lunedì 28 aprile 2014

Epicamente Tex - Narrare per il gusto di narrare (2° parte)



Prosegue la disanima dei primi 400 numeri di Tex Gigante visto come prosecuzione di temi e stilemi propri dell’epica popolare, iniziata QUI  , e proseguita QUI,QUI, QUI, e QUI.
Questa è la seconda parte della sezione 4, la cui prima parte è apparsa QUI.

4. La logica del narrare per il gusto di narrare 
(2° parte)


d) L’infallibilità dell’eroe
L’eroe sotto i riflettori non può sbagliare: Carlo Magno può essere ingannato dai maganzesi e Rinaldo ribellarsi al suo signore, ma non c’è dubbio che Orlando sarà esiliato sempre ingiustamente, come pure la rivolta di Rinaldo ha le sue motivazioni profonde che porteranno alla riconciliazione finale.
L’epica popolare (in ciò seguita, ad esempio, da quella sua incarnazione che è il fumetto supereroistico americano) non sbaglia: i “buoni”, gli eroi, alla fine devono necessariamente riconciliarsi [1].
Perfino la “colpa” di Agamennone che provoca l’ira di Achille e ne ottiene “infiniti lutti”, avviene per un altissima coscienza del proprio ruolo di re dei re: tant’è che le scelte del Signore di Micene infatti non vengono biasimate dagli altri Achei diversi dal Pelide, che al massimo premono per la riconciliazione.

L’errore, al massimo, è un errore fatale che porta l’eroe alla morte. Eppure lo sbaglio è tale solo agli occhi degli uomini comuni, troppo legati alla logica terrena della paura della morte, e incapaci di vedere cosa implichi la superiorità dell’eroe: quindi in Orlando, Beowulf, Igor, Ettore non troviamo un errore che nasca da malvagità o da difetto, ma spesso da un senso dell’onore troppo alto [2].

Il vero eroismo di Tex e compagni, il fattore che li rende modelli ideali, risiede nell’essere sempre e inequivocabilmente dalla parte del giusto.
Essi, come tutti i veri eroi dell’epica [3], sanno per istinto, acriticamente di aver ragione; e gli eventi confermano sempre le loro impressioni: Tex può sospettare che il colpevole sia la persona sbagliata, ma non “pesterà” mai (e men che mai ucciderà) chi non se lo merita almeno un po’; Carson non scommette mai contro Tex perché, vista l’infallibiltà del ranger, sa che non ha speranza di vittoria [4].
Vista questa infallibilità, all’eroe-Tex è concesso ciò che agli altri lui stesso non permette: violare quelle stesse regole che Tex contribuisce a difendere ed imporre, ritenerle non valide quando siano d’ostacolo alla vera e più alta Giustizia.
Così, come accennato, Tex e i suoi pards, a differenza di chiunque altro nel loro mondo, possono picchiare prigionieri, minacciare torture, distruggere proprietà privata, rubare cavalli e mandrie (e se vogliamo anche barare a poker), ovvero commettere reati che essi stessi spesso puniscono e trovano spregevoli se compiuti da terzi.
Ribadiamolo: queste azioni, se commesse da loro, non hanno lo stesso peso. E ciò avviene perché i pards sono sempre sovrumanamente dalla parte del diritto, e quindi ogni mezzo utilizzato è giustificato dal nobile fine per il quale viene compiuto. Soprattutto essi riescono sempre a non abusare di questa loro immunità, passando dal “giusto pestaggio” al sopruso: ma questo non è che uno dei tanti paradossi dell’eroe epico agli occhi dell’uomo moderno, troppo razionale e troppo democratico per riuscire a vedere quella differenza di qualità tra gli esseri umani (o semidivini) che era alla base dell’epica [5].
 
