mercoledì 13 novembre 2013

Il peso del Numero Uno




ORFANI #1 – Solo qualche riflessione

Tra pochi giorni esce il numero due di Orfani, la serie di Roberto Recchioni, Emiliano Mammucari e Franco Busatta. Atteso, (talvolta) odiato a prescindere e (spesso) altrettanto a prescindere celebrato, Orfani è stato sicuramente un evento, ma i suoi effetti si potranno valutare solo sul medio-lungo periodo.

Per ora qui riporto alcune mie notazioni sparse, e la “revisione” di un mio intervento a commento di una recensione apparsa QUI ... prima che l’uscita del numero due mi “costringa” ad ampliare il discorso.

Innanzitutto qualche spunto sul linguaggio del fumetto, che sembra essere giustamente una delle principali attenzioni di Roberto Recchioni.

In Orfani #1 non troviamo in nessun modo quello specifico bonelliano d’antan che vedeva la didascalia regnare sovrana nei cambi scena [1]: le didascalie sono
a. assenti;
b. limitate a una voce fuori campo di sapore apocalittico, simile a quanto visto ad esempio in Kingdom Come;
c. presentate come voce corale, alla 300 di Miller. O, se il paragone non è azzardato, a un narratore fuori campo al cinema. Resta solo da stabilire se la voce appartenga a uno dei protagonisti o a un narratore collettivo\oggettivo [2].
Il percorso iniziato su Ken Parker da Berardi e Milazzo anni fa, sembra quindi compiuto, benché perfino in casa Bonelli non si possa di certo considerare una novità [3] .

Più interessante sembra la struttura perfettamente bipartita dell’albo.
Invece che un montaggio incrociato, la sceneggiatura ha preferito una separazione netta tra il tempo-addestramento e il tempo-combattimento [4], creando così una soluzione originale per la gestione dei flash back.

Il registro linguistico usato dai personaggi non mi è parso una novità così dirompente.
Volendo ridurre all’osso, la novità è costituita due parolacce o dare del “lei” invece che del “voi” come nel dialogo postcoitale tra Colonnello e Dottoressa. Se l’asciutta essenzialità sembra l’obiettivo finale (meno parole, più peso alle immagini), c’è da lavorare ancora. Il modo di parlare degli Orfani-ragazzi sembra, come già notato da altri, particolarmente artificioso.
Diciamo che è un inizio, ma non è certo questa la rivoluzione che sembrava di poter intuire dalla campagna promozionale.
La lettura del primo numero mi ha suscitato poi alcuni dubbi sull’efficacia del prodotto finale, soprattutto in rapporto alle attese suscitate dalla detta campagna di marketing.

Innanzitutto la novità del materiale.
Non discuto sull’originalità: il mondo che conosciamo è fatto da meno di 100 elementi chimici, e si dice che tutte le storie nascano da 36 situazioni che si ripetono[5]. La vera abilità è quella di miscelare i diversi elementi, nella genesi di qualcosa di interessante: discutere se la storia abbia degli stilemi già visti è abbastanza ingiusto.
In questa polemica “originalità sì \ originalità no”, la sottocategoria “citazione sì \ citazione no” mi turba ancora meno: trovo la disquisizione su quanto sia vera citazione e quanto in realtà sia Zeitgeist e atmosfera comune, sterile e condizionata dalle preferenze di ciascun lettore. QUI e QUI Roberto Recchioni ha dichiarato la sua posizione: il resto sta nel gusto del lettore di accettare quanto detto dall’autore, condividerlo o respingerlo. [6]

La vera gran quistione è capire se, una volta individuato il target del destinatario, il menu cucinato per lui si è rivelato adatto e saporito.

Ogni serie, ogni albo, nasce con un pubblico ideale cui l’opera si rivolge.
Il problema, come per ogni prodotto, è identificare il target giusto. Vista la portata mediatica dell’operazione si poteva pensare che gli obiettivi, oltre alla mera sopravvivenza\rientro dell’investimento, fossero più ambiziosi, ovvero:
1. coinvolgere in una nuova serie i lettori che nel tempo hanno abbandonato per ragioni di disamore i titoli della Bonelli; come ricaduta più ampia, suggerire ad essi la trasformazione in atto della casa editrice milanese e convincerli a dare una nuova possibilità alle serie “classiche”, ovvero invertire quel fenomeno di emorragia di lettori che sembra colpire la Bonelli da anni.
2. attirare lettori che sono al di fuori del tradizionale bacino Bonelli o addirittura al di fuori del pubblico che legge fumetti, con la speranza che si affezionino non solo a Orfani, ma possano provare curiosità anche verso altri titoli [7].
E non fa male se nel frattempo, ci si fa leggere volentieri anche da…
3. i lettori-zoccolo duro della Bonelli, che sono quelli che “reggono la baracca” da anni.
Si tratta di tre pubblici molto diversi tra loro, quindi il rischio di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, e contemporaneamente scontentare tutti quanti è alto.
 
Come individuare il target giusto, quindi?
Talvolta gli autori usano la formula “questo è il fumetto che avrei voluto leggere io se fossi un lettore”: il target è dunque costituito da chi ha i gusti simili allo scrittore [8]. Target abbastanza chiaro… oppure no.
In realtà questo significa che il pubblico di riferimento nasce da una semplice operazione:
numero di persone che hanno i gusti dell’autore in base a ciò che vorrebbero leggere meno (quelli che non leggerebbero in nessun caso\ non leggeranno comunque fumetti + quelli che non leggerebbero mai\non leggeranno comunque fumetti Bonelli)
I tre elementi sono abbastanza chiari, ma non so in che misura quantificabili con precisione.
Scendendo nel caso del RRobe (la generalizzazione è evidente): non tutti gli amanti di Tony Scott, dei Videogames, del porno di un certo tipo, del kendo hanno voglia di leggere un fumetto. Anche se corrispondesse esattamente agli argomenti delle loro passioni. Semplicemente perché il medium fumetto non è la stessa cosa rispetto alla passione di partenza.
Fermo restando che Orfani, per ora, non è un porno di un certo tipo :-)

