ORFANI #1 – Solo
qualche riflessione
Tra pochi giorni esce il numero
due di Orfani, la serie di Roberto
Recchioni, Emiliano Mammucari e Franco Busatta. Atteso, (talvolta) odiato a
prescindere e (spesso) altrettanto a prescindere celebrato, Orfani è stato
sicuramente un evento, ma i suoi effetti si potranno valutare solo sul
medio-lungo periodo.
Per ora qui riporto alcune mie notazioni
sparse, e la “revisione” di un mio intervento a commento di una recensione
apparsa QUI ... prima che l’uscita del numero due mi
“costringa” ad ampliare il discorso.
Innanzitutto qualche spunto sul
linguaggio del fumetto, che sembra essere giustamente una delle principali attenzioni di
Roberto Recchioni.
In Orfani #1 non troviamo in nessun modo quello specifico bonelliano d’antan che vedeva la didascalia regnare
sovrana nei cambi scena [1]: le didascalie sono
a. assenti;
b. limitate a una voce fuori
campo di sapore apocalittico, simile a quanto visto ad esempio in Kingdom Come;
c. presentate come voce corale,
alla 300 di Miller. O, se il paragone
non è azzardato, a un narratore fuori campo al cinema. Resta solo da stabilire
se la voce appartenga a uno dei protagonisti o a un narratore
collettivo\oggettivo [2].
Il percorso iniziato su Ken Parker da Berardi e Milazzo anni fa,
sembra quindi compiuto, benché perfino in casa Bonelli non si possa di certo
considerare una novità [3] .
Più interessante sembra la
struttura perfettamente bipartita dell’albo.
Invece che un montaggio
incrociato, la sceneggiatura ha preferito una separazione netta tra il
tempo-addestramento e il tempo-combattimento [4], creando così una soluzione
originale per la gestione dei flash back.
Il registro linguistico usato
dai personaggi non mi è parso una novità così dirompente.
Volendo ridurre all’osso, la novità
è costituita due parolacce o dare del “lei” invece che del “voi” come nel
dialogo postcoitale tra Colonnello e Dottoressa. Se l’asciutta essenzialità
sembra l’obiettivo finale (meno parole, più peso alle immagini), c’è da
lavorare ancora. Il modo di parlare degli Orfani-ragazzi sembra, come già
notato da altri, particolarmente artificioso.
Diciamo che è un inizio, ma non
è certo questa la rivoluzione che sembrava di poter intuire dalla campagna
promozionale.
La lettura del primo numero mi
ha suscitato poi alcuni dubbi sull’efficacia del prodotto finale, soprattutto
in rapporto alle attese suscitate dalla detta campagna di marketing.
Innanzitutto la novità del
materiale.
Non discuto sull’originalità:
il mondo che conosciamo è fatto da meno di 100 elementi chimici, e si dice che tutte
le storie nascano da 36 situazioni che si ripetono[5]. La vera abilità è
quella di miscelare i diversi elementi, nella genesi di qualcosa di
interessante: discutere se la storia abbia degli stilemi già visti è abbastanza
ingiusto.
In questa polemica “originalità
sì \ originalità no”, la sottocategoria “citazione sì \ citazione no” mi turba
ancora meno: trovo la disquisizione su quanto sia vera citazione e quanto in
realtà sia Zeitgeist e atmosfera comune,
sterile e condizionata dalle preferenze di ciascun lettore. QUI e
QUI Roberto Recchioni ha dichiarato la sua
posizione: il resto sta nel gusto del lettore di accettare quanto detto
dall’autore, condividerlo o respingerlo. [6]
La vera gran quistione è capire se,
una volta individuato il target del destinatario, il menu cucinato per lui si è
rivelato adatto e saporito.
Ogni serie, ogni albo, nasce
con un pubblico ideale cui l’opera si rivolge.
Il problema, come per ogni
prodotto, è identificare il target giusto. Vista la portata mediatica
dell’operazione si poteva pensare che gli obiettivi, oltre alla mera
sopravvivenza\rientro dell’investimento, fossero più ambiziosi, ovvero:
1. coinvolgere in una nuova
serie i lettori che nel tempo hanno abbandonato per ragioni di disamore i
titoli della Bonelli; come ricaduta più ampia, suggerire ad essi la
trasformazione in atto della casa editrice milanese e convincerli a dare una
nuova possibilità alle serie “classiche”, ovvero invertire quel fenomeno di
emorragia di lettori che sembra colpire la Bonelli da anni.
