domenica 28 dicembre 2014

Film e fumetti: congiunzioni improbabili




IL GRANDE TRIBUTO

Feroci discussioni straziano adulti e piccini ogni volta che, dal fumetto, una storia passa al grande schermo: la fedeltà alla storia, ai personaggi, le inevitabili variazioni dovute al diverso medium…
Conflitti che distruggono amicizie, rovinano amori, sfasciano famiglie e lasciano macerie quanto neppure Hulk in versione rossa (e interpretato nel caso da Edward Norton) potrebbe fare.
Ma talvolta passano inosservati gli “omaggi” che il grande schermo fa al suo fratello (ahinoi, ritenuto minore) cartaceo.

Andato a (ri)vedere con amici “Il Grande Lebowski” al cinema (evento speciale, 10 euri per una seconda visione, no card sconto… vabbè che il film vale, ma di speciale sembra esserci stata solo la fregatura) ho avuto una sensazione di “già visto”.
No, non si trattava del film, già abbondantemente più volte guardato in DVD. Era più qualcosa di… di fumettesco, ecco. La sensazione che ci fosse qualcosa che avevo già letto su carta.

Fatta mente locale, mi focalizzo su questa scena (da 2:30 se, da condannati all'inferno dell'eterna visione del Cinepanettone, volete proprio perdervi quella perla della cinematografia che sono i 2 minuti di gloria imperitura di Jesùs Quintana, ovvero John Turturro)


 
Perché, avendo già visto (repetita iuvant) il film, sapevo che si sarebbe arrivati a questa




Ok, ceneri disperse nell’Oceano Pacifico che tornano indietro al mittente. Classica scena da comiche finali. Ma perché “Obladì Obladà” turbava il mio animo fumettista?

Poi la rimembranza. Ricordavo questo!




Eh, sì. “Tribute the third”, la terza storia che Peter David (con ai disegni il ridicolo-nel-tratto-quanto-è-buffo-il-nome-[Zeus-quanto-sono-razzista!] Guang Yap chinato da Joe Rubinstein) aveva dedicato a uno della X-Family morto nel corso delle varie stragi!
Tre storie brevi dedicate all’andare avanti e al senso della vita dopo la fine della vita! 

Nel primo Jean Grey visitava la tomba di… Fenice. Nel secondo lo spirito di Doug Ramsey assisteva alla pietosa visita di Rahne. 
La terza era dedicata a Destiny, anche se la storia era centrata, per lo più, sulla sua compagna Raven Darkholme ovvero Mystica.
E, fin dalla frase in epigrafe (di Mel Brooks da “Young Frankenstein”… un film umoristico sulla vita dopo la morte!) questo si presentava come il più “leggero” delle tre, benché Peter David non sia mai un autore da sottovalutare: le sue run di Hulk, di Acquaman, di X-Factor sono dei gioiellini del fumetto supereroistico.

E proprio di X-Factor si doveva parlare: dopo la “Muir Island Saga” non esisteva più la sballata Freedom Force, gruppo di mutanti ex-malvagi al servizio del Governo USA, sul modello dei Drughi divenuti più adulti.
Il loro contatto con le autorità, Valerie Cooper, si apprestava a farla rinascere col nome di X-Factor, secondo una geniale idea di base: radunare e pagare con soldi pubblici mutanti con ***gravi*** problemi psicologici che avevano avuto un’occasione mal sfruttata di sfondare nelle X-squadre principali… e l’avevano fallita.
Nel frattempo la perfida Mystica, capo della Freedom Force, nel corso della Saga dell’Isola Muir aveva mostrato il suo carattere più umano e sembrava destinata a lasciare il “lato oscuro”. Ma non poteva dimenticare che su quello stesso pezzo di roccia scozzese aveva perso la sua (non dichiarata ai sensi del Comcs Code) amata compagna Irené, la mutante preveggente chiamata Destiny.

Non vi racconterò nel dettaglio la breve, intensa storia, che lascia un sorriso, ma sa anche scavare nella psicologia: basti dire che si tratta della narrazione di come Mystica compie le ultime volontà di Irené, getta la sue ceneri e chiude quella parte della sua vita. 
E riceve l’ultimo regalo della sua (ripeto: non esplicita) amata.

Sappiate però che nel testo David inserisce la canzone “Obladì Obladà”, inno alla vita che continua.


Ora, il rischio di aver letto troppi fumetti è di vedere inferenze e richiami un po’ ovunque: il fumetto, specie quello popolare, è onnivoro. 
E a leggere non distrattamente come può avvenire solo tra l’adolescenza e i vent’anni, certe cose restano scolpite e siamo stati abituati a leggere anche le scritte in piccolo in fondo alla pagina.

Però nella mia mente perversa è sorto un dubbio: due indizi fanno una prova? Ed è nato prima l’uovo o la gallina?
Ovvero: i fratelli Cohen leggevano i comics dei Mutanti e hanno voluto fare un omaggio?

Un breve controllo alle date mi ha aiutato a trovare, forse, un sentiero che portasse fuori dalla Selva Oscura del dubbio straziante e non amletico: “Tribute the Third” è apparso in appendice a X-Factor Annual #6 del 1991 (in Italia sullo “X-Men Speciale Estate - Il Re delle Ombre” della Marvel Italia, 1994). 

“Il Grande Lebowski” è del 1998.

A meno di trovare una fonte comune, lascio a voi le deduzioni…




NB: le immagini non mi appartengono e sono qui a corredo di un articolo di critica (che vorrebbe essere meno serioso del solito). Questo blog non ha fini di lucro.


Per chi è arrivato fin qui e ed è abituato a leggere ***davvero*** le cose scritte in piccolo: non fidatevi mai della prima impressione! Né degli autori di blog che vogliono andare avanti dopo un lutto.
Consapevole delle “creazioni artistiche” dei traduttori e adattatori grazie alla dura scuola degli strafalcioni in Harry Potter, prima di scrivere questo articolo sono andato a cercare l’originale del film dei Cohen. Così ho facilmente scoperto che Donnie non canta Obladì Obladà”: in realtà canticchia “I’m the Walrus” (se non ci credete cliccate QUI!).
Forse l’adattatore riteneva che la canzone del tricheco non fosse così nota alle orecchie italiche…

Insomma: come Irené Adler, anche noi volevamo scherzare…
 Per chiudere un 2014 non esaltante, ma
“Oobla-dee oobla-da, life goes on, yeah! La la how the life goes on…”