Si dirà che questo è un discorso troppo generico per avere una sua validità; anzi, che è banale nella sua ovvietà. Ok, ma visto che il pubblico-target numero 2. sembra quello più appetitoso per l’operazione, non mi pare così irrilevante.
Le scelte narrative di Recchioni su Orfani sembrano molto coerenti con i suoi gusti, così come emergono dal suo blog: non conosco personalmente Roberto, quindi mi fido del fatto che il suo personaggio pubblico corrisponda in gran parte all’uomo che c’è a riflettori spenti. Ma i riferimenti a Cameron, a Halo, ai Wildcats, a X-men di Claremontiana memoria… quanto sono attuali e interessanti per un pubblico nuovo?
Tranne i videogames, i titoli citati sono un riferimento per me, nato nel 1971. Non vorrei essere eccessivamente pessimista: ma quanto lo sono per un lettore più giovane o, per lo meno, per un lettore più giovane che non sia di nicchia?

Credo che Orfani, per lo meno al numero uno, riesca meglio come operazione di recupero dei Bonelliani delusi, più che attrazione per nuovi lettori che non hanno mai sfogliato un Bonelli.
Lo è perché non vedo un legame stretto tra videogames\cinema\quant’altro e fumetto, se non l’identità di trame e ambiente. Se gioco a uno sparatutto, come posso trovare la stessa adrenalina nella lettura di un fumetto? Se mi voglio immergere in un cinema spettacolare che mi trascini senza respiro, come posso sperare di ritrovare la stessa emozione nel cartaceo?
Il fumetto ha altro fascino, ha altra presa perché altro è il linguaggio del medium.

Inoltre, riprendendo ciò che ho scritto altrove, oltre ai problemi di fondo dell’intera operazione c’è quello specifico del numero 1.
Quale è il compito del numero 1, che è un compito più gravoso di un numero 2?[9]
Banalmente un numero 1 di una serie deve essere valido per sé stesso, ma soprattutto deve trainare la serie.
La domanda dunque è: Orfani 1 ci riesce? Secondo me no.

Che sia il numero 1 di un fumetto o di un telefilm (vista l'impostazione per stagioni ribadita dall’autore, credo che il paragone sia d'obbligo) deve attirare il fruitore presentando
a) un eroe talmente caratterizzato da essere una sicurezza (o al contrario una novità), comunque un catalizzatore. Per esigenze di spazio e di scelta narrativa, gli Orfani non sono così caratterizzati: paradossalmente emergono il soldato e la dottoressa, che sono dei comprimari. Ben fatti, che metteranno pepe alla vicenda, ma comprimari. Nei suoi limiti, anche il classicissimo Saguaro#1 aveva svolto degnamente questa funzione: è un uomo con un passato da scoprire. Poi può non piacere, e non si compra, ma non c’è dubbio che metta delle promesse di serie molto chiare.
Orfani non è la storia di guerrieri dal passato sconosciuto da scoprire: mancano delle tessere, ma potremmo accontentarci di quello che abbiamo nel numero 1.

Oppure
b) una situazione che "acchiappa". Insomma: una guerra contro gli alieni che distrugge mezzo mondo non è più la novità che può svolgere questo ruolo. Potrebbe farlo una guerra "strana", dall'andamento imprevedibile. Space Cruiser Yamato lo faceva, con la corsa contro il tempo. Qui non c'è. Non c'è il mistero, non c'è neppure il "e ora come va a finire?". Come detto sopra, volendo, la storia si può chiudere col numero 1: c’erano dei bambini sopravvissuti a una strage, ora i bambini sono divenuti guerrieri. Fine.

Oppure
c) un linguaggio fumettistico inaspettato, nel disegno o nei dialoghi. Qui il discorso è più problematico, e sembra che siano stati presentati come il nucleo dell'operazione proprio perché gli altri due punti non sono così forti (per lo meno nel primo numero).
Ho già detto che in questa sede il discorso del citazionismo, del già visto, del marketing etc. interessa tanto quanto (per lo meno non interessa me). A mio parere è ben più rilevante guardare a ciò che viene presentato come elemento innovativo della serie.


a. IL COLORE. Innanzitutto non credo che sia davvero un traino per l'acquisto di una nuova serie il fatto che sia la prima serie Bonelli a colori: il colore è una novità per Bonelli (anzi: per una serie mensile Bonelli), ma non è una novità assoluta. Semplificando: ottimo il lavoro sul colore, ma siamo sicuri che chi non leggeva Bonelli lo facesse **solo** perché i suoi albi erano in B\N?
Mi spiego: se si vogliono attirare lettori nuovi, il colore è qualcosa che si aspetta chiunque legga USA, chiunque guardi un film d'azione. Un po' come dire, seguendo una vecchia pubblicità: "il nostro caffè è tostato!". Ok, ma anche gli altri lo sono: il fatto che nessun altro lo dica ormai non è davvero quel di più.
Si risponderà: no, guarda, forse qualcuno non leggeva Bonelli **anche** perché era in B\N. Ok, ci sta di più, ma sposta altrove l’attenzione su ciò che è interessante per nuovi lettori. Insomma: il colore come condizione necessaria, ma non sufficiente per l’acquisto.

b. IL DISEGNO. Puntiamo sul disegno? Vogliamo attirare con disegni stratosferici e nuovi? I disegnatori dichiaratamente (e non potrebbe essere diversamente) cambiano quasi ogni mese per esigenze di pubblicazione. Non stiamo parlando una serie francese con cadenza annuale, e quindi una uniformità è impensabile sopra un certo livello. Oltre che sarebbe svilente per gli stessi disegnatori. Quindi un gradimento grafico deve essere conquistato numero per numero… e non può per questa ragione essere un punto decisivo.
Per quanto attiene ai nuovi lettori non va trascurato un altro aspetto: i Mangafan non amano la griglia Bonelli (né, in molti, quel tipo di disegni), anche se stemperata; i Coconiniani hanno altri parametri. I fan dei videogames e ancor di più quelli dei film hanno modelli visivi ben diversi. Insomma: la forza grafica della serie non può essere il traino principale, specie se si vuole fare una “campagna acquisti”.

