domenica 18 maggio 2014

Epicamente Tex - Narrare per il gusto di narrare 4



Prosegue la disanima dei primi 400 numeri di Tex Gigante visto come prosecuzione di temi e stilemi propri dell’epica popolare, iniziata QUI e proseguita QUI, QUI, QUI e QUI.

Questa è la quarta parte della sezione 4. La logica del narrare per il gusto di narrare, la cui prima parte è apparsa QUI la seconda QUI e la terza QUI.
3.  La logica del narrare per il gusto di narrare
(4° parte)

i) Quel che manca: il riconoscimento dell’eroe, l’amore e la morte dell’eroe
Non tutte le caratteristiche dell’epica minore (o maggiore) si ritrovano in Tex: tra le principali “assenze”, spiccano le situazioni-tipo del riconoscimento dell’eroe, dell’amore cortese e della morte dell’eroe stesso.

Il riconoscimento delle origini nobili del cavaliere, derivato per lo più dall’agnizione del teatro euripideo, è uno dei temi preferiti dell’epica canterina medioevale, ma anche “alta”: Marfisa riconosciuta sorella di Ruggero è una delle tante concessioni ai modelli popolari fatta da Ludovico Ariosto.
Ma tutta l’epica minore è zeppa di riconoscimenti della nobiltà di schiatta dell’eroe. Una nobiltà prima ignorata, e poi dichiarata (sul modello della fiaba di magia [1]) spesso dopo il superamento di una prova che mostri la dignità di appartenere alla stirpe [2].


Tutto ciò manca in Tex: c’è stata la narrazione del passato dei pards[3], ma non ci sono state sorprese clamorose: nessuna parentela imprevista, nessuna schiatta-Willer di nobili e gloriosi ascendenti.
Può capitare che il “cattivo” si riveli parente di qualche vecchio avversario [4], ma il riconoscimento del “buono” che lo eleva socialmente (anzi: ne conferma la superiorità già dimostrata in altre circostanze), è completamente assente [5].

Quanto all’amore cortese, esso è proprio più dell’epica “alta” che di quella popolare, e deriva dalla fusione tra il elementi del ciclo carolingio (in cui era quasi completamente assente [6]) e quello bretone (in cui era uno dei motori dell’avventura dominati[7]).
I due cicli avevano trovato la sintesi più alta alla fine del 1400, nell’Orlando Innamorato di Boiardo, in cui la cosa “meravigliosa” è “odir cantar de Orlando innamorato, / chè qualunche nel mondo è più orgoglioso, / è da Amor vinto, al tutto subiugato”[8]
L’unica avventura amorosa che Tex si concede è quella che lo porta al matrimonio con Lilith… e non si tratta certo di un matrimonio d’amore! [9]
Tuttavia con il tempo (e la nascita di un figlio) questo matrimonio di “convenienza” (l’unico modo per evitare il palo della tortura!) si trasforma in un sentimento talmente forte da causare una spietata ed “implacabile” vendetta contro gli uccisori di Lilith [10] e contro chi ha profanato la sua tomba [11]. Solo recentemente gli autori hanno voluto darci uno squarcio nella vita insieme di Tex e Lilith in un albo speciale [12].
Fugaci amori finiti in modo più o meno tragico o nel nulla spettano a Kit Carson [13], Tiger [14] e in particolare a Kit Willer [15], ma l’amore entra solo raramente nelle vicende del gruppo: anche questa sorta “voto di castità” contribuisce a rendere i pards quasi un ordine religioso militare… anche se in realtà G. L. Bonelli aveva dichiarato che lo scarso numero di rappresentati del gentil sesso era dovuto al fatto che essendo Tex in un certo senso una sua proiezione non riteneva elegante raccontare le sue avventure.

Ma il principale elemento del “mito epico” che manca in Tex è sicuramente la narrazione della sua morte.
Tutti gli eroi epici terminano gloriosamente la propria vita in un’epica battaglia o comunque in una maniera “non normale” [16], destinati ad essere pianti o vendicati. Se la morte dell’eroe epico non è narrata esplicitamente nel singolo episodio, è comunque già nota al pubblico [17], perché dalla certezza della morte non si può prescindere.
Ma al nostro ranger non è dato conoscere il suo destino finale.

