mercoledì 27 giugno 2012

Tre modi di vedere l'antisemitismo nel fumetto americano 2 - Verso la Tempesta, o l'antisemitismo come categoria universale (meno 19.42 al BigT)


Prosegue la trattazione su tre esempi di antisemitismo raccontati dal fumetto americano di fine anni '90 iniziato QUI, e continuato con l'analisi di Maus QUI.
Un altro articolo destinato originariamente a Clark's Bar (R.I.P.) oltre dieci anni fa, con alcune minime revisioni ed aggiunte per l'occasione. Era un commento che partiva dall'edizione 1998 della Punto Zero. 
È stato il primo volume di Eisner che ho acquistato.



L'antisemitismo della memoria permea anche “Verso la tempesta” di WILL EISNER: la graphic novel racconta la storia dell'infanzia e della giovinezza dell'autore.
E' il racconto del crescere in un mondo dove il razzismo nei confronti degli ebrei è insieme concreto e sfumato, in un'America della tolleranza e delle rivalità di quartiere.
E' la storia di una lotta per negare l'esistenza del razzismo, del tentativo di eliminarlo semplicemente fingendo che non esista.

Giustamente nell'introduzione alla traduzione italiana La Polla nota come “... Verso la tempesta è ben più che la storia di Willie, ed è persino ben più che non la storia campionaria di una minoranza etnica. No, il popolo di cui si racconta qui la storia è quello americano”.
Lontano dagli orrori europei dell'epoca, l'antisemitismo della giovinezza di Eisner è fatto di botte tra ragazzini, di preoccupazione per il trasloco in un quartiere dove “... sono quasi tutti italiani, irlandesi e Dio sa cos'altro”. Si tratta di un mondo dove la violenza fisica della persecuzione antiebraica è qualcosa di lontano, narrato dal padre di Willie a mo' di lontana favola, dove l'episodio più cruento avviene non contro gli ebrei, ma tra un italiano ed un irlandese.
E' un quartiere\mondo, la Dropsie Avenue cantata in tante altre opere del Maestro, dove l'appartenenza al gruppo “degli ebrei” per alcuni è più importante di qualsiasi difficoltà che da questa appartenenza possa derivare (come per la madre di Eisner e sua sorella); per altri, invece, è un ostacolo che si può rimuovere semplicemente con la volontà (vedi il fratello della madre che si converte per stare tranquillo).

Ma Eisner fa intuire che per tutti i gruppi avviene la stessa cosa.
Nella sua introduzione l'autore parla di una New York divisa in enclaves in cui l'estraneo era oggetto di diffidenza: “un ambiente pseudo-balcanico in cui il pregiudizio era endemico. Quando ci trasferimmo in un quartiere italiano tutti avevano pregiudizi verso gli irlandesi. Quando la mia famiglia si trasferì in una strada irlandese gli abitanti del quartiere nutrivano pregiudizi verso gli italiani. E naturalmente nel quartiere tedesco si schernivano italiani e irlandesi”.
L'antisemitismo descritto da Eisner è solo un esempio dell'intolleranza che è dovunque e potenzialmente in chiunque. E' un aspetto del più generale razzismo, non è qualcosa di diverso, di particolare, di esclusivo.

Il razzismo a New York è un pensiero che si insinua costantemente ed emerge in frasi dette senza malizia e 'normali' nella mente di chi parla, ma che invece nascondono la voce del pregiudizio.
E' l'ostilità istintiva che non riesce a reggere ai ragionamenti pacifisti (o almeno diretti ad una convivenza) del padre di Eisner. E' la storia, umoristica nel suo dramma come solo tante storielle Yiddish sanno esserlo, di Abraham Mazzoli, cattolico divenuto ebreo per amore, costretto a tornare cattolico per vivere tranquillo e rifarsi una famiglia...

Il razzismo in America è la storia di un paese dove gli stessi ebrei sono razzisti, addirittura contro i propri correligionari!
Alla madre di Will (ebrea americana) non piacciono gli ebrei tedeschi, fuggiti al nazismo, ma questi stessi ebrei tedeschi, 'rifugiati e bisognosi di aiuto', pensano che il quartiere in cui stanno sia “davvero degradante. Abbiamo dovuto sistemarci tra di loro... gli ebrei dell'est sono dei tali zotici...Non sono come noi!! Noi siamo migliori... abbiamo studiato. In fin dei conti, siamo ebrei tedeschi!”.
E' il razzismo ovunque, il pregiudizio di clan contro clan, che a loro volta contengono sottoclan in lotta tra loro. E' la concretizzarsi del motto caucasico “Io e mio fratello contro mio cugino, io e mio cugino contro il mondo”.