Alla loro infallibilità nel giudizio corrisponde il loro successo totale nel compiere le missioni [6]: tutti i “malvagi” vengono puniti (o redenti) [7], nessuno può sfuggire alla caccia dei “mastini”, perlomeno alla conclusione della vicenda [8].
È la sicurezza che deve dare l’eroe: lotta per il bene, e il bene trionfa sempre, anche con un aiuto soprannaturale: ma l’eroe lo merita per la purezza delle sue motivazioni e per l’inflessibilità con cui persegue i suoi scopi.


 
e) L’invulnerabilità dell’eroe
Altra caratteristica i molti eroi epici è la loro invulnerabilità: Achille e Sigurd, ma anche l’iniziale Superman non sono feribili, anche se hanno un punto debole che li deve rendere mortali e fallibili, oltre a consentire un equilibrio nello scontro contro i nemici [9].
Tex non è tecnicamente invulnerabile (G.L. Bonelli gli ha dato caratteristiche eccezionali ma non sovrumane) ma sicuramente non risulta uccidibile tramite ferita, veleno, magia etc.! Il ranger è sempre più scaltro degli altri, sempre più pronto a vedere il nemico in agguato o a intuire il pericolo… oltre ad avere una fortuna decisamente sfacciata!

Tex in ciò è simile agli eroi dei cicli arturiano e carolingio, mortali e non invulnerabili [10], spesso “orribilmente feriti” ma ancora in grado di rialzarsi e combattere (e vincere) se si tratta di difendere l’onore di una dama in pericolo! Ma tutto ciò è legato alla missione dell’eroe, il compimento della quale è superiore alle necessità fisiche dell’eroe stesso [11].
 
Claudio Paglieri [12] si è divertito a elencare le ferite di Tex e la maniera irreale di metterlo continuamente in pericolo di vita senza riuscire a ucciderlo.
In realtà ad essere sbagliata non è l’inverosimiglianza della tecnica, ma la sua analisi secondo canoni di verosimiglianza: si può ridere di questa apparente ingenuità narrativa, ma solo volendo razionalizzare ciò che è già razionale, perlomeno secondo la logica del mondo dell’epica.
Insomma: Tex ***deve*** essere continuamente in pericolo mortale, e ***deve*** essere ferito gravemente, ma ***deve*** anche riuscire a cavarsela, poiché non può resuscitare (è un eroe, ma, ripetiamo, non ha poteri sovrumani) e nello stesso tempo non può morire in scontri “di poco conto”.
Ancora una volta, insomma, non conta la coerenza con le avventure dell’intera serie, ma la coerenza con il carattere del personaggio, con i suoi presupposti e con la singola storia che si sta narrando in quel momento.
Se Tex, per esigenze narrative, deve essere ferito, ebbene lo sarà per la prima e nello stesso tempo ennesima volta. Ma visto in una prospettiva più ampia, Tex (e con lui anche i pards), se non è invulnerabile in assoluto, lo è… alle ferite mortali!
 
f) L’eroe camuffato e l’eroe bandito per esigenze di giustizia
Altri due topoi dell’epica medioevale (ma anche parzialmente anche quella greca[13]) si ritrovano in Tex: il dover celare la propria identità per ragione di giustizia, e l’essere ingiustamente cacciato dalla società che l’eroe difende divenendo per risposa un fuorilegge.

Spesso nei poemi canterini avveniva che i cavalieri arturiani celassero il proprio nome sotto false spoglie, o per volontà di avventure, o per un voto, o per uno scherno, o perché la mancanza iniziale di fama non li rendeva ancora degni di un nome proprio [14].
Il nostro ranger si maschera più spesso per ragioni di prudenza, per svolgere in incognito missioni pericolose o per non coinvolgere i suoi amici qualora venisse visto: se prescindiamo da semplici cambi di nome (non dimentichiamo che la fama dell’eroe lo precede [15]), i camuffamenti più rilevanti sono senz’altro quelli da “Aquila della Notte” [16], che porta al ranger il suo “nome indiano”, e da “Uomo della Morte” [17], spirito vendicatore dei diritti dei nativi americani.
Quanto all’essere ingiustamente banditi, molti dei poemi canterini si basano sull’esilio di Orlando dalla corte di Carlo a opera delle trame dei maganzesi; addirittura il ciclo popolaresco di Rinaldo [18] presenta il paladino come un coscritto inseguito con rancore da Carlo (Orlando al contrario è sempre rimpianto, pur dovendosi allontanare per le ferree regole della corte) e deve lottare per dimostrare la sua innocenza e fedeltà. Lì il “bandito” tecnicamente inteso (colpito da bando del re) diventa il “bandito” comunemente inteso (colui che compie atti al di fuori della legge come rapine, omicidi etc.)