Certo, Carson sa che “a detta di una strega papago”[18] terminerà i suoi giorni vecchio e tranquillo, ma Tex non ha neppure questa finestra aperta sul suo destino.
Eppure la morte dell’eroe è un elemento indispensabile alla creazione del suo mito: senza una fine che dia un senso all’esistenza, l’eroe, così diverso dall’uomo comune, non può diventare un modello per gli uomini comuni. Perché essi hanno, in fondo, solo la certezza della morte.
E l’eroe epico deve essere un modello, o viene meno alla funzione per cui nasce.

Ma della morte di Tex parleremo in un altro articolo [19].

Nel prossimo post… le prime conclusioni e poi Tex si prenderà una pausa!

[1] Si veda il fondamentale saggio di V.Propp, La Morfologia della fiaba, e una prima infarinatura dei suoi schemi narrativi strutturali QUI http://it.wikipedia.org/wiki/Schema_di_Propp . Sarebbe interessante fare la stessa operazione compiuta Propp sulla fiaba a proposito delle narrazioni del Tex “classico”.
[2] Lo stesso Artù scopre di essere figlio di Uter Pendragon dopo aver estratto la spada dalla roccia.
[3] Il passato di Tex è trattato in più riprese, in Tex Gigante nn. 83-85, 113-115 e 297-299; quello di Carson in Tex Gigante nn. 407-409; quello di Tiger Jack in Tex Gigante nn. 384-386.
[4] Ad esempio Diamond Jim (Tex Gigante n. 154) è fratello di Johnny Devine (Tex Gigante nn. 85-86); in Tex Gigante nn. 307-309 si scopre che il “cattivo finale” è il figlio di uno dei membri della Mano Rossa, avversari di Tex nel n. 1.
[5] In Tex Gigante n. 408 si scopre che Carson ha avuto una figlia… ma questo non implica un ingresso di Donna nel gruppo dei pards (ci si perdoni l’incursione oltre i limiti degli albi che ci siamo posti).
[6] Ricordiamo che nella Chanson de Roland esso occupa solo pochi versi sul finale, destinati a commemorare la morte di Alda la Bella, promessa sposa a Rolando: la dama muore di crepacuore alla notizia della morte del promesso sposo.
[7] A solo titolo di esempio l’amore è il motore delle tragiche vicende di Tristano e Isotta, ma anche di quelle Lancillotto e Ginevra. L’amore cortese è quindi, indirettamente, causa della fine della Tavola Rotonda.
[8] M.M. Boiardo, Orlando Innamorato, I, I, 2, vv. 3-5
[9] Tex Gigante n. 7
[10] Tex Gigante nn. 103-106
[11] Tex Gigante n. 500
      [12] Tex Gigante n. 575
[13] Tex Gigante nn. 108 e 408; svariati sono gli “approcci” e gli “appetiti” del “Vecchio Satanasso”, per i quali si rimanda all’ironica disamina in Paglieri, Non son degno di Tex, pagg. 99-102.
[14] Tex Gigante nn. 384-386
[15] Oltre a varie “simpatie” per cui vedi ancora una volta l’ironico Paglieri, op.cit., pagg. 107-108, vedi specialmente Tex Gigante nn. 214-215 e 423-425
[16] Solo Nestore e Menelao (che però è genero di Zeus) possono riposare e morire nel proprio letto nell’epica antica, Parsifal e Carlo Magno in quella medioevale. Ne Il Signore degli Anelli, trasposizione moderna dell’epica medievale, la fine serena in realtà è riservata solo ad Aragorn, a Merry e a Pipino: tutti gli altri membri della Compagnia o muoiono (Boromir) o proseguono la loro esistenza in un esilio simile all’Avalon arturiana.
[17] Ad esempio tutte le narrazioni su Orlando (perfino il comico Morgante Maggiore) presuppongono La Chanson de Roland, che narra la morte dell’eroe a Roncisvalle.
[18] A volte si dice che tale profezia sia stata fatta da una zingara.
      [19] Vedi la terza parte di questa trattazione: Wath if… Le Morte Tex e la leggenda.

