TRADUZIONI NEI FUMETTI
Asterix è uno dei capolavori della letteratura a fumetti, poco da
aggiungere.
I suoi autori sono riusciti a creare storie a diversi livelli di
lettura, ottime nella loro leggerezza per i più piccoli e ricche di bonaria
ironia per i meno piccoli. [1]
In “Asterix e Cleopatra”, uno dei più famosi albi della serie [2]
compare anche una piccola vignetta, che oltre a mostrarci in volto uno dei
coprotagonisti della vicenda (Numerobis), ci permette di fare una riflessione
su quanto appartiene al linguaggio del fumetto e non è, al contrario,
facilmente riproducibile in altri media.
L’occasione della gag è la delicata satira del plurilingue Goscinny al
doppiaggio dei film stranieri in Francia come ci informano gli accurati
redazionali dell’albo (edizione RCS): a essere “vittima” dell’arguzia gallica è
in particolare proprio il “Cleopatra” di Mankiewicz che è parodiato in tutto l’albo.
Ma la soluzione trovata (il contrasto tra didascalia e
immagine\balloon) è qualcosa di geniale.
Abbiamo Numerobis che parla in egizio (anzi: nella realtà fa solo un’esclamazione),
e il balloon ci dà il “testo” di quanto pronuncia. Ma la didascalia ci avverte
che la posizione delle labbra e della bocca dell’architetto alessandrino non
corrispondono al suono… perché parla, appunto, in egizio, mentre per comodità
del lettore moderno le frasi sono tradotte e “pronunciate” in francese
(ovviamente in italiano nella versione nostrana).
Tutto appare, come detto, funzionale alla parodia dei peplum [3] e alla satira sui doppiatori:
tutto l’albo è costellato da questo gioco, con gli egizi che spesso nei loro
balloon “parlano per geroglifici” che vanno a comporre dei rebus.
Qui il gioco è più complesso, e riguarda alcuni elementi fondanti del
linguaggio del fumetto così come si è costruito nel tempo.
Abbiamo innanzitutto una prima convenzione: i balloon non sono segni
grafici, ma suoni veri e propri, perché sono segno, appunto, di un suono [4].
Ne consegue che, se sono “suoni”, in questa sospensione dell’incredulità
dobbiamo supporre che le immagini (statiche) del fumetto debbano riprodurre
esattamente i movimenti dell’apparato fonatorio durante la fonazione (atto
dinamico).
Infine che, variando il suono col mutare della lingua, e dato per
scontato che, essendo un “doppiaggio”, il significante (suono) della parola,
diverso nelle due lingue, può essere, come è, differente dal significato della
parola (che per quanto è possibile dovrebbe essere coincidente [5]).
Si può ottenere la stessa gag in media
diversi dal fumetto?
La risposta sembra no.
Se fosse fatto in un libro (solo segni grafici per il suono della
parola), la battuta non ha alcun senso, poiché non si può vedere la “non
corrispondenza del movimento delle labbra”, e tutto apparirebbe artificioso e
insipido.
Idem in un media che utilizza
solo la voce (radio), dove la gag non avrebbe senso per motivi simili: non si
vedrebbe il movimento delle labbra.
Se fosse fatto in un film (dal vivo o d’animazione è irrilevante) o a
teatro, si potrebbe usare per la didascalia la voice off, cosa che in effetti è una didascalia.
Questo però richiederebbe un montaggio di momenti diversi. Si potrebbe,
probabilmente, far sentire la frase di Numerobis “doppiata”, poi un fermo
immagine, la voice off che fa la
battuta, un rewind con un ralenti e uno zoom sulle labbra dell’“attore” per
mostrare il gioco.
Non impossibile, certo, ma se una battuta deve essere spiegata, perde
la sua efficacia, no?