2. attirare lettori che sono al
di fuori del tradizionale bacino Bonelli o addirittura al di fuori del pubblico
che legge fumetti, con la speranza che si affezionino non solo a Orfani, ma possano
provare curiosità anche verso altri titoli [7].
E non fa male se nel frattempo,
ci si fa leggere volentieri anche da…
3. i lettori-zoccolo duro della
Bonelli, che sono quelli che “reggono la baracca” da anni.
Si tratta di tre pubblici molto
diversi tra loro, quindi il rischio di dare un colpo al cerchio e uno alla
botte, e contemporaneamente scontentare tutti quanti è alto.
Come individuare il target
giusto, quindi?
Talvolta gli autori usano la
formula “questo è il fumetto che avrei voluto leggere io se fossi un lettore”:
il target è dunque costituito da chi ha i gusti simili allo scrittore [8]. Target
abbastanza chiaro… oppure no.
In realtà questo significa che
il pubblico di riferimento nasce da una semplice operazione:
numero di persone che hanno i
gusti dell’autore in base a ciò che vorrebbero leggere meno (quelli che non
leggerebbero in nessun caso\ non leggeranno comunque fumetti + quelli che non
leggerebbero mai\non leggeranno comunque fumetti Bonelli)
I tre elementi sono abbastanza
chiari, ma non so in che misura quantificabili con precisione.
Scendendo nel caso del RRobe
(la generalizzazione è evidente): non tutti gli amanti di Tony Scott, dei
Videogames, del porno di un certo tipo, del kendo hanno voglia di leggere un
fumetto. Anche se corrispondesse esattamente agli argomenti delle loro
passioni. Semplicemente perché il medium
fumetto non è la stessa cosa rispetto alla passione di partenza.
Fermo restando che Orfani, per
ora, non è un porno di un certo tipo :-)
Si dirà che questo è un
discorso troppo generico per avere una sua validità; anzi, che è banale nella
sua ovvietà. Ok, ma visto che il pubblico-target numero 2. sembra quello più
appetitoso per l’operazione, non mi pare così irrilevante.
Le scelte narrative di
Recchioni su Orfani sembrano molto coerenti con i suoi gusti, così come
emergono dal suo blog: non conosco personalmente Roberto, quindi mi fido del
fatto che il suo personaggio pubblico corrisponda in gran parte all’uomo che
c’è a riflettori spenti. Ma i riferimenti a Cameron, a Halo, ai Wildcats, a
X-men di Claremontiana memoria… quanto sono attuali e interessanti per un
pubblico nuovo?
Tranne i videogames, i titoli citati
sono un riferimento per me, nato nel 1971. Non vorrei essere eccessivamente pessimista:
ma quanto lo sono per un lettore più giovane o, per lo meno, per un lettore più
giovane che non sia di nicchia?
Credo che Orfani, per lo meno
al numero uno, riesca meglio come operazione di recupero dei Bonelliani delusi,
più che attrazione per nuovi lettori che non hanno mai sfogliato un Bonelli.
Lo è perché non vedo un legame
stretto tra videogames\cinema\quant’altro e fumetto, se non l’identità di trame
e ambiente. Se gioco a uno sparatutto, come posso trovare la stessa adrenalina
nella lettura di un fumetto? Se mi voglio immergere in un cinema spettacolare
che mi trascini senza respiro, come posso sperare di ritrovare la stessa
emozione nel cartaceo?
Il fumetto ha altro fascino, ha
altra presa perché altro è il linguaggio del medium.
Inoltre, riprendendo ciò che ho
scritto altrove, oltre ai problemi di fondo dell’intera operazione c’è quello
specifico del numero 1.
Quale è il compito del numero
1, che è un compito più gravoso di un numero 2?[9]
Banalmente un numero 1 di una
serie deve essere valido per sé stesso, ma soprattutto deve trainare la serie.
La domanda dunque è: Orfani 1 ci riesce? Secondo me no.
Che sia il numero 1 di un
fumetto o di un telefilm (vista l'impostazione per stagioni ribadita dall’autore,
credo che il paragone sia d'obbligo) deve attirare il fruitore presentando
a) un eroe talmente
caratterizzato da essere una sicurezza (o al contrario una novità), comunque un
catalizzatore. Per esigenze di spazio e di scelta narrativa, gli Orfani non sono così caratterizzati:
paradossalmente emergono il soldato e la dottoressa, che sono dei comprimari.
