mercoledì 18 aprile 2012

LA SINDROME DI PROUST (meno ?.? al BigT)



Si sa che, ancora la notte prima di morire, Marcel Proust ricevette il suo editore. Lo scrittore sentiva la morte come ormai inevitabile, e diede (letteralmente) le ultime indicazioni per dare una versione definitiva degli ultimi romanzi della Recherche
La lunga corsa tra la conclusione dell'opera e la morte era stata vinta da quest'ultima.


In realtà la versione "finale" dei suoi romanzi non esiste. Esiste solo l'ultima versione, chiaramente provvisoria.
Proust scriveva su quaderni, ma avrebbe adorato il pc. Perché i suoi quaderni iniziarono ad ampliarsi con l'aggiunta di fogliettini incollati, riferimenti ad altri quaderni, idee… da inserire, spostare, togliere, modificare.

Proust avrebbe mai davvero finito i suoi romanzi? 
In realtà risulta che, attorno a un canovaccio e a uno scheletro già compiuti (salvo alcuni errori e alcune parti decisamente ancora "in abbozzo", la Recherche è leggibile e "conclusa" per il lettore), Proust continuava ad aggiungere episodi, a modificare forme, a spostare pagine e capoversi, alla ricerca di una forma perfetta, ideale.
Non una corsa frenetica, se non in alcuni momenti della sua vita, ma una accidiosa ricerca della pennellata finale, che talvolta non soddisafva più a un secondo sguardo.

Ecco, anche in me c'è una sorta di "Sindrome di Proust", benché il mio sentimento nei confronti dello scrittore francese sia di pura invidia per la sua abilità e il suo genio e non sono certo degno di paragonarmi a lui. 
Certo, io non faccio una corsa contro la morte (speriamo di no! E tocchiamo ferro!), ma gli assomiglio in una accidiosa ricerca del "qualcosa di più perfetto".

Nella nostra vita, temo, faremo ben poche cose con perfezione. 
C'è chi è più fortunato, c'è chi ha parametri più realistici, chi si "accontenta", chi deve fare i conti con le scadenze e la pagnotta e dà il suo meglio dati tempi e luoghi. 
Chi non cerca un "meglio in assoluto" che, idealmente come Proust, avrebbe potuto fare.

Tutto ciò per dire che cosa? 
Che se si deve scrivere una storia da quattro tavole non si può cercare di metterci cose che sembrano "più fighe" ma che portano la storia a cinque tavole. 
Per quanto ci si danni non si può arrivare a ciò che vorremmo, ma solo a ciò che possiamo.

E quindi anche la versione C di ciò che sto scrivendo, dovrà rassegnarsi a lasciare il posto alla versione D, in cui dovrò rinunciare a una serie di idee, di immagini, di dialoghi, che nella mia mente avrebbero reso la storia se non altro migliore, ma che sarebbero stati la porta aperta verso la versione E, la versione F, la G… per un numero di pagine e di tavole che potenzialmente sono pari solo al mondo.

Nella speranza che la Ricerca del Tempo Perduto non diventi il Rimpianto del Tempo Sprecato.

Perché Wasteland non sono riuscito a farmela disegnare. 


PS: non confondete la Sindrome di Proust con la Sindrome di Hari Seldon (o dell'Ultimo Asimov). 
"Fondazione Anno Zero" non è un grande romanzo, secondo me. 
Eppure ho adorato i cicli di Asimov su Fondazione, Impero, Robot… e l'ultimo tassello di una storia iniziata cinquant'anni prima doveva emozionarmi, soddisfarmi, coinvolgermi.
"Fondazione Anno Zero" è ben costruito, come sempre in Asimov, ma mi sembra forzato. Non c'è lo spunto, il tentativo di innovazione, di mettere un altro piano nell'edificio narrativo del buon dottore. 
No: è solo la storia di come Hari Seldon invecchia, perde progressivamente tutto, gli rimane solo il sogno di finire ciò che ha iniziato. E la soluzione, come già in "Fondazione e Terra" è piuttosto mistica, nel senso che tira fuori un deus ex machina  che nulla ha a che fare con gli sforzi dei protagonisti. Il mondo del Buon Dottore (Asimov) non è più il mondo della Psicostoria, del razionale positivista, ma quello dell'affidarci a chi ne sa (o può) più di noi. A Dio, o ai suoi emissari.
Troppo facile vedere in Seldon lo specchio di un Asimov malato, condannato a morire (lo sapeva), che cerca di "far quadrare i conti" prima della fine.
Solo che Asimov era un uomo pratico, di formazione scientifica, di un'altra era rispetto all'accidioso Proust. Asimov fece i conti con il tempo, con la morte, e portò la sua storia dove poteva. Mise un tetto al suo edificio. Forse non bello quanto avrebbe voluto (o potuto con un tempo infinito a disposizione), ma ce la fece.
Proust, con una vita infinita, probabilmente scriverebbe ancora oggi delle adorabilmente fatue chiacchiere del Barone di Charlus, senza mai riuscire a far ritrovare al suo lettore il tempo perduto in quelle stesse chiacchiere che sono la vita.

PSII. Non sapete di cosa parla la Recherche? Ma conoscete l'inglese? Allora ecco un breve sunto dell'opera...

Nessun commento:

Posta un commento