C. I DIALOGHI. Innovazioni nei dialoghi? Come detto sopra il linguaggio di Orfani è ***solo in parte*** diverso da quello bonelliano, ma non è un'esplosione di gag o di dialoghi cool così ben scritti da essere la vera ragione per acquistare anche i numeri successivi.
Per chiarirci, non dico che i dialoghi siano scritti male: semplicemente non sono la ragione che, invece, mi farebbe comprare un nuovo fumetto di Ennis; ma è anche vero che Recchioni vuole e deve essere sé stesso, non vuole fare Ennis .

In conclusione: i tre aspetti sono in una fascia medio\alta, ma nessuna di esse è veramente un di più, non sono così travolgenti da attirare con forza verso il prosieguo dell’acquisto. Anzi: in alcuni casi sono un rischio.
Mi pare che il tentativo di innovazione sia stato fatto a metà: dovendo cercare di pescare tra tre tipi di pubblico diverso, si sono fatti dei compromessi che rischiano di non essere così decisivi.
Da un lato si esalta il vecchio lettore Bonelli, magari quello deluso, col colore (ti do' quello che non hai mai avuto), dandogli la certezza della griglia che presenta variazioni nel solco della tradizione.
Però poi lo si spiazza con qualcosa che non è Bonelli puro: ad esempio l'albo si legge troppo velocemente per un pubblico Bonelli, credo. Non ci sono gli "spiegoni". Non si da' al pubblico la sicurezza del conosciuto. Si dirà: lo scopo era innovare nella tradizione. Ok, ma è una cosa delicata. Secondo me c'è **troppo** per un lettore Bonelli e (vedi sopra) **troppo poco** per un non Bonelli.

Quello che secondo me serviva anche a questo numero 1 era un gancio forte che trainasse il lettore, vecchio o nuovo che sia.
Un gancio che può nascere da un personaggio forte (Dexter), da una situazione che acchiappa per le possibilità della sua evoluzione (Breaking Bad, Lost), da una innovazione nel linguaggio del medium (How I Met Your Mother). O da una combinazione di questi elementi (Misfits stagione 1). Gli esempi televisivi ci sono per le ragioni dette sopra.
In Orfani #1 questi ganci mancano. E non perché le cose siano viste o non viste.

Il vero problema è che Orfani 1 mette poche domande, non crea attese se non di bassa intensità (ancora una volta: a leggere molti commenti, è un mio problema, altri sono in fremente attesa dello sviluppo).
Anzi: salvo alcuni lanci necessari per non rispiegarli dopo e che generano ovviamente attese piuttosto deboli [10], non ci sono domande davvero forti per cui sia necessario continuare a leggere la serie alla spasmodica attesa delle risposte.
Gli alieni ci hanno attaccato? Va bene, sono cattivi. O sono invasori che hanno il pianeta in crisi. O sono un loop temporale. O vogliono conquistare il mondo. Tre quarti delle serie d'azione si basano su questo, sono tutte belle ipotesi, ma non necessarie.
I bambini diventano guerrieri? Ok, ma sono coerenti con i presupposti. Mi posso chiedere: "Se prima erano 7 perché ora sono solo 5?" (= "chi muore?"), ma la caratterizzazione, per esigenze narrative è talmente basica che questa domanda (e quella collegata: "A chi corrispondono i guerrieri?") è quasi superflua. Non ci si può affezionare ai personaggi per quanto visto nel numero 1, perché c'è troppo poco. Non possiamo quindi trovare l'impulso della "paura della tecnica Martin", ovvero "ma non è che quello **## di Rrobe mi ammazza proprio il personaggio che preferisco?????".
Ciò vale almeno per il primo numero. Si deve dare per scontato che nei numeri successivi le cose cambieranno, con pagine e dialoghi che si accumulano. Appunto: bisogna far arrivare il lettore al punto in cui si affeziona.

Altre domande come: "ma perché hanno aspettato 20'anni per la controffensiva etc etc etc", come già detto mi appaiono irrilevanti. Possono essere curiosità, ma non accendono (in me) la brama di sapere. Ce lo diranno poi, ma potrebbero anche non dircelo. Semplicemente è andata così.
Io sono un lettore di Martin Mystère, il regno dello "spiegone", ma non sento il bisogno che tutto sia chiaro in questo primo numero degli Orfani: le cose succedono, non c'era tempo per raccontarlo e basta. Che ha fatto Obi Wan Kenobi tra il l’ultimo duello contro Anakin e l’apparizione di Luke? Boh, cose. Se servisse, ce le avrebbero dette. Magari erano fighe, ma non servivano alla storia, quindi non ci sono.

Devo essere sincero: per me il numero 1 di Orfani è sostanzialmente una storia autoconclusiva.
Fatta bene o male non importa, in realtà. E' una storia che può anche rimanere chiusa. Tutte le domande sono un di più, gradevole, ma non necessario.
E questa è la sua debolezza intrinseca, perché costringe il lettore a dirsi: fumetto non male, come da tradizione Bonelli, ma devo fidarmi degli autori (se mi voglio fidare) per aspettare quando sarà davvero fighissimo (se lo sarà). A fare un atto di fede. E visto che vuole essere innovativo, cambiare le regole… avrebbe dovuto probabilmente farlo in modo più chiaro da subito.