PS: le immagini non mi appartengono e sono per lo più tratte da pubblicazioni della Sergio Bonelli Editore. Sono qui a corredo dell'articolo di critica e analisi. Questo blog non ha fini di lucro.

martedì 6 maggio 2014

Epicamente Tex - Narrare per il gusto di narrare 3



Prosegue la disanima dei primi 400 (o poco più) numeri di Tex Gigante visto come prosecuzione di temi e stilemi propri dell’epica popolare, iniziata QUI e proseguita QUI, QUI QUI e QUI.

Questa è la terza parte della sezione 4. La logica del narrare per il gusto di narrare, la cui prima parte è apparsa QUI e la seconda QUI.

 
Tex(t) inizia nel 1898 ?!
4. La logica del narrare per il gusto di narrare 
(3° parte)

h) L’atemporalità dell’eroe
Una delle caratteristiche epiche dell’eroe epico popolare è quella di vivere le sue imprese in un non-tempo.

Per carità: le indicazioni temporali sembrano talvolta molto precise, tanto che nella mitologia greca si poté ricostruire una cronologia relativa. Ma scavando si vede che i veri eroi sono immersi in una sorta di limbo temporale privo di cardini che permette loro di partecipare a tutte le gloriose imprese avvenute in ogni ciclo mitologico dal quale l’eroe (per questioni di genealogia o di coerenza del mito) non fosse esplicitamente escluso.
Così Eracle, figura cardine dell’epica popolare greca, partecipa a ogni grande impresa della mitologia greca: alla spedizione degli Argonauti direttamente; alla guerra di Troia indirettamente (la conquista una prima volta, e cattura il futuro re Priamo) poiché all’epoca di Achille è già morto e non può rivaleggiare con gli eroi greci là presenti per non farli sfigurare; sfiora la Caccia al Cinghiale di Calidone incontrando Meleagro; in giovinezza vive (o nacque) a Tebe sotto Creonte, re prima e dopo la guerra dei Sette… È quindi coinvolto in tutti i grandi cicli epici.
Ma soprattutto gode di una atemporalità che sfida ogni logica razionalista successiva: alla ricerca delle mele del Giardino delle Esperidi incontra Atlante che regge il mondo, mentre secondo le leggende Atlante fu trasformato in montagna da un antenato di Eracle stesso, ovvero Perseo l’uccisore di Medusa!

Ciò non deve stupire: per il creatore dell’epica è meno rilevante dare una coerenza ciclica che narrare il singolo episodio, combinando le caratteristiche del tipo-eroe con il tipo-avventura specifica.
L’eroe, specie nell’epica per il popolo, ***deve*** partecipare a tutte le avventure più grandi, incontrare i nemici più iconici, perché per la logica dell’epica sarebbe assurdo che non lo facesse. L’ipotesi “se Eracle ne avesse avuto la possibilità, Eracle vi avrebbe partecipato” diventa necessariamente realtà [1].
Si configura una logica diversa dalla necessità di stabilire la versione unica, la coerenza assoluta, la verosimiglianza: nell’epica antica, e specie quella popolare, conta più la coerenza narrativa-consequenziale parziale e relativa in ciascun segmento del ciclo (“dato un eroe con le caratteristiche X, si comporterà in un modo Y trovandosi in una situazione Z”) che la coerenza logico-temporale del ciclo stesso (“B è prima di C e subito dopo A; quindi la sequenza non invertibile ed immutabile di tutto il ciclo è A-B-C; se D non concorda logicamente con questa sequenza, allora non è vero”).