Tex esordisce come bandito [19], ma si scoprirà più tardi che lo era solo in quanto accusato dai malvagi che avevano ucciso il fratello (e che da lui furono uccisi per vendetta).
Divenuto ranger, più volte esce dalla legalità, ma sempre per complotti altrui [20] o per difendere la vera Giustizia, calpestata da una legge troppo spesso schiava delle formalità e dei potenti [21]: questo più volte lo porterà a scontri epici specie contro l’esercito, scontri in cui Tex prevarrà, dimostrando la sua innocenza e facendo trionfare la Giustizia.

g) L’eroe come capo mistico
È indubbio che l’eroe epico sia un modello per la sua gente, perché l’epica è la conferma e l’esaltazione dei valori di una classe dirigente.
Questo fa sì che nell’epica “alta”, quella recitata nelle corti per un pubblico di nobili, l’eroe sia di necessità un capo mistico per i suoi sottoposti, in quanto unto dal dio oppure destinato dal fato o dalla propria natura superiore alle imprese eroiche: ciò accade perché la classe nobiliare tale si sentiva.
In questa epica l’eroe è la rappresentazione di ciò che la nobiltà ritiene di dover essere e nello stesso tempo lo specchio in cui guarda sé stessa e si riconosce. Il capo mistico è eccezionale anche per i nobili, ma indiscutibilmente proviene dall’interno della loro classe.


Con la scomparsa della nobiltà (o l’irreversibile decadenza del suo modello di vita, ritenuto per diritto divino diverso da quello della plebe) l’epica varia se non nelle forme, sicuramente nei contenuti, finendo per arrivare all’esaltazione dei “capi” dei regimi totalitari del secolo scorso.
Sarebbe superfluo specificare che nell’epica popolaresca, visto il pubblico vasto, eterogeneo ed occasionale cui si rivolge, fin da subito l’eroe epico non può essere la raffigurazione della realtà (anche ideale) del pubblico che ascoltava: la distanza tra nobile (= potenziale eroe) e popolano (= potenziale salvato dall’eroe) era troppo ampia, e non erano permesse ascese da una classe all’altra [22]… e questa chiusura sociale era data come scontata e naturale anche per il popolo.

Per il popolino medioevale che ascoltava i cantari prodotti da persone semicolte provenienti dalle sue stesse fila, cos’è dunque l’eroe? È la fuga, l’evasione dalla realtà, l’esotismo, l’avventura sognata e mai realizzabile, il sogno tout-court [23].
Ma anche il desiderio di un classe dominante, comunque ritenuta culturalmente come indispensabile, che seguisse ideali che avrebbero portato pace, progresso e protezione al popolo stesso: fino alla Rivoluzione Francese il popolo non contesta il fatto che esista una nobiltà, ma si contestano i nobili che non svolgono il ruolo di dominatori-paternalisti. Gli eroi epici medioevali sono infatti dei signori, ma proteggono il popolo dagli infedeli, dai demoni, ma anche dai prepotenti. Il cavaliere è diverso dal popolo, ma lo difende e lo rispetta perché questo è ciò che il cavaliere deve al popolo, così come il popolo rispetta l’eroe in quanto (ancora una volta) unto dal signore, oppure destinato dal fato o dalla propria natura superiore alle imprese eroiche… e al dominio sul popolo stesso.

Nell’epica popolare quindi non sembra manifestarsi la ribellione contro l’autorità genericamente intesa in nome di un’anarchia o di una democrazia storicamente improponibili [24], bensì il desiderio di una concretizzazione di quel corpo mistico della società che a quel tempo non poteva essere concepita se non in termini verticistici e unitaria.
Ne consegue che nell’epica anche il popolo esprimeva l’esigenza di un capo mistico proveniente dall’alto, che mescolasse autorevolezza nella guida e paternalistica attenzione al sottoposto, che risulta alla fine sempre non autosufficiente dal capo e desideroso di protezione da parte del potere, più che di partecipazione al potere stesso [25].
Rinaldo si sottomette a re Carlo

