martedì 12 giugno 2012

FIDA DIDA 6 – Diari allo specchio (Meno 12.09 al BigT)



Ed eccoci (come sempre in ritardo e forse finalmente) agli ultimi appuntamenti con l'analisi dell'uso delle Didascalie in Watchmen.

Ohibò, il piano è ardito: ben tre modi diversi in breve tempo, dopo che abbiamo diluito fin troppo a lungo il resto!

In realtà le modalità sono forse più semplici di quelle mostrate finora, e quindi possiamo rischiare l'analisi (e la lettura).

La prima modalità è quella del Diario del Dottor Long. Questi è uno psichiatra che in carcere ha in terapia Kovacs\Rorschach: la terapia in carcere, e gli avvenimenti della vita familiare di Long, sono registrati sul suo diario.
La modalità-diario l'abbiamo già vista QUI, quando abbiamo parlato del Diario di Rorschach. L'uso del diario è però simile e diverso da quello visto in quella occasione. Vediamo come.

La prima similitudine è ovvia, ed è dovuta alla forma scelta. Entrambi i diari sono un commento agli avvenimenti, una riflessione fatta dopo i fatti ma a distanza di tempo non troppo lontana. Entrambi sono fano da contrappunto a ciò che viee visualizzato (o detto) nelle vignette cui sono allegati.
Se le riflessioni di Rorschach partivano dal “caso” per arrivare a un contesto generale, quelle di Long hanno la stessa funzione, seppure con un percorso più tortuoso. Per Rorschach (per il suo Diario) la morte del Comico è solo un aspetto della corruzione dilagante; per il Dottor Long inizialmente c'è solo il caso, affascinante, di Walter Kovacs. Solo dopo, quando “l'abisso guarderà l'osservatore”, per parafrasare la frase di Nietzsche che fa da epitaffio all'albo, quando Rorschach avrà conquistato il suo terapeuta con un trasfer inverso e non voluto, anche Long prende la visuale del suo paziente, e l'interpretazione diventa universale.

Ora le differenze.

Le annotazioni del Diario di Rorschach erano “sparse”, diluite in diversi albi. Qui sono concentrate in un solo albo.
Come accennato sopra, il Diario di Rorschach non riporta la storia di una psicologia che cambia, ma solo il procedere di un'indagine, la trascrizione di pensieri che già erano stati elaborati. Il Diario di Long è un “work in progress” in modo diverso: non è lo scoprire qualcosa di nuovo su avvenimenti esterni, ma capire il mondo secondo la prospettiva dell’ “abisso troppo a lungo osservato”, come dice il titolo. Nel diario di Rorschach ci sono solo conferme, nel diario di Long c’è una rivoluzione. Spiacevole, orrenda, ma è una rivoluzione.
Anche l’ironia di Moore, la feroce ironia che abbiamo visto anche QUI, che usa il testo del diario come un contrappunto crudele alle immagini, è diverso. Se quello di Rorschach il gioco è spesso quello della sottolineatura, di rivelazione del significato nascosto al lettore, nel caso di quello di Long l'ironia nasce dall'incomprensione del dottor verso il paziente, ed è immediatamente chiara al lettore, come nella tavola di esempio.

In conclusione: la forza delle didascalie del diario del Dottor Long nasce dalla variazione\contrasto della tecnica rispetto a quella usata per il diario di Rorschach.
E la ragione di ciò è semplice: Long, uno dei tanti personaggi “marginali” eppure così definiti come tanti altri ce ne sono in Watchmen (ma è l’unico ad essere veramente un co-protagonista di un albo), è uno dei tanti specchi deformanti della saga. È un riflesso distorto di Rorschach, in apparenza un suo opposto, ma è tuttavia un’immagine che poi si definirà sempre di più come simile all’“originale”.
Intanto Kovacs è un ragazzo senza padre. Il Dottor Long ha una tazza con scritto “Dad”. Kovacs non ha una figura femminile che lo ami, Long è (sembra?) felicemente sposato.
Long è’ un uomo che inizialmente pensa di capire sempre tutto, come Kovacs dichiara che inizialmente non capiva nulla.
Il sesso gioca una componente simbolica per entrambi: è l’evento traumatico prima, e la conferma di un mondo malato poi per Rorschach; è l’elemento di unione prima e poi di disgregazione del “mondo perfetto” del Dottor Long.
Long è inconsciamente un ipocrita: la moglie gli dice che è buono, e lui ci crede. È accettato in società, cerca un caso “celebre” “in vista di una prossima pubblicazione” (appendice all’albo), per auto confermarsi nel suo ruolo. Rorschach è invece limpido, lineare, etremo. È un rifiuto della società, e in cambio lui rifiuta la società. Ogni caso è una conferma delle sue idee e del suo ruolo.
Sono tutti e due investigatori della psiche, in fondo. Gli omicidi (ne senso delle uccisioni) sono il punto di partenza di Rorschach, gli omicidi (nel senso degli uccisori) quelli di Long.
Kovacs “che fingeva di essere Rorschach” (tav. 14, V3) ha amici “troppo teneri”, che vogliono provare il brivido dell’avventura, della caccia al crimine personalmente così come fa Rorschach. Il Dottor Long ha amici che vogliono provare il brivido dell’ascoltare la narrazione di crimini, così come lui ascolta.
Rorschach ha già visto l’abisso, Long lo vedrà esaminando Rorschach.
Rorschach è chiuso nel carcere, ma il carcere è la proiezione del suo mondo, una gabbia in cui il “giusto vendicatore” deve lottare senza ricompensa. Long scopre che il suo mondo, le sue convenzioni, sono una trappola. La sua casa, sua moglie: convenzioni che abbandonerà quando avrà l’illuminazione.
Nel suo percorso verso la luce (la luce di un teletrasporto…) Long medita su una verità espressa da Rorschach: non è il vigilante ad essere chiuso in carcere con i criminali (e con Long). Sono gli altri ad essere chiusi in carcere con lui.

Eppure, nonostante la “conversione” di Long, l’epifania della solitudine come condizione naturale dell’uomo, si mantiene la differenza: Rorschach lotta per un astratto e individuale concetto di giustizia, per cui si può rinunciare anche alla vita. Long si dimostrerà davvero “una brava persona”: per lui si può anche rinunciare alla moglie amata per intervenire a sedare un rissa tra sconosciuti, perché “tutto quello che possiamo fare è cercare di aiutarci. È la sola cosa che conta”.
Alla fine, l’abisso non ha vinto.

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