Insomma: non importa che l’eroe ***secondo logica verosimile*** (ovvero: secondo la logica del mondo dei ***normali umani***) abbia potuto fare una determinata azione, ma solo il ***come*** lo avrebbe fatto secondo la ***logica interna*** dell’epica.
Se vogliamo è il paradosso degli pseudo-kolossal dell’epica popolare del cinema dove, esaurite le idee interne a un genere, si è passati disinvoltamente alla contaminazione: così “Zorro contro Maciste” (cappa e spada + peplum) o “La leggenda dei 7 vampiri d’oro” (horror + arti marziali), prescindendo dal valore dei risultati, hanno una loro ragione d’essere neppure troppo irreale [2], se inseriti in questa logica, poiché l’epica popolare è per sé stessa un genere aperto alle contaminazioni [3].

L’epica popolare sembra dunque legata al disprezzo di una concezione del tempo verosimile [4]. Una variante di questo concetto si può trovare nella differenza fondamentale esistente tra i fumetti di supereroi (= fumetti che mirano a riprodurre stilemi epici [5]) della cosiddetta Golden Age (anni ‘30-‘40) e Silver Age (anni ’50) specie della DC Comics, contrapposti all’idea di continuity che segna fin dall’inizio i prodotti della Marvel.
Gli eroi dei primi due periodi avevano spesso avventure più o meno lunghe, ma sempre abbastanza slegate tra loro: quel che contava era la caratteristica dell’eroe, il suo scontro con il cattivo di turno, la punizione del malvagio, insomma la logica del raccontare l’avventura singola scevra da una linea temporale verosimile.
Questo di fatto limitava le possibilità narrative: il personaggio doveva rimanere sostanzialmente uguale a sé stesso nel corso del tempo del mondo reale (il suo mondo restava tutto sommato fermo), e valeva un non dichiarato principio di non-contraddizione per il quale la morte del personaggio poteva avvenire solo in coincidenza con la chiusura della sua testata[6] (non obbligatoriamente, anzi: quasi sempre veniva lasciata aperta una porta per un eventuale recupero). Il che è naturalmente paradossale: vivendo in un non-tempo, le avventure “precedenti” alla morte non avevano necessità di non contraddire la morte stessa o altre avventure narrate. Ma questo pregiudizio resistette. 

La morte di Superman: una delle storie immaginarie...
 
Il personaggio poteva anche morire prima della chiusura della testata, ma si risolveva tutto nella rivelazione che si trattava di una storia immaginaria, o avvenuta (ma questo fu successivo alla famosa storia “Flash dei due mondi[7] in cui ci fu la “rivelazione” dell’esistenza del Multiverso DC) in una Terra parallela, simile eppure diversa.
Le terre parallele: già questa invenzione fu un colpo decisivo alla concezione originariamente epica, poiché si affermava con decisione che esistesse una ***sola*** linea temporale “vera”, e che quindi tutte le contraddizioni dovevano essere risolte pensando che la storia divenuta “apocrifa” era immaginaria o svolta in un universo parallelo… anche se quello non era stato l’intento dichiarato degli autori al momento della pubblicazione della storia [8]. Tale problema di coerenza (e la soluzione dell’esistenza di apocrifi o di duplicazione dell’eroe) non attanagliò i mitografi greci e latini se non molto tardi [9].

La Marvel rovesciò il presupposto: non più supereroi superiori agli uomini nella gestione del potere e sereni nella responsabilità dello stesso, ma “supereroi con superproblemi” (e questo di per sé non era la violazione del canone epico [10]), fallibili e tormentati spesso da insuccessi [11], e soprattutto ***univoci***, con un’unica storia. Nasceva la continuity Marvel: non potevano esistere contraddizioni temporali, se esistevano erano solo apparenti, o in ogni caso spiegabili nell’ ***unico*** Marvel Universe esistente. Magari in maniera fantastica, ma spiegabili [12].
La libertà temporale dell’eroe epico veniva ingabbiato nella razionalità temporale dell’eroe leggendario e moderno [13].