Tex è certamente un esempio di capo mistico di tal genere.
Lo è sia per i suoi pards che per i suoi indiani: è un capo tanto autorevole da non aver necessità di autoritarismo.
Ciò che dice può essere chiosato, discusso, ma non contraddetto. Quando Carson è dubbioso, Tex gli chiede ritualmente una prova di fiducia, attraverso una proposta di scommessa… e puntualmente il vecchio pard rifiuta, sicuro dell’infallibilità del capo [26]: se Tex è sicuro, nessuno ha (o ritiene di avere) l’autorevolezza necessaria per potersi contrapporre alla sua opinione… neppure all’interno della elitaria cerchia dei compagni.

Tex è difensore (anche con le cattive) di un ordine che spesso non è l’ordine legale quanto un ordine di Giustizia superiore, in nome della sua riconosciuta infallibilità. Egli è l’interprete di questa Giustizia superiore [27] ed è riconosciuto tale sia dai “buoni” che dai “malvagi”.
Tex è in grado di unire i deboli sotto la sua guida, è l’unico che li può portare alla libertà o alla sicurezza, ma solo raramente all’autonomia: in realtà viene più per estirpare il male che per dare gli strumenti ai deboli per agire da soli [28].
Tex non può risultare indifferente, esattamente come i grandi eroi epici: o si è dalla sua parte si è contro di lui.
Repetita iuvant: il grande (inutile) dubbio se Tex sia “di destra o di sinistra” può trovare conciliazione proprio in questa prospettiva di epica popolare.
Tex è il capo mistico richiesto da una generica ideologia “di destra”, ma le sue pulsioni sono anarchiche, spesso ribelli alle autorità costituite e a difesa dei molti deboli contro i pochi prepotenti, esattamente come richiede una ideologia “di sinistra”.

Altri aspetti interessanti, come l’atemporalità dell’eroe e le problematiche legate alla sua morte, li vedremo in un prossimo post.