Solo il saggio padre di Willy (il cui fallimento nel lavoro è il simbolo di un'America che non premia chi segue i suoi ideali più di quanto non premi chi vede solo la sua realtà concreta) sa dare una motivazione: “Nella vita, Willie... come nell'arte... è una questione di prospettiva!”.
La guerra, con la sua concretezza, la sua brutale realtà fatta di elementi basilari (vivere, lottare, morire), priva degli orpelli che l'uomo e la società costruiscono, darà la giusta prospettiva, che Will (e con lui tutti gli americani) ha cercato per tutta la sua giovinezza.

La struttura della narrazione è complessa, ma non complicata. E' un viaggio su un treno che è insieme un viaggio nella memoria: il vecchio e saggio Will Eisner degli anni '90 scrive e disegna il giovane Will del 1942, che cerca la sua strada nell'ultimo momento di pausa prima della tempesta della guerra; il Will del 1942, che sta per diventare un uomo più mentalmente che anagraficamente, ricorda il piccolo Willie degli anni '20 e '30; questi, a sua volta, sente i racconti dei genitori sulle loro vicende nei primi venti anni del 1900.
Un secolo breve in un viaggio.

Questa struttura che ci porta nel fluttuante tempo del ricordo, mostra le fasi della ricerca di questa prospettiva: l'Eisner degli anni '90 'appare' come narratore solo nella prima tavola, introduttiva e generale, che da' la chiave di lettura di tutta l'opera: “per questi giovani era un viaggio indimenticabile verso una nuova vita. Alle spalle lasciavano gli anni della giovinezza. Davanti a loro, un futuro in gran parte sconosciuto... era un momento di riflessioni, di bilanci... istintivamente sapevano che i loro valori e i loro pregiudizi sarebbero stati messi presto alla prova, e che mai più, forse, nell'arco delle loro vite, ci sarebbe stato un momento come quello”.

Il Will del 1942 appare ogni tanto a collegare i ricordi, ma parla poco, lasciando al doppiamente emarginato turco cattolico Mamid le riflessioni sul contemporaneo: nel 1942 Will riflette e comprende gli errori fatti e gli insegnamenti ricevuti nel passato.

Il piccolo Willie che cresce negli anni '30, subisce il razzismo e non lo accetta, adottando soluzioni che non risolvono nulla (il fratellino che da Julian diventa Pete per evitare scontri!). Poi ne rinnega la 'normalità', radicata nei genitori, facendo finta che non esista: Willie non invita i propri genitori alla festa di diploma della fatua Heidi, per nascondere le sue origini in nome di quell'ideale americano che era la fusione tra le etnie, il melting pot.
E' la soluzione dello zio di Will, “sono ebreo solo se gli altri pensano che lo sia!”: non eliminare il pregiudizio, ma 'passare dalla parte giusta della barricata'.
Ma nel 1940 Will si trova sbattuta in faccia la realtà: anche l'amico più caro, Buck, ha in sé il germe malvagio di un antisemitismo che è una categoria mentale, che genera sospetti infamanti anche su un amico che subito dopo si invita a pranzo. Questo antisemitismo appare come un inciso, nulla più una battuta tanto per dire, nelle intenzioni di Buck senza intenti offensivi, e per questo ancora più crudele per Will.

E' allora che Will capisce: in una tormentata notte la realtà esce fuori oltre tutte le illusioni. I cattivi non sono stati catturati alla fine dell'avventura, ma sono sfuggiti: la realtà è diversa dal sogno.
E' la saggezza popolare dell'inserviente a dare la chiave: “Forse qua dentro [nello studio fumettistico di Eisner, N.d.R.] si sente al sicuro... Fuori, nel mondo reale, succedono cose che è impossibile controllare”.
La degna conclusione di questo romanzo grafico è nelle frasi di Mamid, e non di Eisner, per dare una dimensione universale alla sua riflessione su una storia che è universale.
Mamid, convertito per integrarsi, riesce a “convivere con una memoria selettiva e con la tirannia di una speranza che non muore”, e così ritrova il senso della propria identità.

Will nel 1942 e nel 1990 è come lo HOJA NASREDIN (un sufi mussulmano turco, non un saggio rabbi da citare), “un saggio che cavalca il proprio somaro sempre al contrario... per vedere da dove viene!... in fondo... dove va è nelle mani di Allah!”.

Cos'è, dunque, l'antisemitismo in 'Verso la tempesta'?
E' una delle categorie mentali di un mondo che vive permeato di un razzismo totale.
E solo quando giunge alla consapevolezza del razzismo, Will cresce, e diventa uomo.

Le immagini sono tratte dal web, di proprietà dei rispettivi autori. Qui sono inserite solo per corredo all'analisi critica.

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