[1] vedi QUI le mie riflessioni sull’uso della Didascalia in generale e QUI l’indice della disamina delle didascalie in Watchmen di Alan Moore.
[2] alcuni hanno commentato che la scena dell’orso è tratta da 300: come ha prontamente specificato l’autore, si tratta di un omaggio alla run Demone Orso dei Nuovi Mutanti di Chris Claremont e Bill Sienkiewicz. La didascalia da “voce collettiva” mentre i futuri orfani marciano, sembra invece un riferimento diretto a Miller (o a eventuali suoi modelli che non sono in grado di individuare). Nell’opera milleriana la voce “collettiva”, come ci dimostrano le didascalie alle ultime due doppie tavole, NON è quella di Delios.

[3] Caravan, Saguaro, Greystorm, Shanghai Devil solo per citare alcune delle serie\miniserie recenti della Sergio Bonelli Editore lo facevano pienamente, ma già in Dylan Dog #1 la didascalia esplicativa “texiana” era pressoché abolita.
[4] qua e là in rete si disquisiva su “ma cosa hanno fatto gli alieni nei dieci\vent’anni tra un momento e l’altro”. Per quanto ne sappiamo, potrebbero non essere passati che pochi mesi tra le due parti dell’albo: se la Terra ha sviluppato una tecnologia che permette il volo iperspaziale, perché non ci potrebbe essercene una simile che acceleri la crescita?
[5] le curiose 36 situazioni narrative di Polti, per cui rimando a questo link. Nota: come puro gioco possiamo dire che Orfani potrebbe rientrare nella situazione 3 (La vendetta che perseguita il crimine), nella  6 (Disastro), nella 9 (Audace impresa), forse nella 20 (Sacrificarsi per un ideale); sarà curioso vedere se la lotta contro gli alieni potrebbe configurarsi come una situazione 31 (Lotta contro un dio). O, più semplicemente e sulla scia di Queneau, se tutte le storie sono una rimasticatura dell’Iliade (il conflitto) o dell’Odissea (il viaggio), Orfani pesca da entrambe.
[6] QUESTO mio post sullo Zeitgeist dovrebbe chiarire la mia opinione in merito.
[7] non deve creare stupore il fatto che nella terza di copertina di Orfani non vi sia la pubblicità di Tex (vera colonna portante della Bonelli) o di Nathan Never (il più vicino a Orfani per genere), ma di Dragonero, altro prodotto Bonelli presentato come novità rispetto alla tradizione di via Buonarroti.
[8]ricordo che da qualche parte, chissà dove e chissà se davvero, RRobe diceva che l'età media degli autori Bonelli è alta, e quindi fare il discorso “scrivo ciò che vorrei leggere” non vale a trovare nuovi lettori. Ma non sono riuscito a ritrovarlo nel mare magnum del web, quindi potrei fare confusione su autore e frase, e se sbagliassi me ne scuso preventivamente.
[9] nella mia esperienza personale se l’1 è efficace, un 2 mediocre o non a livello può essere accettabile; la crisi comincia col 3; un numero 1 meno che efficace e interessante produce un abbandono quasi immediato. Non sono un campione attendibile, ovviamente, se non per quanto riguarda me stesso J
[10] il vaccino per sopravvivere sul pianeta è discutibile come impostazione (l’iniezione), ma è una trovata narrativa che genererà quasi sicuramente una sequenza - vedi lo stesso ruolo nel recente After Earth.

Le immagini sono tratte da QUI, QUI, QUI, QUI, QUI e QUI e non mi appartengono: sono poste a corredo dell'analisi. Questo blog non ha fini di lucro.

sabato 9 novembre 2013

RILEGGENDO V FOR VENDETTA - INDICE MOORIANO

L'uomo dietro la maschera di V secondo Luca Paciolus!


RILEGGENDO V FOR VENDETTA - L'INDICE
In attesa delle misteriose celebrazioni per il sessantesimo compleanno del Bardo Barbuto, ecco l'indice dei post dedicati all'analisi di V for Vendetta.

1) L'Intro

2) Nuove formule per vecchie storie

3) Intermezzo: parla Valerie

4) La filastrocca di Guy Fawkes

5) V for Vendetta letto come un Bildungsroman, Parte PRIMA e parte SECONDA

6) V for vendetta come Battaglia di Idee
Colgo l'occasione per ricordare un'altra sequenza di post dedicati a una delle soluzioni linguistiche più geniali nell'altro grande capolavoro di Alan Moore: l'uso delle Didascalie!

1) Introduzione all'uso delle Didascalie in Watchmen: i diversi tipi
2) L'uso delle didascalie e il Diario di Rorschach
3) L'uso delle didascalie e il Fumetto dei Pirati
4) L'uso delle didascalie in scene (più o meno) contemporanee
5) L'uso delle didscalie e il Diario del Dottor Long
6) L'uso delle didascalie per raccontare i Pensieri del Dottor Manhattan
7) L'uso del rumore della TV in forma simile alle didascalie
8) Statistiche sull'uso delle didascalie

E infine due brevi (?) articoli su Moore
1) Qui una riflessione su un geniale uso del lettering in From Hell
2) Qui brevi curiosità sull'uso delle date in alcune opere di Moore
3) Qui una riflessione su come Moore tratta la sincronicità in un albo di Watchmen

RILEGGENDO V FOR VENDETTA - BATTAGLIA DI IDEE



Alan Moore tra V  Watchmen, 
vista da Luca Paciolus (il copyright è suo)




V FOR VENDETTA 
COME BATTAGLIA DI IDEE

QUI e QUI abbiamo parlato di V for Vendetta di Alan Moore e David Lloyd analizzandolo nel’ottica del genere romanzesco chiamato Bildungsroman.
In questa sede ne parleremo su un secondo piano, che parte dai personaggi, ma arriva alla filosofia politica: perché V for Vendetta è anche un trattato che confronta due diverse idee del mondo, della giustizia, dell’uomo.