[1] Perfino l’odio tra Gawain e Lancelot termina con una riconciliazione in articulo mortis.
[2] In questo senso si possono leggere il rifiuto di Rolando di chiamare indietro l’esercito di Carlo Magno a Roncisvalle; o la decisione del nobile Beorhtnoth di consentire ai suoi nemici danesi di raggiungere una posizione meno sfavorevole al combattimento, segnando così la propria sconfitta, nel poema La Battaglia di Maldon; o quella di Beowulf di affrontare il drago (vedi a proposito di questi due ultimi esempi J.R.R. Tolkien, Il ritorno di Beohtnoth figlio di Beorhthelm, in Albero e Foglia, 1976 Rusconi, Milano); di Igor nell’affrontare i Cumani con la sua schiera; di Ettore di attendere Achille fuori dalle Mura di Troia.
[3] Sarebbe interessante disquisire su come i supereroi americani, dalla nascita della Marvel in poi, abbiano perso questa caratteristica epica dell’infallibilità, scivolando verso l’umanità. Lanterna Verde che distrugge una città non è meno epico di quello che salva l’universo: ma il Lanterna Verde che dubita di ciò che ha fatto, che non riesce a giustificarlo senza tormento in nome della sua missione (proprio perché ha commesso un errore) è solo un essere umano che riflette sulla propria vita, non un eroe. Che abbia dei grandi, enormi poteri, è solo un minimo dettaglio che lo differenzia rispetto all’uomo della strada che ha sbagliato a litigare con la ragazza. (Angolo del cinismo mode off!)
[4] Per gli aspetti della formularità nel ricorrere del “Scommetti?/Fossi matto!” vedi supra il paragrafo 3, f).
[5] A scanso di equivoci e rischiano l’excusatio non petita, l’accettazione della necessità di questa regola nella letteratura epica non implica la convinzione che questa sia alla base della vita reale. Dal pregiudizievole rifiuto di separare arte e vita, sono nati pretestuosi e ridicoli fraintendimenti ad esempio sull’opera di Tolkien. (Angolo del fianco esposto a contestazioni politically-oriented mode on)
Aragorn, figlio di Arathorn, re di Gondor e Arnor
[6] Gli unici “fallimenti” (per meglio dire: successi parziali) sono stati introdotti nelle fasi relativamente recenti del periodo da noi analizzato. Sono stati inseriti da Claudio Nizzi per creare un’attesa, specie di come Tex riuscirà a concludere la vicenda: è accaduto per la prima volta in Tex Gigante n. 273 (ma lo scopo principale, salvare l’ufficiale Morrow era raggiunto, e rimaneva aperto solo il conto “minore” con Don Mauel Pedroza, “alleato pericoloso” poi punito in Tex Gigante nn. 333-335); è accaduto per il primo incontro con la Tigre Nera (Tex Gigante n. 384) e nell’ultimo incontro-scontro con Mefisto (Tex Gigante n. 504, ci si perdoni l’excursus dai limiti del materiale di analisi autoimposti), per il quale vedi l’appendice all’articolo Il ranger dell’impossibile. Inutile dire che in ogni caso la vicenda principale è risolta, il pericolo sconfitto: viene semplicemente (ed esplicitamente) lasciata aperta la porta per la nuova avventura, mentre in precedenza questa porta era stata “da aprire” grazie a un escamotage (o a un’evasione dal carcere). Una prima anticipazione di questo schema sembra potersi vedere in Tex Gigante n. 95: Mefisto sembra morto, ma la sua alleata Loa al termine dell’avventura promette vendetta a Yampas, lasciando aperta la porta a una prosecuzione. La missione di Tex era tuttavia quella di eliminare il “vecchio pazzo” (e in ciò riesce), l’errore (poi rivelatosi fatale) è stato di Yampas.
[7] Accade solo per “cattivi” che così cattivi non sono, al massimo ladri, criminali per necessità ma in ogni caso non assassini a sangue freddo (si vedano ad esempio Tex Gigante n. 42, n. 131 o n. 151).
[8] Se escludiamo alcuni errori “veniali” (ovvero: essere inizialmente ingannato da criminali molto astuti) Tex fa un unico errore dichiarato: in Tex Gigante n. 108 lascia andare il baro Fraser (ma questi se ne va tra due ali di folla che lo frustano…) e questo provocherà il massacro degli abitanti di Goldeena; Tex rimedierà in un inseguimento da film horror, che lascerà al baro rinnegato solo la scelta se suicidarsi o farsi sbranare dai lupi!
[9] Gli eroi dell’epica hanno il loro punto debole che deve portare alla morte dell’eroe (si veda la parte ad essa dedicata, in uno dei prossimi post), ma che non impedisce loro di affrontare imprese e lotte epiche. L’aumento delle minacce e dei punti deboli degli eroi inizialmente invulnerabili (Superman diventa “sensibile” non solo alla Kryptonite ma anche alla magia, etc.) è un’altra tappa dello svilimento e dell’umanizzazione dell’eroe nell’epoca moderna: la logica è che un eroe non minacciabile non può generare storie interessanti, perché si saprebbe già che vincerebbe senza problemi. Ora: la percentuale di vere sconfitte dei supereroi americani nel breve o nel medio periodo (attraverso stratagemmi come resurrezioni, dislocazioni temporali o spaziali, clonazioni e quant’altro) dimostra che si tratta solo del classico dito posto davanti alla Luna piena per nasconderla.