Ben fatti, che metteranno pepe alla vicenda, ma comprimari. Nei suoi limiti, anche
il classicissimo Saguaro#1 aveva
svolto degnamente questa funzione: è un uomo con un passato da scoprire. Poi
può non piacere, e non si compra, ma non c’è dubbio che metta delle promesse di
serie molto chiare.
Orfani non è la storia di
guerrieri dal passato sconosciuto da scoprire: mancano delle tessere, ma
potremmo accontentarci di quello che abbiamo nel numero 1.
Oppure
b) una situazione che
"acchiappa". Insomma: una guerra contro gli alieni che distrugge
mezzo mondo non è più la novità che può svolgere questo ruolo. Potrebbe farlo
una guerra "strana", dall'andamento imprevedibile. Space Cruiser Yamato lo faceva, con la
corsa contro il tempo. Qui non c'è. Non c'è il mistero, non c'è neppure il
"e ora come va a finire?". Come detto sopra, volendo, la storia si
può chiudere col numero 1: c’erano dei bambini sopravvissuti a una strage, ora
i bambini sono divenuti guerrieri. Fine.
Oppure
c) un linguaggio fumettistico inaspettato,
nel disegno o nei dialoghi. Qui il discorso è più problematico, e sembra che
siano stati presentati come il nucleo dell'operazione proprio perché gli altri
due punti non sono così forti (per lo meno nel primo numero).
Ho già detto che in questa sede
il discorso del citazionismo, del già visto, del marketing etc. interessa tanto
quanto (per lo meno non interessa me). A mio parere è ben più rilevante
guardare a ciò che viene presentato come elemento innovativo della serie.
a. IL COLORE. Innanzitutto non credo
che sia davvero un traino per l'acquisto di una nuova serie il fatto che sia la
prima serie Bonelli a colori: il colore è una novità per Bonelli (anzi: per una
serie mensile Bonelli), ma non è una novità assoluta. Semplificando: ottimo il
lavoro sul colore, ma siamo sicuri che chi non leggeva Bonelli lo facesse
**solo** perché i suoi albi erano in B\N?
Mi spiego: se si vogliono attirare
lettori nuovi, il colore è qualcosa che si aspetta chiunque legga USA, chiunque
guardi un film d'azione. Un po' come dire, seguendo una vecchia pubblicità:
"il nostro caffè è tostato!". Ok, ma anche gli altri lo sono: il
fatto che nessun altro lo dica ormai non è davvero quel di più.
Si risponderà: no, guarda,
forse qualcuno non leggeva Bonelli **anche** perché era in B\N. Ok, ci sta di
più, ma sposta altrove l’attenzione su ciò che è interessante per nuovi lettori.
Insomma: il colore come condizione necessaria, ma non sufficiente per
l’acquisto.
b. IL DISEGNO. Puntiamo sul
disegno? Vogliamo attirare con disegni stratosferici e nuovi? I disegnatori dichiaratamente
(e non potrebbe essere diversamente) cambiano quasi ogni mese per esigenze di
pubblicazione. Non stiamo parlando una serie francese con cadenza annuale, e
quindi una uniformità è impensabile sopra un certo livello. Oltre che sarebbe
svilente per gli stessi disegnatori. Quindi un gradimento grafico deve essere
conquistato numero per numero… e non può per questa ragione essere un punto
decisivo.
Per quanto attiene ai nuovi
lettori non va trascurato un altro aspetto: i Mangafan non amano la griglia
Bonelli (né, in molti, quel tipo di disegni), anche se stemperata; i
Coconiniani hanno altri parametri. I fan dei videogames e ancor di più quelli
dei film hanno modelli visivi ben diversi. Insomma: la forza grafica della
serie non può essere il traino principale, specie se si vuole fare una “campagna
acquisti”.
C. I DIALOGHI. Innovazioni nei
dialoghi? Come detto sopra il linguaggio di Orfani è ***solo in parte***
diverso da quello bonelliano, ma non è un'esplosione di gag o di dialoghi cool così ben scritti da essere la vera
ragione per acquistare anche i numeri successivi.
Per chiarirci, non dico che i
dialoghi siano scritti male: semplicemente non sono la ragione che, invece, mi
farebbe comprare un nuovo fumetto di Ennis; ma è anche vero che Recchioni vuole
e deve essere sé stesso, non vuole fare Ennis .
In conclusione: i tre aspetti
sono in una fascia medio\alta, ma nessuna di esse è veramente un di più, non
sono così travolgenti da attirare con forza verso il prosieguo dell’acquisto.
Anzi: in alcuni casi sono un rischio.