Ci permette di apprezzare come si deve questa trovata umoristica solo
il fumetto, con la sua immagine fissa che però evoca nella mente del lettore un’immagine
in movimento, e la contemporaneità ricostruita tra didascalia, immagine e testo
della vignetta [6].
Per concludere: anche in una piccola, “innocente” vignetta, due grandi
autori possono far trovare l’eccezionalità del linguaggio fumettistico.
E questo avviene solo perché i due grandi autori erano pienamente
consapevoli che il fumetto non è fatto di un testo al servizio dei disegni o di
disegni al servizio del testo, ma che un grande fumetto nasce quando disegni e
testi sono strettamente legati e funzionali a un risultato che è superiore alla
somma delle parti. Cosa che, ci sia concesso, non sempre è chiara ai
fumettisti, che si trovino dalla parte del pennino o del word processor.
PS: come non citare lo sfoggio faraonico dei mezzi di produzione del
fumetto, paragonabile solo al dispendio del film hollywoodiano di Cleopatra? Ce
ne dà il resoconto la copertina originale:
“La più grande avventura mai disegnata: 14 litri d'inchiostro di china,
30 pennelli, 62 matite a mina grassa, 1 matita a mina dura, 27 gomme da cancellare,
38 chili di carta, 18 nastri di macchina da scrivere, 2 macchine da scrivere,
67 litri di birra sono stati necessari per la sua realizzazione.”
PS II: se volete sapere come è stata risolta la faccenda nei film… Ebbene,
è stata ignorata, per ovvi motivi!
Ecco il film d’animazione (dal minuto 6:50)
Ed ecco la scena nel film dal vivo (dal minuto 6:35)
[1] Ricordo che adoravo Asterix quando da scolaro delle elementari
leggevo le sue avventure sul mitico “Giornalino” delle Paoline: all’epoca
apprezzavo i pugni, il S.P.Q.R., l’imbavagliamento di Assuracentourix…
esattamente come amavo le risse finali nei film di Bud Spencer e Terence Hill.
Oggi quelle risse filmiche mi annoiano, ma grazie all’edizione in allegato ai
quotidiani RCS (e ai suoi dettagliati redazionali) sto apprezzando Asterix in
una luce del tutto nuova: quella della satira di costume, della risata lieve ma
arguta sui piccoli difetti e le convenzioni, senza quella amarezza di fondo,
senza quella “cattiveria” che sono state tipiche, ad esempio, della commedia
italiana dell’epoca d’oro del Gallo.
[2] Non a caso è stato scelto come primo numero (di lancio) della
collana, benché nella realtà sia uscito come sesto (anno di pubblicazione: 1965)
ed è stato usato come soggetto per un film animato (1968) e un film dal vivo (Asterix
Missione Cleopatra, 2002).
[3] Non me ne vogliano di questa forma singolare per un plurale i linguisti
puristi latinisti! Nessuno direbbe che i film in costume romano (o greco) al
plurale si dovrebbero chiamare “pepla”!
[4] Ne abbiamo parlato anche qui
[5] Nella realtà della traduzione o dell’adattamento del doppiaggio ciò
non sempre accade per motivi differenti: la lunghezza differente delle parole tra
le due lingue, ad esempio; o giochi di parole che perdono significato nel passaggio
da lingua a lingua e richiedono dunque un adattamento ad hoc (il famoso asterixiano SPQR = “Sono Pazzi Questi Romani” è
invenzione italiana di Marchesi); nei film, l’esigenza di scegliere parole che,
appunto, abbiano un suono simile alla posizione della bocca degli attori,
specie quando abbiamo dei primi piani.
[6] Per lo meno in questo caso: a volte si possono creare successioni
temporali (e quindi dinamismo) tra immagine, testo e didascalia. Ne parleremo
in futuri post.
NB: immagini (disegnate o in movimento) e testi dei fumetti e dei film non mi appartengono, così come i link qui compaiono non per violare diritti d'autore, ma solo a corredo dell'analisi. Questo blog non ha fini di lucro.
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