Ecco l'ultimo dei tre
articoli sull'antisemitismo destinati a un numero di Clark's Bar del
2000... che non uscì mai. Riveduto, in parte corretto, ma non
ampliato. QUI abbiamo introdotto il
discorso, QUI abbiamo parlato
dell'antisemitismo così come emerge dalla lettura di Maus, e infine QUI abbiamo visto alcuni
spunti sull'argomento che si possono trarre da Verso la Tempesta di
Eisner.
L'idea dei mutanti, gli
Homines Superiores, perseguitati perché 'diversi' dagli Homines
Sapientes era già nella prima incarnazione degli X-Men: prima Lee e
Kirby, e poi soprattutto Roy Thomas, ci avevano parlato della paura
del diverso che si nasconde nel cuore dell'americano medio.
Quando le redini della
saga dei nuovi X-Men furono prese dal britannico Chris Claremont (a
quanto pare non estraneo all'ideazione della nuova formazione di
mutanti), la serie riprese ed ampliò queste tematiche: negli anni
'80 il razzismo, l'odio dell'uomo “normale” contro il diverso,
divenne il tema dominante della serie.
Il rapporto con i
mutanti, con la 'nuova razza', divenne una metafora del fragile
equilibrio in cui si trovava all'epoca (si trova ancora oggi?) la
composita società americana.
Una società piena di paura, che non
esita a rinunciare agli irrinunciabili diritti per colpire
addirittura altri cittadini americani, qualora questi non siano
omologati in qualche modo (un superpotere, in questo caso) alla
maggioranza.
La nuova formazione di
X-Men presentava alcuni personaggi che enfatizzavano questa
differenza. Nella nuova squadra Ciclope e Banshee (e soprattutto
Marvel Girl nella sua trasformazione in Fenice), erano 'banalmente'
marchiati dal “potere pericoloso e distruttivo”, da tenere
costantemente sotto controllo, come nell'idea della serie originaria.
Gli altri mutanti
aggiungevano ai loro poteri una 'stranezza' fisica o etnica, e
rispondevano al tipo del concittadino 'diverso', con cui il cittadino
WASP (Bianco, di origine anglosassone, protestante... e culturalmente
maschilista) si trova ad avere a che fare: troviamo la donna
emancipata, per di più nera (Tempesta); il freak (Nightcrawler); lo
psicopatico (Wolverine); il nativo americano (Thunderbird); il
comunista (Colosso); l'orientale (Sunfire).
Dopo i primi cicli di
storie arriverà nel gruppo anche un'ebrea, Shadowcat.
Tutta la saga di
Claremont fino al principio degli anni '90 è, come detto, impregnata
da questo ideale costantemente frustrato dell'integrazione.
Lo scrittore è bravo a
giocare sul sottile senso di colpa che attraversa l'americano medio,
che si scopre lacerato tra due diverse idealità che sono sottese
all'idea di America: da un lato c'è l'esigenza di omologazione, di
meltin'pot tra le diverse componenti; dall'altra la tradizionale e
culturalmente radicata idea di America come difesa del diritto alla
differenza.
In fondo l'idea
'nazional-popolare' di America vede nell'Europa la terra delle
persecuzioni e della povertà; dai Padri Pellegrini in poi, i
diseredati potevano fuggire in America proprio per proteggere la
propria libertà di essere 'diversi'.
Claremont dice
continuamente ai suoi lettori che il nemico più temibile non è il
supercriminale, visibile e palese, ma è la gente comune (il lettore
stesso, se vogliamo) che teme il diverso anche senza rendersene
conto; che l'uomo è naturalmente cattivo ed egoista nei confronti
degli altri uomini e che quindi gli eroi sono quelli che hanno un
sogno di integrazione ed armonia; che basta poco perché un onesto
americano timorato di Dio crei campi di concentramento e robot
potentissimi per sterminare il proprio vicino di casa solo perché
questi é, appunto, un diverso.
Solo nel 1988, durante la
seconda parte della sua lunga cavalcata alla guida delle testate
mutanti, Claremont ideerà l'africana Genosha, la ricca ed evoluta
terra in cui i mutanti vengono non sterminati ma sfruttati e trattati
come subumani, sul modello del Sudafrica dell'Apartheid.
Nei primi anni '80,
invece, la metafora deve essere più mediaticamente chiara e
semplificata: il nazismo e le sue persecuzioni contro gli ebrei, per
la loro vicinanza cronologica e psicologica, forniscono quasi
naturalmente il modello per il futuro dei mutanti. Qui il 'diverso'
non è da sfruttare, ma da eliminare.
Così nella saga dei
Giorni di un futuro passato (Uncanny
X-Men nn. 141-142) le modalità che portano alla caduta dei mutanti
seguono quasi passo per passo la strategia antisemita della Germania
Hitleriana: propaganda elettorale, paura del 'nemico interno', una
democratica presa di potere, una persecuzione ordinata per legge,
campi di concentramento, macchine per uccidere.