Naturalmente i due piani non sono separati, perché l’abilità di Moore consiste anche nel porre infiniti parallelismi e riferimenti interni: solo per fare un esempio, la regina Zara [1] (la regina, simbolo dell’Inghilterra e degli inglesi) ha sedici anni, esattamente come Evey.

Proprio questa abilità consente al Barbuto Bardo di Northampton di descrivere questa battaglia di idee con un gioco raffinato di botta e risposta a distanza: le stesse immagini, concetti, considerazioni si riflettono su due specchi affrontati che tanto sarebbero piaciuti a Borges, così da fornire due deformazioni o punti di Vista diversi.
E queste idee in lotta non hanno semplicemente una funzione narrativa: sarebbe troppo facile identificare il sistema politico dei Norsefire come ‘cattivo’ perché è una dittatura, e l’anarchia di V come ‘buona’ perché V è l’ ‘eroe’.
No, le differenze sono soprattutto su un piano più alto, quello etico: si affrontano due sistemi di pensiero.

Iniziamo col considerare le due figure-chiave di questa battaglia, i due personaggi che incarnano le due idee contrapposte: il leader dei Norsefire e V.

Altre storie di ieri...

1. IL NOME DELL’EROE:  

RES SUNTO CONSEQUENTIA NOMINUM [2]

É raro che il leader sia chiamato in maniera differente da questo titolo. Il suo nome, come l’uomo dietro la funzione, appare di striscio, di sfuggita: Adam Susan non conta, il leader è il leader.
É un’idea, come il führer, il duce, il capo. É in un certo modo impersonale. Ha un volto anonimo, e un fisico non propriamente caratteristico, ma anzi grigio e anonimo. Ha l’aspetto di un burocrate, e forse non gli sarebbe dispiaciuto che noi lo Vedessimo così [3].
IMG http://openvein.com/ext/v_the_leader.jpg
Se volessimo dilettarci in illazioni basate sul gioco del nomen omen  il leader è ‘Adam’, il primo uomo di una nuova Inghilterra, così come Evey è ‘Eva’, Rose Almond è una ‘Rose of England’, Helen Heyer l’‘Elena’ che provoca il conflitto… e così via.

V è chiamato solo V. Se del leader (anzi, di Susan) sappiamo il poco che lui ci dice di una giovinezza (?) travagliata e dominata da fobie, repressioni e razzismo, di V non sappiamo nulla. Sappiamo della sua reclusione a Larkhill, della sua evoluzione, della sua fuga.
Della sua nascita COME V. 


L’uomo dietro V non ha volto, ma solo una maschera, un typos: quella di Guy Fawkes, anarchico inglese del XVII secolo che tentò (vanamente) di distruggere con un attentato il Parlamento inglese[4]. La corporatura è sempre nascosta da una sorta di divisa che camuffa le sue fattezze: se non ce lo dicesse il diario di Delia, la dottoressa che lo ha avuto in “trattamento” nel campo di concentramento di Larkhill, non sapremmo neppure che si tratta di un uomo e non di una donna.

L’Ispettore Finch scoprirà con orrore che Delia è solo l’ultimo anello di una impressionante sequela di omicidi: tutti quelli che formavano il personale di Larkhill sono morti, nessuno sa più chi fosse l’uomo che esisteva prima di V.
Gli antichi egizi sostenevano che un uomo non sarebbe mai morto se si continuava a pronunciare il nome di un uomo[2]: ma ora non vive più nessuno che sappia chi era l’uomo dietro la maschera. V non è Edmond Dantès, il Conte di Montecristo, che finge la morte, ma anela al momento in cui potrà sbattere in faccia la sua identità ai suoi nemici, prendersi la rivincita tanto sognata. No, assieme al suo Vero nome, ANCHE L’UOMO CHE ERA DIVENUTO V É MORTO.
V non è più solo un uomo, ma è quasi (in quel momento) un’idea. V saprà superare il ‘quasi’, recidendo il suo ultimo legame con il mondo e divenendo vera idea.

2. IL FREDDO ORDINE DEL TERRORE

In un alternativo1992, dopo la Terza Guerra Mondiale, i Norsefire, membri di un partito fascista inglese, prendono il potere e “misero ben presto tutto a posto”. Ovvero eliminarono “neri, pachistani, gay, estremisti”.
Apparentemente realizzarono il desiderio di tutti i “bravi cittadini”: dopo una guerra straziante un ritorno alla ‘normalità’, eliminando quello che anche prima della guerra appariva ‘diverso’ ed ‘anormale’.

V era un ‘anormale’: era uno dei gay, o pachistani, o neri o estremisti chiusi a Larkhill.
Non ci Viene detto (non lo si può più sapere con la morte di Delia) chi o ‘cosa’ fosse: se Vogliamo rappresenta tutta la ‘categoria’. Come abbiamo Visto, solo le parole sul diario di Delia ci dicono che si tratta di un maschio.
E non sapendo chi sia, non si può parlare di ‘complotto politico estremista’, di ‘attentato dei negri’, di ‘terrorismo arabo’ o di altre facili etichette usate per rassicurare la massa di fronte al pericolo, individuando la ‘matrice’ del fatto, classificandola e riducendo il margine di ignoranza e di paura. Per questo V fa ancora più paura: non tanto per il numero di uccisioni, ma perché è sconosciuto, non è identificabile. 



Il solo nominarlo potrebbe dare un minimo di potere su di lui: nella Genesi e nel Vangelo di Giovanni (ma anche alcuni filosofi greci non avrebbero trovato nulla da ridire in ciò) Dio creò il mondo con il suo Logos, con la sua parola: gli bastò dire “Luce” e la luce fu; nei racconti cabalistici ebraici Adamo e non Satana fu fatto re di tutti gli animali perché il primo uomo era in grado di nominare la specie di appartenenza di ciascuna bestia; nei miti egizi Iside controllò Râ poiché ne conosceva il nome segreto, e questo le dava il dominio assoluto su di lui; i Romani nei loro riti temevano di scontentare le divinità delle quali non conoscevano il nome; in una fiaba sarda Maschinganna, oscuro demone dagli artigli aguzzi, poteva essere sconfitto solo se si fosse pronunciato a voce alta il suo nome. Rumpelstilzchen  e la versione anti-Superman Mr Mxyzptlk non sono da meno.
Il nome di un uomo consente di avere potere su di lui, il non saper nominare il ‘nemico’ crea confusione, timore, panico. Il nemico potrebbe essere ovunque e chiunque.