Il Tex più epico, quello di G.L. Bonelli, mostra un uguale (epico appunto) disprezzo per la continuità temporale: la didascalia della prima vignetta dell’avventura “La Mano Rossa” [14] parla di un “pomeriggio infuocato di un giorno di luglio del 1898”: e subito appare un Tex giovane. In seguito Tex si sposerà e avrà un figlio (questi avvenimenti sono sicuramente successivi nell’ordine temporale delle vicende); Kit ha almeno quattordici/sedici anni quando, nel corso delle avventure vissute col padre, nel 1861 scoppia la Guerra di Secessione Americana [15] e i rangers (tra cui i pards) restano neutrali, combattendo chi cerca di approfittare nel West di questo caos [16].
Ma in seguito Tex ricorderà coma abbia partecipato ***da giovane***, prima ancora di essere ricercato, alla stessa Guerra di Secessione; da ranger Tex ha sterminato la banda Dalton [17], che nella realtà finì la sua carriera nel 1902, ed era presente alla fine di Butch Cassidy e Sundance Kid [18] (nella realtà avvenuta nel 1911). Un giovane Tex, che ha abbandonato temporaneamente i rangers, partecipa alla Guerra contro il Messico (1848) [19] e poi ***senza soluzione di continuità e senza stacchi temporali*** alla Rivoluzione Messicana di Madero (1910-1913) [20].
Se Bonelli padre farà sì che Tex, da ranger e quindi da adulto, sfidi Buffalo Bill [21] quando uccideva bisonti per la ferrovia (tra il 1867 e il 1868), i suoi epigoni glielo faranno rincontrare, apparentemente sempre alla stessa età, quando Mr. Cody ha già fondato il suo circo [22] (quindi dopo il 1893). Tex ha vendicato a pochi giorni di distanza gli Apaches uccisi nel massacro di Santa Rita [23] (1837) e insieme ha aiutato alcuni partecipanti alla “Oklahoma Land Rush” del 1889 [24]… e si potrebbe andare avanti.
In realtà fare questi calcoli, scoprire la vera data di nascita di Tex (così come il vero luogo della sua nascita), è inutile oltre che impossibile: Tex non ha un ancora temporale sicura, a meno di non voler decidere arbitrariamente quali avventure siano “canoniche” e quali invece “apocrife”, “immaginarie”, svoltesi in un “universo texiano parallelo”.
E questo, ci pare, sconfinerebbe forse nel ridicolo.

L’idea di G.L. Bonelli sembra sia stata quella di fare di Tex l’eroe dell’epopea del West dalla metà del 1800 in poi: Tex deve partecipare a tutte le vicende importanti di quel periodo, sfruttando, come detto prima, il meccanismo narrativo del “date le caratteristiche X dell’eroe, cosa avrebbe fatto se si fosse trovato in quel momento Y in quella situazione Z?”.
Tex non può perdersi la corsa all’oro (o come minimo deve incontrarne i protagonisti), Tex non può non combattere le guerre contro il Messico [25], Tex non può non fare la Guerra di Secessione e la Rivoluzione Messicana [26].
Non importa che Tex ci potesse essere dal punto di vista dell’intero ciclo: conta solo creare un segmento del ciclo in cui l’ipotesi viene raccontata come reale, perché poi (forse) l’episodio intero venga dimenticato ***pur essendo considerato vero*** come tutti gli altri.
La parte è superiore al tutto, l’istante alla vita.
L’atemporalità presenta così un duplice vantaggio: uno interno alla narrazione, l’altro più prosaicamente editoriale.
All’interno della narrazione, come abbiamo detto, l’atemporalità permette al personaggio un ampliamento potenzialmente infinito di tematiche e avventure. Questo ampliamento è impedito, ad esempio, dalla logica che regge Corto Maltese: Corto è stato creato da Hugo Pratt come personaggio verosimile, vissuto come avrebbe potuto vivere un personaggio realmente esistito in un determinato tempo. Se il 19 gennaio 1915 il marinaio lascia l’Isola di Escondida nell’Oceano Pacifico, Pratt non poteva raccontare una storia con Corto che si trovava, ad esempio, in Germania lo stesso giorno. L’ubiquità non è un carattere di Corto (a prescindere dalla verosimiglianza di altre caratteristiche del marinaio), e la scacchiera su cui si muove Corto segue la razionalità del ***nostro*** principio di non-contraddizione.
Tex ignora questo principio e ne adotta uno suo specifico: Tex è nel West intorno al 1830-1914, e lo si può far agire quasi ovunque, anche contemporaneamente a un’avventura già narrata.
 Il secondo vantaggio è editoriale: nelle sue avventure il personaggio-Tex ha un’età di circa quaranta-quarantacinque anni da oltre sessant’anni del mondo reale; non invecchia, non muta le sue caratteristiche (anche se è più “politicamente corretto” di un tempo), non risente degli effetti dello scorrere del SUO tempo.
Un Martin Mystère, ancorato fin dall’inizio nella ***nostra*** realtà, ha settant’anni (anche se non li dimostra), e non è più un ragazzino; presto, inevitabilmente, non potrà più correre, prima o poi morirà… per davvero, nonostante le pillole geovital dello zio Paul.
Tex potrebbe andare avanti con le sue avventure indefinitamente [27].