Eppure questa metafora
non trova un legame con un personaggio specifico.
Dell'ebraismo di Kitty
Pryde, infatti, sappiamo ben poco: il cognome non è tipicamente
istraelita, solo dopo anni si esplicita la sua fede, intuibile solo
da una catenina con la stella di David che porta al collo. Ed in
effetti non tanto la religione rende Kitty 'diversa' e destinata al
campo di concentramento, quanto il suo essere una mutante: la sua
fede non determina la sua psicologia, né è il motore principale di
una storia.
Differente è il caso del
'nemico' per eccellenza degli X-Men, Magneto.
Vari indizi portano a
credere che anche il Signore del Magnetismo sia ebreo, benché in
questa fase della narrazione di Claremont il fatto non sia mai
affermato esplicitamente. Il Magnus di Claremont oscilla
continuamente tra i 'buoni' ed i 'cattivi' e, forse per ragioni di
politically correct, in ambito supereroistico non esistono ebrei
puramente 'malvagi'.
Inoltre nel fumetto
supereroistico degli anni '80 non si trova più il villain divenuto
tale per pura malvagità... per lo meno tra i supernemici più
importanti!
Così la volontà di
dominio e di sopraffazione di Magneto devono trovare una ragione di
nascita.
La psicologia di questo
supercriminale viene approfondita proprio narrando i suoi trascorsi:
scopriamo un suo soggiorno in Israele poco dopo la guerra al fianco
di un giovane Charles Xàvier (Uncanny X-Men n. 161) e poi la sua
prigionia ad Auschwitz (Uncanny X-Men n. 199). Tutto nell'ambito del
tentativo di scoprire perché Magneto è divenuto tale.
Da ambizioso, classico
malvagio (nella versione Lee-Kirby vuol solo dominare la Terra grazie
ai suoi poteri) Magnus diventa un tormentato idealista: davanti a un
tribunale internazionale, alla domanda “Lei persegue ancora la
dominazione del mondo?”, il Magneto di Claremont risponde: “Il
mio sogno, fin dall'inizio, é stato proteggere e conservare la mia
specie, i mutanti. Risparmiare loro il fato sofferto ad Auschwitz
dalla mia famiglia”.
Magneto insomma afferma
di aver sbagliato non nel valutare i presupposti, ma nei metodi
impiegati per fermare le inevitabili conclusioni di questi
presupposti: “Io... ho il potere di fare qualcosa. Ho pensato,
erroneamente, che quelle nazioni avrebbero compreso più d'ogni altra
cosa il loro linguaggio, la violenza. Sfortunatamente la violenza ha
generato violenza, innocenti ne hanno pagato il prezzo. Un prezzo
che... come ho scoperto più tardi, era altissimo” (Uncanny X-Men
n. 200).
Dunque il male non può
che generare male, e a causa delle persecuzioni anche gli innocenti,
gli idealisti, si trasformano in esseri spietati: in Uncanny X-Men n.
203, Magneto dice “Nei primi tempi della nostra amicizia, Xàvier
mi chiese se avrei ucciso Adolf Hitler da neonato... quando era un
bambino innocente... per risparmiare al mondo l'orrore. Risposi di
sì. Poi mi chiese... avresti ucciso i nonni di Hitler? Risposi di sì
nuovamente! Avrei pagato qualunque prezzo, compiuto qualunque
sacrificio per estirpare quel male”.
Ma della persecuzione
subita ci sono solo accenni, scene divenute ormai tipiche della più
convenzionale 'crudeltà nazista': siamo pur sempre nell'ambito di un
prodotto destinato al vasto pubblico, acquistato più per svagarsi
che per riflettere, e Claremont può permettersi al massimo di
accennare, di inserire immagini di una Auschwitz purtroppo divenuta
stereotipata, non di approfondire.
Cos'é l'antisemitismo in
queste storie? Claremont, ottimo autore del fumetto seriale in cui ha
introdotto psicologie e tematiche nuove, non ha, probabilmente, mai
avuto intenzione di realizzare opere di profonda riflessione.
L'antisemitismo in
Claremont è un espediente narrativo, una lontana idea astratta, da
usare come spunto per alcuni stilemi letterari, dalla distopia
(l'utopia negativa) alla psicologia tridimensionale dei protagonisti
dei comics: è un modello per un futuro da evitare, è l'orrore di un
passato da temere, è una dolorosa eredità per un presente su cui
riflettere.
E' visto non per la sua
realtà, ma perché è ormai un archetipo: ma come tutti gli
archetipi rischia di diventare solo un luogo comune.
Immagini tratte dal web, i diritti appartengono ai rispettivi proprietari. Qui sono riportate a semplice corredo dell'analisi.
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