Mi pare che il tentativo di
innovazione sia stato fatto a metà: dovendo cercare di pescare tra tre tipi di
pubblico diverso, si sono fatti dei compromessi che rischiano di non essere
così decisivi.
Da un lato si esalta il vecchio
lettore Bonelli, magari quello deluso, col colore (ti do' quello che non hai
mai avuto), dandogli la certezza della griglia che presenta variazioni nel
solco della tradizione.
Però poi lo si spiazza con
qualcosa che non è Bonelli puro: ad esempio l'albo si legge troppo velocemente
per un pubblico Bonelli, credo. Non ci sono gli "spiegoni". Non si
da' al pubblico la sicurezza del conosciuto. Si dirà: lo scopo era innovare
nella tradizione. Ok, ma è una cosa delicata. Secondo me c'è **troppo** per un
lettore Bonelli e (vedi sopra) **troppo poco** per un non Bonelli.
Quello che secondo me serviva
anche a questo numero 1 era un gancio forte che trainasse il lettore, vecchio o
nuovo che sia.
Un gancio che può nascere da un
personaggio forte (Dexter), da una situazione che acchiappa per le possibilità
della sua evoluzione (Breaking Bad, Lost), da una innovazione nel linguaggio
del medium (How I Met Your Mother). O da una combinazione di questi elementi
(Misfits stagione 1). Gli esempi televisivi ci sono per le ragioni dette sopra.
In Orfani #1 questi ganci
mancano. E non perché le cose siano viste o non viste.
Il vero problema è che Orfani 1
mette poche domande, non crea attese se non di bassa intensità (ancora una
volta: a leggere molti commenti, è un mio problema, altri sono in fremente
attesa dello sviluppo).
Anzi: salvo alcuni lanci
necessari per non rispiegarli dopo e che generano ovviamente attese piuttosto
deboli [10], non ci sono domande davvero forti per cui sia necessario
continuare a leggere la serie alla spasmodica attesa delle risposte.
Gli alieni ci hanno attaccato?
Va bene, sono cattivi. O sono invasori che hanno il pianeta in crisi. O sono un
loop temporale. O vogliono conquistare il mondo. Tre quarti delle serie
d'azione si basano su questo, sono tutte belle ipotesi, ma non necessarie.
I bambini diventano guerrieri?
Ok, ma sono coerenti con i presupposti. Mi posso chiedere: "Se prima erano
7 perché ora sono solo 5?" (= "chi muore?"), ma la
caratterizzazione, per esigenze narrative è talmente basica che questa domanda
(e quella collegata: "A chi corrispondono i guerrieri?") è quasi
superflua. Non ci si può affezionare ai personaggi per quanto visto nel numero
1, perché c'è troppo poco. Non possiamo quindi trovare l'impulso della
"paura della tecnica Martin", ovvero "ma non è che quello **##
di Rrobe mi ammazza proprio il personaggio che preferisco?????".
Ciò vale almeno per il primo
numero. Si deve dare per scontato che nei numeri successivi le cose
cambieranno, con pagine e dialoghi che si accumulano. Appunto: bisogna far
arrivare il lettore al punto in cui si affeziona.
Altre domande come: "ma
perché hanno aspettato 20'anni per la controffensiva etc etc etc", come già
detto mi appaiono irrilevanti. Possono essere curiosità, ma non accendono (in
me) la brama di sapere. Ce lo diranno poi, ma potrebbero anche non dircelo.
Semplicemente è andata così.
Io sono un lettore di Martin
Mystère, il regno dello "spiegone", ma non sento il bisogno che tutto
sia chiaro in questo primo numero degli Orfani: le cose succedono, non c'era
tempo per raccontarlo e basta. Che ha fatto Obi Wan Kenobi tra il l’ultimo
duello contro Anakin e l’apparizione di Luke? Boh, cose. Se servisse, ce le
avrebbero dette. Magari erano fighe, ma non servivano alla storia, quindi non
ci sono.
Devo essere sincero: per me il
numero 1 di Orfani è sostanzialmente una storia autoconclusiva.
Fatta bene o male non importa,
in realtà. E' una storia che può anche rimanere chiusa. Tutte le domande sono un
di più, gradevole, ma non necessario.
E questa è la sua debolezza
intrinseca, perché costringe il lettore a dirsi: fumetto non male, come da
tradizione Bonelli, ma devo fidarmi degli autori (se mi voglio fidare) per
aspettare quando sarà davvero fighissimo (se lo sarà). A fare un atto di fede.