Naturalmente entrambi i vantaggi valevano per i canterini e per l’epica popolare: l’età di Carlo Magno era abbastanza lontana per essere indefinita, e ci si poteva permettere delle mescolanze e delle atemporalità che non venivano sentite come impossibili [28], e i personaggi non invecchiavano mai (tranne quelli che erano già vecchi o che tradizionalmente avevano una vecchiaia), pronti a nuove avventure ovunque ci fosse stato un’occasione degna di loro [29].

Ma ad essere sinceri, se proprio si volesse riportare Tex a una cronologia che seguisse la logica umana e non si vuole correre quel rischio di ridicolo che ho citato, una soluzione epica esiste: fingere ancora una volta che Tex sia esistito veramente, ma che già per i suoi contemporanei fosse un mito. Quindi che quelle pubblicate, siano solo in parte le storie “vere” di Tex, ma che per lo più si tratti di quelle inventate da cow-boys stanchi ma chiacchieroni, raccontate la sera davanti al fuoco, aggiungendo sempre nuovi particolari inventati costruendo, da una leggenda, un mito.

[1] Quando l’eroe più rilevante è esplicitamente escluso (ad esempio Eracle nella guerra di Troia combattuta da Achille), come detto si trova un escamotage perché ne sia un anticipatore, o un epigono, o comunque vi abbia a che fare. L’epica recente dei fumetti supereroistici americani ha ripreso tale idea, creando occasioni di “scontri incrociati” tra nemici di diversi eroi (da ricordare il cross-over Marvel intitolato Atti di vendetta, che aveva come motore lo scontro tra un eroe e un villain mai incontrato prima!).
[2] Oltre all’esigenza economica di voler pescare da bacini d’utenza diversi.
[3] La politica editoriale della Bonelli, tuttavia, pur accettando contaminazioni tra generi all’interno delle diverse serie (vedi l’articolo successivo sul Ranger dell’Impossibile), rifiuta in linea di principio il cross-over, che viene limitato ad occasioni speciali e aperiodiche. E’ tuttavia vero diversi personaggi della casa milanese vivano nello stesso continuum spazio-temporale (perlomeno Martin Mystère, Zagor, Mister No, Dylan Dog, Nathan Never) o potrebbero viverci (Dampyr, Gea).
[4] Ricordiamo come, ad esempio nell’Odissea di Omero, nell’epica il tempo raccontato abbia spesso una durata simbolica e non verosimile: le peregrinazioni di Ulisse durano quanto la Guerra di Troia, raddoppiandola; egli viaggia per nove giorni verso Occidente alla ricerca delle terre dei morti e per nove giorni verso Oriente per tornare da Ogigia verso Itaca e così via.
[5] Da notare il frequente riferimento alla mitologia classica (ad esempio con Wonder Woman) enfatizzata in un supereroe come Capitan Marvel (benché originariamente non fosse un eroe DC), che grazie alla magica parola “SHAZAM!” poteva assumere “la saggezza di Salomone, la forza di Hercules, la resistenza di Atlante, il potere di Zeus, il coraggio di Achille, la velocità di Mercurio”: tranne il riferimento a Salomone, tutti gli dei e gli eroi che forniscono le caratteristiche di Capitan Marvel sono greci.
[6] Escludiamo naturalmente un supereroe come The Spectre il potere del quale è quello… di essere un morto senziente di potere quasi divino! Conseguentemente egli muore nel primo episodio per acquisire i superpoteri, ovvero nasce come eroe.
[7] Flash n. 123
