“Beh,
cari miei, conoscete il detto: non ti curar di loro ma guarda e surfa.”
Da Tank
Girl Episodio Sei, Aprile 1989
“In
poche parole, un fumetto pieno di cazzate!”
Jamie
Hewlett
FARSI IL PUBBLICO
Coprolalia (se non lo sapete cercate sulla Treccani, perché questo è un blog che vi fa erudire!), esaltazione del bere, del
rutto, dello scorreggio, dello sputo (manco si trattasse della filosofia di
Shrek ante litteram),
del sesso alternativo, delle droghe leggere… che a parlare di droghe
pesanti si fa “Gli ultimi giorni di Pompeo”(seh, gli sarebbe piaciuto) e poi scende il magone.
A chi si rivolge un fumetto siffatto?
Il patologico pubblico cinematografaro straziantemente descritto in
Cinematografia Patologica è stata certo un’area più vasta dell’outback
australiano (beh, visti i risultati al botteghino, forse più piccola della fu
BATprovincia), ma sostanzialmente coincidente negli intenti a quella di un
fumetto underground (perché inglese, quindi non subway) apparsa su riviste
dalla scarsa distribuzione.
E allora vediamoli, questi lettori.
Secondo l’editoriale di presentazione del Tank Girl Alternative Magazine
#0 della General Press (settembre 1995), uscito nella (all’epoca) prossima
uscita del film, pomposamente TG era uscita
“per terrorizzare una nazione di noiosissimi benpensanti. […] Ora noi della General […] stiamo preparando il terreno a TANK GIRL per invadere l’Italia, con un progetto che ha serie intenzioni di corrompere le innocenti testoline delle nuove generazioni a suon di PUNK COMICS & ROCK MUSIC. […] Per quanto mi riguarda vi lascio a MONDO, al rubrica su ciò che ci gusta e ciò che ci dà vomito […] con la promessa che ci faremo in quattro in quattro per offrirvi, mese dopo mese, le più disparate novità, che siano pop o underground, le interviste più esclusive, musicali e non, i comics più avvelenati e tutto ciò che di creativo e strano c’è nel nostro pianeta, a costo di infilarci un peperoncino nel culo per avere più sprint!” (grassetti e sottolineati miei)
L’editoriale chiariva davvero cosa si volesse fare, e quale fosse lo
spirito del fumetto e della rivista. E quindi il pubblico.
“Insomma, abbiamo a che fare con un personaggio forte, deciso, una riot grrrl nata prima del fenomeno ‘riot grrrls’, una bastarda di prima, che sa sempre da che parte stare: la sua. Ed è per questo che la sua immagine è legata molto più al mondo musicale che a quello dei fumetti. Un fumetto popolare non è mai stato così trasgressivo: dissacrare, destabilizzare, rivolgendosi particolarmente a un pubblico giovane è sempre stato un ruolo relegato alla musica rock, e al punk, per eccellenza"
(Dal testo del redazionale allegato all’intervista a J. Hewlett, su
Tank Girl Alternative Magazine #0, General Press)
Insomma: un pubblico giovane, amante della dissacrazione. Ma sarà
davvero così?
Come dobbiamo intendere i termini “dissacrare \ destabilizzare”? Nel
senso dell’Anarchy in the UK di
pistoliana memoria?
Parliamone.
Martin (INTRO a Tank Girl UNO, Panini Comics 2013) ricorda ironicamente
l’inizio di TG:
“Primavera del 1987. Worthing. Sussex. Frequentavamo la scuola d’arte da troppo tempo e lo stress da arte stava prendendo il sopravvento. Eravamo passati dalle aspirazioni altamente intellettuali alla forma espressiva più stupida: la fanzine di fumetti.”
Ok, magari scherza esagerando. O forse no?
L’elemento che più emerge dal fumetto non è affatto una carica eversiva
ribelle. La ribellione appare di facciata, sca##ata, dichiarata con
esagerazione e talmente esagerata da non essere credibile.
Cercate un fumetto che vuole sovvertire la società, svelare le sue
contraddizioni? Cercate altrove.
TG è il delirio di adolescenti (maschi) che si sbevazzano qualcosa e
danno sfogo alle loro fantasie. Tette e sesso senza problemi (maschi etero, in
fondo), ma anche stivaloni, birra, canne e secrezioni da Silos di EELST
Perché in realtà si sogna la donna che sia femmina quando serve (GH!
Donne non uccidetemi per questa durezza!) ma che è meglio che sia un compagnone
quanto più possibile simile a noi maschietti nel tempo tra una sco#ata e
l’altra.
Non c’è approfondimento, non c’è vera critica in TG. Non c’è
programmazione. O meglio: c’è la programmazione di una serata tra vitelloni, in
cui si decide il numero di birre da portarsi dietro, poi il resto si
improvvisa.
Lo dice lo stesso Martin.
I capelli? “Ripensandoci, un sacco di persone aveva quel taglio a metà
e alla fine degli anni Ottanta”
L’Australia? “Jamie ha sempre sostenuto di aver scelto l’entroterra
come ambientazione […] perché era completamente piatto e senza edifici, quindi
facile da disegnare. Credo c’entri qualcosa anche Paul Hogan e il primo film di
Crocodile Dundee, di cui eravamo
grandi fan. E, ovviamente, Mad Max. In ogni caso era abbastanza lontano da
Worthing da sembrarci un altro pianeta – un’ambientazione perfetta per
immaginarci la vita fuori di testa della nostra ragazza”
Riferimenti alla cultura popolare? “Essendo animali che si ingozzavano
con ossessione di cultura pop era naturale che ne trasponessimo un po’ nei
nostri lavori”
I canguri? “[…] i canguri sono fichi.”