E visto che vuole essere innovativo, cambiare le regole… avrebbe dovuto
probabilmente farlo in modo più chiaro da subito.
[1] vedi QUI le mie riflessioni
sull’uso della Didascalia in generale e QUI l’indice della disamina delle
didascalie in Watchmen di Alan Moore.
[2] alcuni hanno commentato che
la scena dell’orso è tratta da 300: come ha prontamente specificato l’autore,
si tratta di un omaggio alla run Demone Orso dei Nuovi Mutanti di Chris
Claremont e Bill Sienkiewicz. La didascalia da “voce collettiva” mentre i
futuri orfani marciano, sembra invece un riferimento diretto a Miller (o a
eventuali suoi modelli che non sono in grado di individuare). Nell’opera
milleriana la voce “collettiva”, come ci dimostrano le didascalie alle ultime
due doppie tavole, NON è quella di Delios.
[3] Caravan, Saguaro,
Greystorm, Shanghai Devil solo per citare alcune delle serie\miniserie recenti della
Sergio Bonelli Editore lo facevano pienamente, ma già in Dylan Dog #1 la
didascalia esplicativa “texiana” era pressoché abolita.
[4] qua e là in rete si
disquisiva su “ma cosa hanno fatto gli alieni nei dieci\vent’anni tra un
momento e l’altro”. Per quanto ne sappiamo, potrebbero non essere passati che
pochi mesi tra le due parti dell’albo: se la Terra ha sviluppato una tecnologia
che permette il volo iperspaziale, perché non ci potrebbe essercene una simile
che acceleri la crescita?
[5] le curiose 36 situazioni
narrative di Polti, per cui rimando a questo link. Nota: come puro gioco possiamo dire che Orfani potrebbe rientrare nella situazione 3 (La
vendetta che perseguita il crimine), nella
6 (Disastro), nella 9 (Audace impresa), forse nella 20 (Sacrificarsi per
un ideale); sarà curioso vedere se la lotta contro gli alieni potrebbe
configurarsi come una situazione 31 (Lotta contro un dio). O, più semplicemente
e sulla scia di Queneau, se tutte le storie sono una rimasticatura dell’Iliade
(il conflitto) o dell’Odissea (il viaggio), Orfani pesca da entrambe.
[6] QUESTO mio post sullo
Zeitgeist dovrebbe chiarire la mia opinione in merito.
[7] non deve creare stupore il
fatto che nella terza di copertina di Orfani non vi sia la pubblicità di Tex (vera
colonna portante della Bonelli) o di Nathan Never (il più vicino a Orfani per
genere), ma di Dragonero, altro prodotto Bonelli presentato come novità
rispetto alla tradizione di via Buonarroti.
[8]ricordo che da qualche
parte, chissà dove e chissà se davvero, RRobe diceva che l'età media degli autori
Bonelli è alta, e quindi fare il discorso “scrivo ciò che vorrei leggere” non
vale a trovare nuovi lettori. Ma non sono riuscito a ritrovarlo nel mare magnum del web, quindi potrei fare
confusione su autore e frase, e se sbagliassi me ne scuso preventivamente.
[9] nella mia esperienza
personale se l’1 è efficace, un 2 mediocre o non a livello può essere accettabile;
la crisi comincia col 3; un numero 1 meno che efficace e interessante produce
un abbandono quasi immediato. Non sono un campione attendibile, ovviamente, se
non per quanto riguarda me stesso J
[10] il vaccino per
sopravvivere sul pianeta è discutibile come impostazione (l’iniezione), ma è
una trovata narrativa che genererà quasi sicuramente una sequenza - vedi lo
stesso ruolo nel recente After Earth.
Gran bella analisi, in parte già se ne parlò a quattrocchi ma qui molto più articolato e circostanziato...Ti confermo che a me non è dispiaciuto e sono piuttosto d'accordo con tenel considerarlo quasi come un numero a se stante...vediamo come prosegue , magari ci ribalta la situazione ...
RispondiEliminaAttendiamo il due.
RispondiEliminaCome detto in nota [9], se il due non mi convince, non ci sarà l'acquisto del 3...
Eug
Sarà l'attualità ma mi pare un saccheggione di base pure ad Ender's Game...traino o ispirazione dal libro originario capisaldo di genere?
RispondiEliminaUpdate: questo è spassosissimo
Eliminahttp://byroneloisa.blogspot.it/2013/10/lindagatore-dellinternet.html
:-)
EliminaL'importante è che se ne parli, come avrebbe detto qualcuno!
da avere!
RispondiElimina