La normalità dei Norsefire vuol dire certezza, significa che tutte le cose hanno il loro nome e “sono al loro posto”. E’omologazione, annullamento dei singoli nell’unità, avere un ruolo certo e apparentemente sapere chi siamo. Il leader lo dice con sicurezza: “il fascismo è la forza dell’unità. Credo nella forza, credo nell’unità... Non voglio sentir parlare di libertà, di diritti individuali: sono un lusso... La guerra ha posto fine al lusso, la guerra ha posto fine alla libertà”.
 
E molti accettano quasi con sollievo questo ‘nuovo ordine’: come Finch gli altri superstiti della catastrofe accettarono tutto affinché si “rimettano le cose a posto”.
Finch dice: “la faccenda del nuovo ordine non mi interessa più di tanto... qualsiasi società era meglio del caos... c’era bisogno di ordine”. Tutti alla ricerca di ‘normalità’ per dimenticarsi di essere ancora Vivi, della colpa di essere sopravvissuto a chi non ce l’ha fatta, di essere sopravvissuti morendo dentro. Il gangster Robert, prima di essere ucciso, lo urlerà: “Vorrei che tutti fossimo morti, sarebbe meglio!”.
  
Di contro V: poichè la giustizia ha “un debole per le uniformi”, essa non sarà più la giustizia di V. Tradito dalla sua ideale amata, anche V si prenderà un’amante: l’ANARCHIA, in virtù della quale dirà che “la giustizia non ha senso senza la libertà... Libertà e uguaglianza NON SONO LUSSI SUPERFLUI. Senza di loro non ci vuole molto prima che l’ordine sprofondi in abissi inimmaginabili... Le società autoritarie sono come chi pattina sul ghiaccio. Meccanicamente abili e precise, ma precarie. Sotto la fragile crosta della civiltà si agita il freddo caos”.
É questo l’ordine contro il caos che i Norsefire cercavano?



 
 Signora libertà, signorina Anarchia

   3. IDEE A PROVA DI PROIETTILE

Per la sua lotta V deve sparire, e poiché lotta come un’idea contro un’idea opposta, attaccherà simboli più che oggetti e persone concrete.
Moore ci delizia con un tocco geniale: la distruzione dell’‘ordine’ inizia là dove finisce la storia dell’uomo divenuto V. Con la pazzia provocata a Prothero, il direttore di Larkhill, con l’uccisione di Delia, il medico del campo, e del Vescovo, lì un tempo cappellano… il potere civile, religioso e della scienza uniti contro l’uomo ‘diverso’.

Se l’uccisione di Delia e del Vescovo non porta conseguenze per il popolo (scienza e religione hanno lingue per iniziati che non sono accessibili a tutti), l’eliminazione di Prothero provoca un effetto banale ma proprio per questo sconvolgente: cambia la Voce del Fato, l’onnipotente computer che tutto controlla. Tutti in cuor loro sapevano che il computer non aveva Voce, che un umano gliela prestava, eppure questo mutamento è sconvolgente più di un assassinio: la gente si era abituata a riconoscere QUELLA come la ‘Voce del fato’, del computer infallibile perché tutto controlla, della soluzione a tutti i problemi perché tutto organizza, dell’organo su cui scaricare tutti i dubbi perché a tutto sapeva dare risposta.
Il ‘Grande Fratello’ versione Moore non ha forse il nome più evocativo che si possa trovare per un governante impersonale e ineluttabile?.

La gente era talmente abituata a udire quella Voce da iniziare ora a dubitare dei responsi del Fato, come se non fossero dati da lui. E Lloyd ben rappresenta i volti sgomenti e increduli della folla: increduli perché sembra che la ‘pace’ e la ‘tranquillità’ siano finiti, sgomenti perché si rientra in un’epoca in cui non c’è più sicurezza (neppure che il Fato sia uguale a se stesso!), come in guerra.

Le sicurezze: abbiamo Visto tutti i personaggi (ed il popolo) legati all’‘ordine’, alla ricerca di un punto di riferimento esterno, un’ancora di salvezza: Finch in Delia, Rose in Derek, Delia nel lavoro, il leader nel suo segreto amore per il Fato, Prothero nelle bambole, tutto il popolo nel Fato.
V è diverso: il suo conservare oggetti di un passato più felice non è necessario per la sua sopravvivenza spirituale, ma è semmai funzionale a ciò, stimola il suo piacere e il suo senso artistico, fini a se stessi.
Lo scopo di V è togliere le sicurezze alla gente per poterle riaprire gli occhi (ancora una volta prima la pars destruens), e il mezzo è proprio la televisione appiattente: appare sullo schermo all’improvviso, senza che nessuno possa farci nulla, sbatte in faccia alla gente le colpe di ciascuno (“la vostra indisponibilità a farvi strada nella società e farvi carico di responsabilità vere, essere autonomi”).
Finch aveva detto che qualunque società era meglio del caos, V proclama l’inettitudine della direzione e il peccato originale della gente: al partito ha “permesso di decidere per voi... avreste potuto fermarli”.

