Per la vicinanza cronologica e la
sistematicità con cui fu realizzata, la persecuzione nazista è,
agli occhi di noi 'occidentali' odierni, la manifestazione antisemita
per eccellenza.
Realizzata a partire dal 1933 fino al
1945, l'Olocausto partì dalle tristemente tradizionali violenze
contro i beni per arrivare al tentativo della 'soluzione finale'
richiesta da Hitler. La persecuzione cruenta contro gli ebrei non è
stata un evento raro in questo secolo (basti pensare ai pogrom in
Russia), ma il progetto di un'eliminazione totale degli ebrei fu
un'atroce novità, della quale gli ebrei stessi non si resero conto
se non quando fu troppo tardi. Testimonianza di questo “tragico
risveglio” lo ritroviamo in Maus di Art Spiegelmann.
Figlio di due ebrei sopravvissuti al
campo di concentramento di Auschwitz, il fumettista Art racconta la
storia dei genitori, una storia che sulla sua vita ha avuto un
influsso determinante: la madre Anja si era suicidata, non avendo mai
superato il trauma dei campi e della morte di tutta la sua famiglia;
l'educazione dura del padre Vladek rifletteva la terribile
esperienza; tutti gli amici dei genitori erano anch'essi scampati ai
campi; per il piccolo Art era normale che nel sonno tutti si
lamentassero, in preda ad atroci incubi...
La prospettiva con cui l'autore ha
vissuto e subito l'esperienza dei genitori si trova, emblematica, già
nelle prime due tavole: Art, a New York parla al padre dei suoi amici
con cui ha litigato. Siamo nella sicura e tollerante New York, e si
tratta di litigi tra bambini. Ma Vladek non riesce a consolare il
figlio prescindendo dalla sua vicenda: “Amici? Tuoi amici?... Se tu
chiudi loro insieme in stanza senza cibo per una settimana ALLORA sì
scopri cosa è amici”.
La persecuzione, Auschwitz, entrano
costantemente nella vita di Art, sono l'origine dei 'guai' dei
genitori, ma anche del figlio. New York non è abbastanza lontana,
nessun luogo lo è.
La vita del giovane Art è sempre stata
dominata dalla figura paterna e dall'ombra dell'Olocausto: dal
confronto impossibile con il fratello Richieu, morto nelle
persecuzioni, al ricordo di tristi pranzi in famiglia (“Da piccolo,
se non mangiavo TUTTO quel che mi serviva la mamma, papà e io
litigavamo e alla fine io correvo nella mia stanza in lacrime... a
volte me lo faceva rimettere davanti per giorni e giorni fino a che
non lo mangiavo o morivo di fame”), al continuo conflitto con un
padre in grado di cavarsela in qualunque situazione, di fronte al
quale Art si sentiva (e si sente) ancora inadeguato.
Cresciuto, Art vorrà capire perchè il
padre si comportava così con lui, perché Vladek soffriva e perché,
di conseguenza, anche Art soffriva. E' un'indagine al confine tra la
psicologia, l'analisi storica, la religione: Art indaga per scoprire
le radici della sua sofferenza, ma questo lo porta a un'indagine
sulla sofferenza dell'umanità intera.
Maus è la storia di questa ricerca,
articolata su due piani: la storia di Vladek ed Anja da un lato e
dall'altro quella di Art che vuole far sua questa storia, perché ne
ha vissuto le conseguenze sulla sua pelle.
Art si sente in colpa verso un padre
che non riesce mai ad accontentare, che ha un figlio vivo e perciò
fallibile, ed un figlio morto che, proprio per l'assenza di prove
contrarie, avrebbe potuto renderlo orgoglioso.
Art si sente in colpa verso la madre,
per non esserle stato abbastanza vicino, per non aver capito il
dolore che l'ha portata al suicidio. La distruzione dei diari della
madre, che chiude il primo volume di Maus è simbolica: Vladek ha
distrutto (“Troppi ricordi!” si giustifica) un lascito che Anja
aveva destinato esplicitamente al figlio, diari cercati ufficialmente
per la storia a fumetti, ma che si intuisce siano in realtà la
possibilità di Art di redimersi dal senso di colpa, di trovare quel
contatto con la madre che si era interrotto, come ne 'Il prigioniero
del pianeta Inferno' (un vecchio fumetto di Art).
Ancora una volta Vladek si contrappone
al tentativo del figlio di superare il dramma.
Art si sente in colpa paradossalmente
perché non ha vissuto Auschwitz: all'inizio del secondo volume, dice
alla moglie (e a sé stesso): “A volte avrei voluto essere ad
Auschwitz con i miei per capire veramente cosa hanno passato!...
Forse ho un senso di colpa per avere avuto una vita più facile di
loro.”