[8] La confusione generata da queste “dichiarazione di apocrifo a posteriori” generò una sostanziale difficoltà a gestire il continuum temporale dell’Universo DC: tali difficoltà poterono essere parzialmente risolte solo a metà degli anni ’80 con il cross-over Crisis on Infinite Earths.
[9] E infatti per giustificare gli “errori”cronologici della vicenda di Eracle, Diodoro Siculo (Biblioteca III, 73) suppose che erano esistiti almeno tre eroi omonimi; Cicerone (De Natura Deorum, III,16) ne ipotizzò sei; Varrone (Commento di Servio a Virglio, Eneide, VIII, 564) addirittura quarantaquattro! Ma stiamo parlando di autori che sono raccoglitori, catalogatori, razionalizzatori e commentatori tardi dei miti e dell’epica: non stiamo parlando di creatori.
[10] Solo per fare due esempi Eracle ebbe crisi di follia, in uno dei quali uccise i suoi figli; Achille sapeva di essere predestinato a una morte giovane, prossima alla sua uccisione di Ettore; nonostante queste debolezze, però, entrambi erano enormemente distanti dall’uomo comune: i loro superproblemi non li umanizzavano, ma li rendevano eroi tragici.
[11] Bruce Wayne diventa Batman per vendicare la morte dei genitori, ma l’ossessione di questa morte è un’invenzione più recente; al contrario la morte di Zio Ben è decisamente più condizionante per Peter Parker/Spiderman specie nelle sue prime avventure e nonostante la sua apparente spensieratezza: se nella Golden Age o nella Silver Age era impensabile ad esempio che Lois Lane morisse a causa di un insuccesso di Superman (e se ciò fosse accaduto, si sarebbe invocata la “storia immaginaria”, l’elseworld), Gwen Stacy muore davvero. E, nonostante le revisioni successive, muore perché Peter Parker non è riuscito a salvarla.
[12] Rientra in questa logica l’invenzione del “no-prize”, il “non-premio” conferito a chi dimostrava che un errore nella continuity non era tale. In seguito alcuni “errori di continuity” sono stati giustificati con escamotages, ricordi fasulli, mezze verità… o semplicemente ignorati.
[13] È curioso notare come il fumetto popolare supereroistico (che negli USA è stato principalmente un fumetto tendenzialmente per adolescenti) abbia abdicato questa libertà, la libertà di Peter Pan, in nome di una razionalità temporale che fumetti destinati a un pubblico più maturo non hanno: i Peanuts hanno sempre circa sei/otto anni; Krazy Kat continua a ripetere poeticamente ed ossessivamente lo stesso gesto del lancio del mattone, infinitamente (ma minimamente) variando le modalità ma non il risultato; il clan dei Paperi e Topolino sfuggono al trascorrere del tempo (si
devono eccettuare alcune storie particolari, come ad esempio dove si narra delle avventure ‘giovanili’ di Zio Paperone). I lettori adulti che leggono fumetti che vogliono indurre a riflettere, apparentemente, sembrano non risentire di un illogico prolungamento del “tempo di narrazione”; al contrario i fumetti per ragazzi (teoricamente più dedicati al semplice divertimento e quindi più facilmente ambientabili nel “tempo delle favole”) non sembrano potersi consentire questa dilatazione: il tempo viene sì innaturalmente rallentato (gli X-Men hanno 18-20’anni da oltre quarant’anni del tempo reale!), ma viene rispettato il rigido rapporto “prima-dopo” nella sequenza temporale. Insomma: se si vuole narrare qualcosa avvenuta nel passato del supereroe si è ricorso al trucco delle Untold Stories, che si inseriscono nei “tempi morti” delle avventure narrate, facendo ben attenzione a non contraddire ciò che era divenuto canone, “storia ufficiale” (la stessa tecnica usata da Hugo Pratt per Corto Maltese).