Qualcosa si scuote: il cartesiano V distrugge schiodando la massa da convinzioni e fatalismi troppo comodi. Spiega: “l’anarchia a due facce: quella della creazione e quella della distruzione. I distruttori abbattono gli imperi, lasciando un letto di macerie su cui i creatori possono edificare un mondo migliore”.
La pars destruens prosegue con l’esplosione della Jordan Tower: ora il Fato, il potere, il ‘Grande Fratello’ è cieco, sordo e muto. V restituisce il “diritto alla segretezza e alla privacy, il ‘fate ciò che vi pare’ sarà l’unica legge”. Autonomia e libera scelta, ovvero fine del totalitarismo, dell’unità di intenti e di azioni.

 L’inizio è solo spaesamento (pensare con la propria testa è difficile), ma dalle piccole cose nascono le grandi: una ragazza timidamente e con una iniziale paura di punizione urla il suo “ ‘fanculo!” ai suoi oppressori. Moore è qui veramente grande e profondo conoscitore dell’uomo: non eroismi improvvisi ed irreali, ma un inizio in sordina, sparlando come topi di un gatto assente; solo dopo questa liberazione la ragazza potrà poi disegnare il simbolo di V sul muro.
Poi un uomo prepara esplosivi, per difendere quella che non sa ancora bene essere la sua libertà.
Piccoli passi, ma sono quello che serve per aprire nuovamente le porte a un caos nascosto, non sconfitto.

I piani si mescolano di nuovo: dopo il suo crudele apprendistato, Evey ormai è in grado di pensare e può capire; Vuole nuova conoscenza, alimento del pensiero, e non solo certezze
Proprio perché Evey può capire, V finalmente spiega: il ‘fai-ciò-che-ti-pare” è nella prima fase, il Verwirrung, il caos che precede l’anarchia. E l’anarchia è ‘senza capi’, non ‘senza ordine’; Verrà in seguito un ordine, e sarà quello “vero, spontaneo”; forse un ordine duraturo.

Crolla il sistema. Finito il tacito consenso, solo la FORZA può tentare di salvare il potere: a Londra arrivano bande paramilitari, il leader è perso nei suoi deliri; tutto ricorda la situazione precedente all’avvento dei Norsefire
Eppure la circostanza è in realtà diversissima, perché V ha indicato la strada: non è più il caos derivante dalla paura, dal bisogno disperato di riferimenti, ma c’è il caos perché la gente pensa, sa ciò che non Vuole ma non ancora ciò che Vuole. E quando saprà ciò che Vuole non sa ancora come ottenerlo.
 

Il partito si sgretola e iniziano congiure sotterranee in un clima da ‘fine dell’impero romano’. Addio alla “forza dell’unità”! Ecco con una ‘corte’ che gioca sottilmente le sue carte e si illude di poter Vincere e di riportare tutto al passato, forse con un nuovo leader.
Tutto crolla: l’ultima certezza, il Fato, si rivela l’estremo inganno, poiché da sempre era stato sotto il controllo di V. Il leader quasi impazzisce, la partita appare persa.

 

Ora i riflettori di Moore puntano più su Adam Susan che sul leader: anche lui è privo del suo punto di appoggio, anche lui come tutti, è spaesato. Egli che prima diceva “solo io e Dio [il Fato, N.d.R.]... nessun altro è reale”, ora si rende conto che esiste un MONDO intorno a lui, e cercherà un punto di appoggio nel popolo.
E qui assistiamo a una scena strana, quasi commovente: lui che non aveva mai avuto Veri contatti con gli altri, cerca di “salutare in modo spontaneo” una folla che lui ritiene amica, ed invece è accorsa solo perché minacciata. É l’estremo tentativo di aprirsi, di mostrarsi anche lui un uomo, non solo il servo/amante di una fredda macchina.
La sua inesperienza è fatale (“Mi amano”, pensa), ed il suo spontaneo gesto che esprime un tentativo di comunicare, lo farà uccidere da Rose Almond. L’uomo Adam Susan avrebbe forse avuto una speranza di redenzione, ma è stato giudicato come leader.

V ha vinto? Nel momento stesso dell’uccisione del leader V viene colpito a morte da Finch.
Il leader, la sua idea non sono stati a prova di proiettile. E quella di V? Subito dopo lo sparo, V proclama che sotto la sua cappa “non ci sono ne carne ne sangue da uccidere, c’è solo un’idea e le idee sono a prova di proiettile”.
Non c’è carne? Non c’è sangue? E allora cosa vede Finch, cosa vede Evey?


4. BONFIRE NIGHT

L’appuntamento, come da feuilleton, è per mezzanotte. I resti dei Norsefire, smembrati da congiure interne, attendono, certi (o solo speranzosi?) che V non comparirà. Anche il popolo attende: V è la loro scintilla, e se non ci presenterà, allora non accadrà mai più nulla; se arriverà, la polveriera scoppierà.
Ma c’è speranza per il lettore e per gli inglesi se V è morente tra le braccia di Evey?

Devo ammettere che qui Moore si supera ancora una volta: chi, leggendo V for Vendetta per la prima Volta, non si attende di sapere finalmente chi fosse l’enigmatico personaggio?
E questo sembra il momento: c’è solo Evey, la sua, la nostra curiosità. L’uomo dietro la maschera di V è morto fisicamente, come era morto in quanto uomo anni prima. Non può impedire che Evey risolva l’indovinello, sollevi la maschera [6].

Copyright del sommo Luca Paciolus
 
Ma V e Moore ci stupiscono: chiede a Evey un funerale Vichingo e la lascia con l’ultimo enigma: “devi scoprire la faccia dietro la maschera, però non dovrai MAI conoscere la mia faccia”.
Come è possibile?
La sequenza grafica e dei testi sono in grado di far venire i brividi: Evey immagina più Volte di avvicinarsi a V e di sollevare la maschera. Ogni Volta immagina di trovare dietro la maschera le figure protettive che ha sempre cercato, il padre, l’amante. Fantasmi del suo passato.
Ma ora c’è una nuova Evey, che infine immagina di vedere se stessa, e in quel momento capisce cosa debba fare.
La pagina successiva è stupenda nel suo silenzio: Evey davanti allo specchio (un altro specchio!) guarda la sua immagine, e poi la sua bocca si piega nel sorriso di V.
Ha capito: “se tolgo quella maschera qualcosa sparirà per sempre, sarà sminuita perché chiunque tu possa essere non sarà mai grande quanto l’IDEA di te”.


