Prosegue la trattazione su tre esempi
di antisemitismo raccontati dal fumetto americano di fine anni '90
iniziato QUI, e continuato con l'analisi di Maus QUI.
Un altro articolo destinato
originariamente a Clark's Bar (R.I.P.) oltre dieci anni fa, con
alcune minime revisioni ed aggiunte per l'occasione. Era un commento
che partiva dall'edizione 1998 della Punto Zero.
È stato il primo
volume di Eisner che ho acquistato.
L'antisemitismo della memoria permea
anche “Verso la tempesta” di WILL EISNER: la graphic novel
racconta la storia dell'infanzia e della giovinezza dell'autore.
E' il racconto del crescere in un mondo
dove il razzismo nei confronti degli ebrei è insieme concreto e
sfumato, in un'America della tolleranza e delle rivalità di
quartiere.
E' la storia di una lotta per negare
l'esistenza del razzismo, del tentativo di eliminarlo semplicemente
fingendo che non esista.
Giustamente nell'introduzione alla
traduzione italiana La Polla nota come “... Verso la tempesta è
ben più che la storia di Willie, ed è persino ben più che non la
storia campionaria di una minoranza etnica. No, il popolo di cui si
racconta qui la storia è quello americano”.
Lontano dagli orrori europei
dell'epoca, l'antisemitismo della giovinezza di Eisner è fatto di
botte tra ragazzini, di preoccupazione per il trasloco in un
quartiere dove “... sono quasi tutti italiani, irlandesi e Dio sa
cos'altro”. Si tratta di un mondo dove la violenza fisica della
persecuzione antiebraica è qualcosa di lontano, narrato dal padre di
Willie a mo' di lontana favola, dove l'episodio più cruento avviene
non contro gli ebrei, ma tra un italiano ed un irlandese.
E' un quartiere\mondo, la Dropsie
Avenue cantata in tante altre opere del Maestro, dove l'appartenenza
al gruppo “degli ebrei” per alcuni è più importante di
qualsiasi difficoltà che da questa appartenenza possa derivare (come
per la madre di Eisner e sua sorella); per altri, invece, è un
ostacolo che si può rimuovere semplicemente con la volontà (vedi il
fratello della madre che si converte per stare tranquillo).
Ma Eisner fa intuire che per tutti i
gruppi avviene la stessa cosa.
Nella sua introduzione l'autore parla
di una New York divisa in enclaves in cui l'estraneo era oggetto di
diffidenza: “un ambiente pseudo-balcanico in cui il pregiudizio era
endemico. Quando ci trasferimmo in un quartiere italiano tutti
avevano pregiudizi verso gli irlandesi. Quando la mia famiglia si
trasferì in una strada irlandese gli abitanti del quartiere
nutrivano pregiudizi verso gli italiani. E naturalmente nel quartiere
tedesco si schernivano italiani e irlandesi”.
L'antisemitismo descritto da Eisner è
solo un esempio dell'intolleranza che è dovunque e potenzialmente in
chiunque. E' un aspetto del più generale razzismo, non è qualcosa
di diverso, di particolare, di esclusivo.
Il razzismo a New York è un pensiero
che si insinua costantemente ed emerge in frasi dette senza malizia e
'normali' nella mente di chi parla, ma che invece nascondono la voce
del pregiudizio.
E' l'ostilità istintiva che non riesce
a reggere ai ragionamenti pacifisti (o almeno diretti ad una
convivenza) del padre di Eisner. E' la storia, umoristica nel suo
dramma come solo tante storielle Yiddish sanno esserlo, di Abraham
Mazzoli, cattolico divenuto ebreo per amore, costretto a tornare
cattolico per vivere tranquillo e rifarsi una famiglia...
Il razzismo in America è la storia di
un paese dove gli stessi ebrei sono razzisti, addirittura contro i
propri correligionari!
Alla madre di Will (ebrea americana)
non piacciono gli ebrei tedeschi, fuggiti al nazismo, ma questi
stessi ebrei tedeschi, 'rifugiati e bisognosi di aiuto', pensano che
il quartiere in cui stanno sia “davvero degradante. Abbiamo dovuto
sistemarci tra di loro... gli ebrei dell'est sono dei tali
zotici...Non sono come noi!! Noi siamo migliori... abbiamo studiato.
In fin dei conti, siamo ebrei tedeschi!”.
E' il razzismo ovunque, il pregiudizio
di clan contro clan, che a loro volta contengono sottoclan in lotta
tra loro. E' la concretizzarsi del motto caucasico “Io e mio
fratello contro mio cugino, io e mio cugino contro il mondo”.