In un incubo, un giornalista chiede ad
Art: “Può dire al nostro pubblico se disegnare Maus è stato
catartico? Si sente meglio, ora?”.
No, Art non si sente meglio, perché
non riesce a capire, non trova la chiave. Ne parla al suo analista,
Pavel, un altro scampato ai campi ed emerge ancora il confronto con
Vladek. E nonostante la dimostrazione che il padre aveva torto (Art
non é un fallito, Maus é un capolavoro), Art non riesce a
cancellare il proprio 'peccato originale': “Qualsiasi cosa realizzi
io, è niente rispetto al fatto di sopravvivere ad Auschwitz”.
Ma è vero?
Art si rivolge a Pavel perché è un
bravo analisto, o piuttosto perché si tratta di un altro
sopravvissuto, perché inconsciamente cerca un altro padre simile a
Vladek nelle esperienze ma più comprensivo?
In realtà c'è una sostanziale
differenza nella visione dell'Olocausto che hanno Vladek e Pavel:
Vladek in tutti gli episodi narrati sottolinea continuamente la sua
abilità, il suo comprendere prima degli altri come é necessario
muoversi per cavarsela; in tutte le sue vicende Vladek commette un
solo errore, e quell'errore porterà lui e la moglie ad Auschwitz, ma
sa rimediarvi: lui ed Anja sopravvivono. Pavel, al contrario,
attribuisce sopravvivenza e morte al puro caso.
Con il padre Art si sente sempre un
bambino piccolo, inadeguato, dopo il colloquio con Pavel Art
'ricresce', torna adulto. Per crescere, per superare quella Auschwitz
che non riesce a visualizzare (lapsus freudiano?), Art deve riuscire
a vedere il padre per quello che era davvero.
E la narrazione stessa di Vladek,
sincera e persino impietosa, lo aiuta.
E' una scoperta dolorosa: Art scoprirà
che Vladek non è diventato così ossessivo e sicuro di sé, tanto da
schiacciare gli altri, a causa dell'Olocausto, come Art pensava
all'inizio. Vladek era già così anche prima, per una amara ironia
pieno dei difetti che il razzismo tradizionale attribuisce agli
ebrei: gli episodi del fidanzamento con Anja (il sentimento non
prescinde da considerazioni economiche e calcoli sulla sua capacità
di casalinga e sulla sua salute) o i continui riferimenti
all'avarizia di Vladek, ai suoi pregiudizi nei confronti di comunisti
e negri, sono spie di questa mediocrità, di questa grettezza che è
in Vladek quanto in altri uomini.
Vladek non è solo uno scampato: è
soprattutto un uomo, con tutti i pregi e i difetti dell'uomo
qualunque. La sofferenza non è una ragione sufficiente per la
santificazione di chi santo non è, ma solo un uomo con i suoi
limiti.
Eppure Maus è un racconto aperto,
perché quelli che ai nostri occhi sono difetti, proprio questa sua
oculatezza, questo misto tra astuzia e previdenza hanno permesso a
Vladek di sopravvivere!
Art riuscirà a superare il confronto
con il padre?
Maus porta come sottotitolo 'Racconto
di un sopravvissuto': chi è il sopravvissuto che racconta? E' di
certo Vladek, ma anche Art lo è.
E' sopravvissuto all'antisemitismo ed
al nazismo, che ha conosciuto perché madre e padre non erano
riusciti a librersene. E' sopravvissuto al padre che, come
giustamente dice a Françoise, “In un certo senso non é
sopravvissuto”.
E Pavel conferma: “Forse tuo padre
aveva bisogno di mostrare che aveva sempre ragione... che poteva
sempre sopravvivere... perché si sentiva in colpa per essere
sopravvissuto. E ha passato la colpa su di te, dove era al sicuro...
Sul VERO sopravvissuto”.
Cos'è l'antisemitismo in Maus?
E' l'orrore, la violenza fisica e
psichica, il fulmine che ti colpisce anche se é caduto a miglia da
te.
E' un'esperienza immensa, insuperabile,
che pervade la vita di chi l'ha vissuta in prima persona e di chi é
figlio dei sopravvissuti.
E' una maledizione che, per dirla
biblicamente, colpisce fino alla settima generazione, il peccato
originale da cui derivano sia i mali di Vladek che quelli di Art, di
questo peccato vittime innocenti.
E' anche un punto di partenza per
capire e denunciare la malvagità dell'uomo ma anche per esaltare la
sua straordinaria capacità di resistere anche alle prove più dure.
E' una ricerca sulle cause di un male
che é personale eppure é universale.
E' un'esperienza in cui i vivi a volte
rimpiangono di non essere morti.
E spesso i vivi sono solo
sopravvissuti.
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