V ha compiuto l’atto più grande e più amorevole Verso gli altri: quasi messianicamente (o forse proprio messianicamente) ha dato la sua Vita per gli altri, senza pretendere nulla in cambio, per espiare da Vittima innocente gli errori degli altri e dare loro la possibilità di un nuova Vita.
V ha reciso l’ultimo legame col mondo (anche Finch che lo ha ucciso sa che V avrebbe potuto evitarlo) ed è divenuto una pura IDEA.

Sarà V ad apparire alla folla a mezzanotte o Evey?
É V, ma è anche Evey. La maschera indica un archetipo, non un uomo. Alla massa è data libertà di decidere del futuro: “vivere liberi o tornare alle catene. Scegliete saggiamente”.
Al popolo decidere, V non lo influenza: la libertà ha la prerogativa che, quando c’è, può scegliere di cessare di esistere: “TOCCA A LEI SCEGLIERE COME É GIUSTO”.
Evey non guiderà il popolo, l’aiuterà a “creare e a costruire”. E riflettendo sulle parole di V sui “distruttori” e sui “costruttori” possiamo forse pensare che il primo V si sia fatto uccidere perché la sua missione di “distruttore” era terminata ben prima della morte di Susan: V forse non si sentiva in grado di essere un “costruttore”, doveva passare la fiaccola e non essere più d’impiccio per i Veri “costruttori”.


Per ricostruire Evey prenderà un erede (Dominic, l’onesto Dominic) e farà il ‘funerale Vichingo’ chiesto da V: il corpo mortale di V viaggerà per l’ultima volta su un Veicolo della metropolitana zeppo di esplosivo che esploderà sotto Downing Street, la residenza del Primo Ministro, distruggendo il simbolo stesso del potere in Inghilterra.
Guy Fawkes stavolta non ha fallito.
Come richiesto si tratta di un funerale Vichingo, perché proprio come nel Ragnarok, il ‘crepuscolo degli dei’ nordico, la distruzione Violenta del vecchio mondo segna l’inizio di una nuova età dell’oro.

Il finale? Moore non vuole un forzato ‘e vissero tutti felici e contenti’: la libertà che fine farebbe, se no? Persa proprio in un finale scontato?
No, Moore chiude il sipario come vorrebbe V.

Gli inglesi sono tutti il Finch dell’ultima tavola: lasciati senza neppure una parola (non la meritano) gli illusori sogni di rivalsa autoritaria di una Helen Heyer che non ha capito che il mondo è cambiato, l’uomo può finalmente affrontare da solo la strada che è la sua Vita. Ci sono luci e c’è buio, non c’è dato sapere di più. All’uomo la scelta.



AVE ATQUE VALE V

[1] è curioso solo fino ad un certo punto che la Regina d’Inghilterra sia Zara Phillips, figlia di Anna (figlia a sua volta di Elisabetta II) e del cavallerizzo Mark Phillips (vedi QUI); o forse, secondo alcuni maligni, addirittura nata da una relazione extra-coniugale della principessa Anna con una sua guardia del corpo (vedi QUI e QUI). Secondo un comunicato di Re Giorgio V nel 1917, infatti i discendenti della linea femminile della famiglia reale non hanno diritto al titolo di “Altezza reale”, né del titolo di “Principessa” o “Principe” (fonte: WIKIPEDIA). Si tratta quindi di una figura di secondo piano nella famiglia reale già nel 1986\87 (oggi è al 15° posto nella linea di successione), e il matrimonio dei genitori fu in tono “minore” (vedi QUI) visto che lui non era nobile.
Cosa sia accaduto agli altri membri della Casa Reale nell’universo alternativo di V perché salisse al trono proprio Zara, è una questione che avrebbe potuto urtare la sensibilità dei monarchici britannici: ma l’anarchico V\Moore si è limitato a lanciare il sasso e a ridere sotto la maschera (o la barba). Zara non ha alcun ruolo nella storia di V.

[2] no, non ho sbagliato il detto nomina sunt consequentia rerum… [http://it.wikipedia.org/wiki/Nomen_omen]  l’ho solo visto allo specchio. La frase originaria si trova nelle Insitutiones di Giustiniano, un codice di leggi: l’uso dell’imperativo futuro, come nelle Leggi delle XII Tavole è voluto.

[3] la scelta di “personalizzare” il Volto e il carattere del leader nel film del 2005, nonché di dargli un altro cognome (Sutler, invece che il ‘femminino” Susan) e una morte diversa, rappresentano una delle discrepanze più significative tra la graphic novel e la sua resa sullo schermo.

[4] http://it.wikipedia.org/wiki/Guy_Fawkes. Notate anche la (talvolta) diversa grafia del cognomen “Faux”, “falso” in francese.

[5]non sembri irrispettoso l’accostamento\citazione de “Il fu due volte barone Lamberto” : dietro il sorriso e la leggerezza della penna di Gianni Rodari si nasconde una riflessione sulla vanità dell’uomo, sulle illusioni cui attaccarsi per sopravvivere quando la vita non sembra dare più niente.

[6] la riflessione su ciò che accade “sotto la maschera” ritorna in tante opere di Moore: Watchmen, Miracle Man, le sue storie su Superman


Alcune immagini sono tratte dal supplemento a Corto Maltese (RCS) 9 settembre 1991. Le altre sono tratte da QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, e QUI o sono opera originale di Luca Albergoni Paciolus, gentilmente concesse dall'autore; nessuna di esse mi appartiene, e qui appaiono a corredo dell’analisi. Questo blog non ha fini di lucro.