cattivi, in realtà tradiscono solo per essere accettati da chi li ha respinti, all’ultimo si pentono… [il modello occidentale è Giuda Iscariota, specie nella versione che ritroviamo nel musical Jesus Christ Superstar].
Ed anche Efialte, davanti a Leonida che sta per cadere, lo supplicherà di arrendersi, schiacciato non dal confronto col re, ma da quello con quanto avrebbe sempre voluto essere, e che Leonida incarna.


[1] spiacenti, qui non tratteremo del film: qui si parla solo del fumetto! Ma contiamo che i prodi di Cinematografia Patologica prima o poi capitino sulle rotte di Snyder.
[2] In realtà Miller è accreditato come co-regista per alcune scene di Sin City diretto per lo più da Robert Rodriguez; ma The Spirit è la prima opera cinematografica sotto il suo pieno controllo. Altro subdolo suggerimento per le recensioni ai patologici.
[3] ad esempio Tebe aveva dichiarato la sua neutralità, e perciò indirettamente appoggiava il Grande Re. 
[4] la battaglia del Capo Artemisio e le vicende che portarono alla Seconda Guerra Persiana sono
l’argomento di Xerxes, la nuova opera di Miller… destinata a uscire dopo il film tratto da essa (sic!)! Ovvero, non prima della primavera del 2014 se non oltre.
[5] non si può escludere che questo sacrificio fosse motivato anche da una ragione politica. La ritirata sull’Istmo avrebbe lasciato la città di Atene in balia del saccheggio persiano (cosa che in effetti avvenne), e Sparta non era stata coinvolta direttamente nella guerra di Dario. Insomma: forse (e sottolineiamo ‘forse’) Sparta doveva dimostrare ad Atene ed alleati che non si ritirava per dare un colpo mortale ai suoi alleati\avversari greci per poi trattare con i Persiani; doveva quindi mostrare di essere disponibile a un sacrificio per il bene comune. La malizia non sembri così cervellotica: subito dopo la sconfitta di Serse i due alleati divennero nemici, e sia Ateniesi che Spartani chiesero e ottennero in tempi successivi l’aiuto dei Persiani contro la città rivale.
[6] a solo titolo di esempio ricordiamo la versione di Breccia con protagonista Mort Cinder e la rivisitazione in chiave moderna di Wood ed Oliveira nel loro Gilgamesh.

Come sempre le immagini non mi appartengono, ma sono tratte da Internet, e qui sono solo a corredo dell'analisi. Questo blog tenacemente continua a non avere fini di lucro.