JH ci tiene ad apparire sempre come una persona seria |
Lo
stile del fumetto è fortemente influenzato dall'arte visiva punk
e le
strisce sono spesso profondamente disorganizzate, anarchiche, assurde e
psichedeliche.
La
produzione del fumetto fonde vari elementi con richiami alle tecniche
surrealiste,
fanzine,
collage, tecnica di cut-up, flusso di coscienza, e metafiction,
con
poco riguardo o interesse per la trama convenzionale
o la
narrativa impegnata.
Parola
di Wikipedia
JH E METAFUMETTO
OVVERO: PERCHE’ TG VALE LA PENA
Una tipica tavola di Hewlett |
Se siete rimasti ammaliati dalle immagini del film, beh, quelle del
fumetto sono migliori.
Perché la vera ragione di leggere TG, se non siete dediti allo sballo più
intenso, sono i disegni di Jamie Hewlett.
Curatissimi, folli quando serve, con volti espressivi all’eccesso ma non
caricaturali, con una composizione della tavola variata e dinamica.
Il tratto del nostro sembra trovare il suo meglio nel bianco e nero delle
prime storie più che nel colore: questo gli consente di inserire dettagli
accurati anche nelle microvignette che talvolta costellano le tavole, e insieme
di caratterizzare ampi spazi, degni dell’outback. Insomma: se “vuota” Australia
fu scelta, questo non nasce da pigrizia di disegno, come maliziosamente
insinuato da Alan “Caino” Martin! [1]
Lo stile personalissimo, fatto di sapiente alternanza di realismo e
deformazione, capacità di rendere le scene di delirio “lento” così come quelle
d’azione frenetiche, nasce da influenze diverse che vanno dall’animazione per
la televisione (Hanna &Barbera, Chuck Jones, Tex Avery) ad autori inglesi
quali Ronald Searle o Mike McMahon (Judge Dreed, Slàine, solo per citare alcune sue opere), ma anche
Moebius, Tony Hart e Liberatore, fino a MAD Comics.
Le tavole di Hewlett, insomma, sono gioie per gli occhi, e rendono
efficacemente quel disimpegno che sta alla base della serie.
Si vedano ad
esempio i nudi di TG, parziali o totali (ma mai full frontal), che costellano
gli episodi: l’esibizione del corpo non è volgare, ma nello stesso tempo ha ben
poco del sensuale che ci potremmo aspettare dalla nudità femminile in altre
serie. Il nudo è esibito perché fa parte della libertà del personaggio, così
come il sesso, più accennato che esplicitato: non c’è torbido che tenga, non
c’è passione travolgente, non c’è malizia. I disegni sembrano dirci che se ci
fosse una valenza anche contestatrice del nudo, questo appesantirebbe.
Le Femen guardino da un’altra parte, non a TG, seppure la nostra tipa
tosta sfoggi capezzoli in fuori quasi in ogni storia.
Se le grazie femminili sono “innocentemente” mostrate, il pene maschile è
spesso enorme, gigantesco, inteso in erezioni sproporzionate, anche se
pudicamente (censura docet) coperto.
Anche questo contribuisce all’atmosfera ca##eggiona: è come una gara continua a
mostrare chi ce l’ha più lungo, il tutto non per giungere a un primaverile
cozzo di corna d’alci in calore, ma solo per il gioco di burlarsi dei
compagnetti meno dotati.
E questo livello di burla arriva a toccare l’aspetto linguisticamente per
me più interessante di TG (no, non è la lingua della nostra carra(r)mata
intrecciata a quella di Booga né le parolacce): ovvero il metafumetto.
Fin dal primo episodio TG è consapevole di essere un fumetto: parla con i
lettori!
Se nelle didascalie sono gli autori a rivolgersi direttamente al loro
pubblico, alla conclusione è TG a esporre la sua morale della storia (folle e
sconclusionata, ovviamente) parlando con chi ha in mano le pagine della sua storia.
E di lì non si fermerà più. A puro titolo di esempio possiamo ricordare
come nel secondo numero la sua consapevolezza culmini con un
“Questo sì che è un cambio di pagina!”
e nel terzo anticipi lo spunto di trama:
“[…] e ora nel terzo ho alle calcagna uno dei cacciatori di taglie più bastardi d’Australia!”
Insomma: un personaggio del fumetto che ammazza a destra e a manca, beve,
rutta e sa di essere un fumetto… perché, pensavate davvero che Deadpool avesse
inventato qualcosa?
E ora, andate dai Cinematografari per il loro rush finale, e poi tornate qui per il MIO (Ian) rush finale. Vi aspettiamo (nientemeno che) col post punk per
eccellenza di casa nostra: Raffaele Riefoli, in arte Raf!
[1] L'abbiamo citato nella seconda parte della nostra analisi e qui lo ricitiamo:
“Jamie ha sempre sostenuto di aver scelto l’entroterra come ambientazione […] perché era completamente piatto e senza edifici, quindi facile da disegnare. Credo c’entri qualcosa anche Paul Hogan e il primo film di Crocodile Dundee, di cui eravamo grandi fan. E, ovviamente, Mad Max. In ogni caso era abbastanza lontano da Worthing da sembrarci un altro pianeta – un’ambientazione perfetta per immaginarci la vita fuori di testa della nostra ragazza”.
Parola di Alan Martin.
NB: come al solito immaginitesticanzoniecc non sono miei ma sono tratti dal web a corredo di questo articolo di analisi (o, insomma, di cosa sia diventato nel tempo). Cmq invito i Canguri Mutanti a non farmi causa perché questo blog non ha fini di lucro.
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