Improvvisazione programmata. Anzi: improvvisazione senza
programmazione.
Questo è il pubblico di TG: quello che si può identificare in fantasie
di adolescenti con la stanza in disordine perché è fico così. Che bevono e si
sballano perché trovano che sballarsi è bello. Che dicono di essere ribelli
perché fa fico dire di essere ribelli. Gruppi di universitari dediti ai Toga
Party. Punk nel senso dei capelli e dell’estetica.
Insomma: figli di quegli anni ’80 che hanno superficializzato la carica
eversiva dei seventies, che hanno ripreso l’immagine trasgressiva, togliendo
qualsiasi senso trasgressivo all’immagine stesso, contenitore senza contenuto.
Martin si può lamentare che gli anni ’80
“Reagan e la Tatcher stavano rendendo impossibile la vita alle persone”
Ma mentre un Alan Moore (che noioso, sempre zio Alan!) reagiva con un
V for Vendetta (gli anni sono quelli,
baby), TG preparava la strada che avrebbe condotto ad atti artistici
profondamente ribelli quali il twerking di questi anni.
Sarò esagerato, forse.
Ma sono disponibile a ricredermi se trovate un passo di TG che dia un
minimo di riflessione.
E no, non tiratemi fuori la straziante letterina che TG indirizza alla
mamma condite da
“Ti ricordi quando ero piccola e mi portasti da quella chiromante, quella che ci disse che il mio nome significava “Colei che infrange le regole” e che un giorno io avrei infranto tutte le leggi e le convenzioni della vita? Be’, mamma, era vero e sta accadendo proprio ora! Ma non è che sto infrangendo le regole tanto per fare. E’ come se ci fosse una ragione per tutto quello che faccio, E’ come se ci fosse una qualche forza che si sta impadronendo della mia vita, ma la cosa non mi spaventa affatto. E’ che in giro così tanti idioti e così tante stupide leggi. Cazzo. […] La gente di tutto il mondo vive una vita che è una grande balla. E le loro esistenze ruotano tutte attorno a un sistema che è una cagata totale.” (sottolineature degli autori)
Non tiratelo fuori, perché la letterina è inserita in una sezione
intitolata “Le assurde stronzate che ci riserva il caso”, e finisce con “una
scorreggia disegnata” (sic!).
Insomma: nulla più della dichiarazione del tredicenne che dice ai
genitori che loro non capiscono che sta facendo qualcosa di “importante”, e se
non la colgono, beh, è colpa loro.
E poi si fa un’altra birra.
Insistete?
Mi rimembrate la T-shirt fatta per la Clause 28 March, contro l’omonima legge antiomosessualità della
Tatcher?
Ok, sentiamo la voce del creatore, dichiarato Hewlett
“Quando mi è arrivata la proposta di trasformare Tank Girl in un film, ormai il corso della sua esistenza sembrava chiuso. Io e Alan avevamo deciso di farla fuori, facendola investire da un camioncino del latte, mentre era a comprare le sigarette, visto che ormai il nostro unico interesse verso Tank Girl era nel vedere quanti “fuck” riuscivamo a infilare in ogni storia.”
Frase che trasuda l’impegno civile profuso nel fumetto, giusto?
Eppure, questo non è necessariamente un peccato originale che condanna
TG all’Inferno del fumetto inutile. E’ solo lo specchio di un prodotto fatto
per un certo tipo di pubblico.
Perché il lettore di TG in realtà non vuole riflettere. Perché i suoi
autori non volevano fare un’opera di riflessione (e scusate per le ripetizioni).
Per carità, operazione assolutamente lecita. E condotta sulla scia del
“diamoci ancora più dentro” quando arrivarono i primi riscontri:
“Nel giro di pochi mesi tutti parlavano di Tank Girl. Più le storie si facevano acide e il personaggio diventava crudele, più piaceva” (J. Hewlett)
Già. Il successo.
I “tutti”, sono ovviamente da intendere “tutti quelli con cui ci
sarebbe piaciuto uscire una sera a divertirci”: la nicchia che davvero contava
per gli autori, sembra di capire.
Ma ogni nicchia ben definita è una nicchia fedele, e TG si preparava a
diventare un fenomeno, forse non così esteso come ce la spacciano i nostri due
anglofoni H&M, anticipatori di un certo modo di vivere il fandom all’epoca
di Facebook (“tutti quelli che sono i miei contatti su FB la pensano così,
quindi tutti nel mondo la pensano così”).
E se un po’ di disimpegnato divertimento è diventato comunque un cult
per “tutti” (nel senso detto sopra), la ragione fondamentale si trova nella nostra
eroina.
La ragazza (non solo) con la pistola, ma con un grosso carro armato. E
nessuna remora a usarlo.
Palla al Doc, e poi di nuovo qui.
Portate la birra, mi raccomando!
NB: come sempre immagini, video, canguri e anarchia non mi appartengono ma sono presi dalla rete, e qui appaiono a supporto dell'analisi (beh, vabbè, di cosa c'è scritto). Questo blog non ha fini di lucro.
Quanto mi sdilinque questa disamina!
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