Solo il saggio padre di Willy (il cui
fallimento nel lavoro è il simbolo di un'America che non premia chi
segue i suoi ideali più di quanto non premi chi vede solo la sua
realtà concreta) sa dare una motivazione: “Nella vita, Willie...
come nell'arte... è una questione di prospettiva!”.
La guerra, con la sua concretezza, la
sua brutale realtà fatta di elementi basilari (vivere, lottare,
morire), priva degli orpelli che l'uomo e la società costruiscono,
darà la giusta prospettiva, che Will (e con lui tutti gli americani)
ha cercato per tutta la sua giovinezza.
La struttura della narrazione è
complessa, ma non complicata. E' un viaggio su un treno che è
insieme un viaggio nella memoria: il vecchio e saggio Will Eisner
degli anni '90 scrive e disegna il giovane Will del 1942, che cerca
la sua strada nell'ultimo momento di pausa prima della tempesta della
guerra; il Will del 1942, che sta per diventare un uomo più
mentalmente che anagraficamente, ricorda il piccolo Willie degli anni
'20 e '30; questi, a sua volta, sente i racconti dei genitori sulle
loro vicende nei primi venti anni del 1900.
Un secolo breve in un viaggio.
Questa struttura che ci porta nel
fluttuante tempo del ricordo, mostra le fasi della ricerca di questa
prospettiva: l'Eisner degli anni '90 'appare' come narratore solo
nella prima tavola, introduttiva e generale, che da' la chiave di
lettura di tutta l'opera: “per questi giovani era un viaggio
indimenticabile verso una nuova vita. Alle spalle lasciavano gli anni
della giovinezza. Davanti a loro, un futuro in gran parte
sconosciuto... era un momento di riflessioni, di bilanci...
istintivamente sapevano che i loro valori e i loro pregiudizi
sarebbero stati messi presto alla prova, e che mai più, forse,
nell'arco delle loro vite, ci sarebbe stato un momento come quello”.
Il Will del 1942 appare ogni tanto a
collegare i ricordi, ma parla poco, lasciando al doppiamente
emarginato turco cattolico Mamid le riflessioni sul contemporaneo:
nel 1942 Will riflette e comprende gli errori fatti e gli
insegnamenti ricevuti nel passato.
Il piccolo Willie che cresce negli anni
'30, subisce il razzismo e non lo accetta, adottando soluzioni che
non risolvono nulla (il fratellino che da Julian diventa Pete per
evitare scontri!). Poi ne rinnega la 'normalità', radicata nei
genitori, facendo finta che non esista: Willie non invita i propri
genitori alla festa di diploma della fatua Heidi, per nascondere le
sue origini in nome di quell'ideale americano che era la fusione tra
le etnie, il melting pot.
E' la soluzione dello zio di Will,
“sono ebreo solo se gli altri pensano che lo sia!”: non eliminare
il pregiudizio, ma 'passare dalla parte giusta della barricata'.
Ma nel 1940 Will si trova sbattuta in
faccia la realtà: anche l'amico più caro, Buck, ha in sé il germe
malvagio di un antisemitismo che è una categoria mentale, che genera
sospetti infamanti anche su un amico che subito dopo si invita a
pranzo. Questo antisemitismo appare come un inciso, nulla più una
battuta tanto per dire, nelle intenzioni di Buck senza intenti
offensivi, e per questo ancora più crudele per Will.
E' allora che Will capisce: in una
tormentata notte la realtà esce fuori oltre tutte le illusioni. I
cattivi non sono stati catturati alla fine dell'avventura, ma sono
sfuggiti: la realtà è diversa dal sogno.
E' la saggezza popolare
dell'inserviente a dare la chiave: “Forse qua dentro [nello studio
fumettistico di Eisner, N.d.R.] si sente al sicuro... Fuori, nel
mondo reale, succedono cose che è impossibile controllare”.
La degna conclusione di questo romanzo
grafico è nelle frasi di Mamid, e non di Eisner, per dare una
dimensione universale alla sua riflessione su una storia che è
universale.
Mamid, convertito per integrarsi,
riesce a “convivere con una memoria selettiva e con la tirannia di
una speranza che non muore”, e così ritrova il senso della propria
identità.
Will nel 1942 e nel 1990 è come lo HOJA NASREDIN (un sufi mussulmano turco, non un saggio rabbi da
citare), “un saggio che cavalca il proprio somaro sempre al
contrario... per vedere da dove viene!... in fondo... dove va è
nelle mani di Allah!”.
Cos'è, dunque, l'antisemitismo in
'Verso la tempesta'?
E' una delle categorie mentali di un
mondo che vive permeato di un razzismo totale.
E solo quando giunge alla
consapevolezza del razzismo, Will cresce, e diventa uomo.
Le immagini sono tratte dal web, di proprietà dei rispettivi autori. Qui sono inserite solo per corredo all'analisi critica.
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