[14] Tex Gigante n. 1, pag. 35 nell’edizione con il prezzo di copertina di 350 Lire. Si trattava già della versione “censurata” rispetto all’originale (vedi la tavola 1 dello stesso albo, dove “uomini” sostituisce “scagnozzi”); edizioni successive elimineranno questa data, divenuta scomoda e “non canonica” (se pure questo ha un senso in Tex).
[15] Tex Gigante n. 17
[16] Quantrill, il nemico di turno che cerca di approfittare della situazione di crisi causata dalla Guerra di Secessione (vedi Tex Gigante n. 24), è un personaggio storico.
[17] Tex Gigante nn. 8-9
[18] Tex Gigante nn. 60-61.
[19] Tex Gigante n. 3 (prima apparizione di Mefisto !)
[20] Tex Gigante n. 3-4 (che si dovrebbe svolgere ipoteticamente nel 1910) e 6-7 (ipoteticamente nel 1913, dopo la morte di Madero)
[21] Tex Gigante n. 82
[22] Tex Gigante n. 436.
[23] Tex Gigante n. 259-260
      [24] MaxiTex n. 1
[25] Come detto si veda Tex Gigante n. 2
[26] Come detto si veda Tex Gigante n. 3
[27] È da notare come i personaggi bonelliani più vecchi siano stati tutti impostati con questa atemporalità, a prescindere dall’ambientazione cronologica: Zagor, il Comandante Mark, il Piccolo Ranger, Mister No hanno un tempo indefinito di svolgimento, che non si esaurisce mai (anche se i riferimenti cronologici di partenza e di arrivo sono certi almeno per Mark e Mister No); diversamente accade per personaggi come Ken Parker o per i protagonisti della Storia del West che sono più verosimili e più verosimilmente crescono e invecchiano (e muoiono) perché sono stati inseriti in precisi avvenimenti storici della realtà e a loro si attengono (come è accaduto recentemente a Volto Nascosto-Shanghai Devil). Recentemente altri personaggi hanno parametri temporali generici e sostanzialmente immobili come Dylan Dog, mentre Nathan Never (o Brendon), Dampyr o Greystorm hanno seguito la via di Martin Mystère, pur essendo inseriti in un generico futuro, presente senza troppi riferimenti alla realtà, passato.
[28] Ricordiamo l’archibugio nell’Orlando Furioso; ma anche Artù, pur presentato come un cavaliere feudale, conquista un Impero Romano d’Occidente ancora esistente e forte “con il valore del suo braccio”; in Tex si risolvono alcune cronologie “impossibili” con l’invenzione di “isole nel tempo” quali la Città d’oro o le Terre dell’abisso per i quali si rimanda all’articolo Il Ranger dell’Impossibile.
[29] Solo per fare un esempio: vari siti italiani hanno tradizionalmente tracce del passaggio di Orlando; una leggenda siciliana dice che Artù dormirebbe sotto l’Etna. Io stesso, nella mia infanzia forse (sicuramente) un po’ troppo libresca, dopo aver letto delle versioni per ragazzi dell’Orlando Furioso e della Gerusalemme Liberata, cullai per qualche istante l’idea di un poema epico che vedesse i Paladini alle Crociate!
PS: le immagini non mi appartengono e sono per lo più tratte da pubblicazioni della Sergio Bonelli Editore

Sono qui a corredo dell'articolo di critica e analisi. Questo blog non ha fini di lucro.