[10] Il solo re Artù possiede una magico fodero che impedisce alle sue ferite di sanguinare. Orlando ha la garanzia di vincere qualsiasi duello che si prolunghi fino al terzo giorno, ma ciò non toglie che possa essere ucciso prima.
[11] In Tex Gigante n. 99 il ranger viene battuto da un pistolero in duello con un trucco, ma gli basta rimettersi appena in piedi per riaffrontare il nemico e, stavolta, batterlo… per di più usando solo la mano sinistra!
[12] Paglieri, Non son degno di Tex, cit., pagg. 15-19, 52-53, tabella a pag. 139
[13] Ulisse\Odisseo spesso si camuffa; al contrario l’eroe greco non diventa “fuorilegge”, presumibilmente per il diverso tipo di rapporto con l’autorità della polis dei mitografi: insomma, l’eroe può essere cacciato, diventare nemico della città di origine ma non darsi alla razzia contro di essa, se non quando questo atto venga mostrato come sfoggio di superiore abilità.
[14] Vedi ad esempio le avventure di Sir La Cotta Maltagliata
[15] Vedi punto b)
[16] Tex Gigante nn. 7-8.
[17] Tex Gigante nn. 41-42 e nn. 302-304. È da notare che questo stilema mette Tex sulla scia di “eroi mascherati” quali Zorro, Phantom o i supereroi DC e Marvel (tra i quali inzialmente pressoché solo i Fantastici Quattro non godevano di identità segrete).
[18] Vedi ad esempio il Renaus de Montauban, della prima metà del 1300.
[19] Tex Gigante n. 1.
[20] Ad esempio Tex Gigante n. 3 e soprattutto la storia che si dipana in Tex Gigante nn. 141-145. L’essere accusato ingiustamente e ingiustamente condannato è da considerarsi una variante dell’esilio per scelta.
[21] Ad esempio vedi la bellissima storia del “Sangue Navajo” (Tex Gigante nn. 51-53) o Tex Gigante n. 91
[22] Il popolano che diventa cavaliere è un’invenzione borghese. Tersite nell’Iliade ma anche negli altri poemi pseudo-omerici relativi al ciclo troiano, esprime il punto di vista degli strati più bassi dell’esercito e quindi del popolo: “naturalmente” (visto che la narrazione è quella dell’epica “alta” dei nobili) è deforme nel corpo e nell’animo, e finisce bastonato e deriso; Parzival sembra il contadino rozzo che diventa cavaliere, ma in realtà è un nobile tenuto lontano dalle armi dalla madre. Ogni volta che c’è un’ascesa sociale nell’epica medioevale, essa è in realtà dovuta a un riconoscimento o a una nobiltà ESISTENTE ma negata o ignorata. E’ curioso come questo generi degli strascichi interessanti anche nel romanzo borghese popolare che spesso si è dedicato a narrare l’ascesa sociale (riuscita o fallita) dei suoi protagonisti: Oliver Twist dell’omonimo romanzo è di origine nobile, così come Remi di Senza Famiglia. L’agnizione euripidea è un escamotage che pare non stancare mai i lettori\utenti televisivi.
[24] Da qui il gusto per l’ambientazione fantastica, esotica, l’impresa straordinaria che abbiamo esaminato nel paragrafo 3. di questo articolo.
[25] Rinaldo è in rivolta perché è il paladino dei suoi pares feudatari desiderosi di maggior autonomia dall’imperatore, non lotta per i sottoposti o per impossibili diritti democratici. Robin Hood è un proscritto perché fedele al re legittimo, non perché voglia sovvertire la monarchia o portare l’anarchia nell’Inghilterra.
[25] Nel Signore degli Anelli Aragorn ha il diritto di regnare su Gondor, diritto sancito dal fatto che le mani del re sono guaritrici (come il tocco dei re Valois si diceva curasse la scrofola): solo con il ritorno del re la decadenza del regno può essere fermata e la pace e la prosperità tornare. Ma non possiamo dimenticare che Tolkien è moderno (e cattolico) nel dirci che sono gli umili, i piccoli hobbit a garantire la vera vittoria finale. Qualsiasi proiezione e illazione sulle idee politiche nel mondo reale dello scrittore inglese derivanti dai suoi scritti epici sarebbero, ancora una volta, pretestuose e fuori luogo.
[26] Ancora una volta si veda supra la sezione 3. f) dedicata alla formularità.
[27] Questa sua interpretazione trascendente è condivisa con i pards, perché anche essi sono membri della compagnia ideale di cui abbiamo detto.
[28] In effetti verrebbe da chiedersi come potrebbero fare i Navajos senza di lui, circondati da soldati blu e da coloni aggressivi: ma la risposta è semplicemente la storia così come si è svolta nella realtà.
PS: le immagini non mi appartengono e sono per lo più tratte da pubblicazioni della Sergio Bonelli Editore. Sono qui a corredo dell'articolo di critica e analisi. Questo blog non ha fini di lucro.

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