domenica 28 luglio 2013

La recensione che non ti aspetti! - Sprawloqui 4


SPRAWL – 
I DISEGNI

Essendo l'autore (non me ne voglia) fondamentalmente un disegnatore e meno uno scrittore, i disegni sono il punto di forza del fumetto.
E qui, credo che nessuno possa ridire.

L'autore ha raggiunto col tempo una sintesi originale (benché  basata su stilemi manga) di cui, per le ragioni sopra esposte, ancor più spiace non poter mostrare esempi.
Dal videogame Maupiti Island, uno dei modelli per Sprawl
Ancora dal videogame
Maupiti Island
Uno stile che alterna tratti rapidi a minuziose descrizioni, splash pages a vignette fitte. Sembra che l'intento dell'autore, nell'ambito dei fini di intrattenimento, sia quella di regalare grandi immagini da cinemascope, sacrificando all'essenziale i momenti di dialogo, necessari ma meno spettacolari. La lezione di Shirow, di Otomo (ah, i grattacieli che crollano!), di Urasawa e degli altri maestri giapponesi sembra in gran parte assimilata.
Masticata, digerita e fatta propria, divenuta personale e originale in buona misura.



Per problemi di diffida non possiamo mettere
l'immagine originale. Ecco un suggerimento
sul palazzo che esplode
Le uniche obiezioni che sembra poter fare al disegno riguardano alcuni aspetti interni alla storia ed alcune scelte.
La storia finora non ha grandi momenti d'azione. Ne consegue che l'autore si è trovato senza alcuni momenti-clou che pure fanno parte dei suoi trascorsi: inseguimenti, combattimenti, azioni violente... se escludiamo l'esplosione di un palazzo, non c'è nulla di così spettacolare e movimentato.

Così il disegno si è dedicato a grandi panoramiche, sia di interni che di paesaggi, con risultati apprezzabili: per lo più le “grandi immagini” corrispondono a momenti funzionali sia dal punto di vista emotivo, sia di transizione che di ambientazione.
E' pur vero che in alcune circostanze la “voglia calligrafica” di una bella immagine ha prevalso sulla funzionalità della stessa. Se prendiamo ad esempio la tavola a pagina 18 – tavola 14, abbiamo una splash-page del pilota di un trasporto (qui un suggerimento di ciò che c'è). Bella immagine di interno ma, ci si passi il termine, gratuita.

Perché dedicare tanto spazio a quello che è un momento di passaggio, una semplice variazione di spazio per proseguire un parlato, qualcosa che appare in una tavola e poi sparisce nel nulla? Ci si
Più o meno il pilota del Bumblebee si presenta così
risponderà che proprio l'esigenza di continuare un lungo dialogato necessitava di una interruzione dei balloons e una bella immagine per non far spaventare chi non è fan di Martin Mystère.
Tuttavia (gusto personale) rimango dell'idea che un'immagine grande sia la risposta a un concetto grande, e viceversa che un concetto “grande” abbia bisogno di uno spazio grafico “grande” per essere sottolineato. Se questo secondo aspetto viene costantemente rispettato, il primo trova questa eccezione.


Il disegnatore di certo conosce i suoi punti di forza e quelli di debolezza. Un esempio si può trovare, ad esempio, nell'uso dei primi piani.
Le difficoltà tecniche di resa dei primi piani
L'autore usa poco i primi piani, privilegiando i mezzibusti o i primissimi piani con taglio del volto. I mezzibusti contestualizzano ancora il personaggio nella sua azione, i tagli sono funzionali al dinamismo e alla spettacolarizzazione dell'immagine.
Ma il “sacrificio” del primo piano limita l'espressività. Guardiamo ad esempio la sequenza iniziale di Path (pagina 5 –  tavola 1 e seguenti): la sequenza delle vignette è campo lungo sulla città, dettaglio, dettaglio in zoom out, primo piano, piano americano. 
Ovvero: dove siamo; attesa del personaggio x 2 (e già diciamo cosa fa); chi è il protagonista; cosa sta facendo.
La presentazione di Path è limitata a ciò che fa, e a una vignetta (piccola) posta al termine di una sequenza di tre collocate nel registro centrale. Aggiungiamo che sul primo piano si accumulano anche linee cinetiche e sovrapposizioni da ologramma e il gioco è  fatto: non importa l'espressione del personaggio, conta il suo essere in azione.
Mi direte che anche nei film d'azione la regola è questa, ma non dimentichiamo che un Bruce Willis o anche un inespressivo Schwarzenegger giocano sullo sguardo specie quando lanciano la loro killer catch phrase. Che però, lo ribadiamo, qui non c'è.
Bruce sa anche parlare
Sembra che, salve le debite eccezioni, il primo piano sia messo più per variazione delle inquadrature che per sottolineare un'espressione del viso: in ciò la sequenza di dialogo tra Jota e Zimmer sembra esemplificativa. L'unica eccezione è data dalla penultima tavola, in cui un bel primo piano\mezzobusto di Baron riempie una splash-page: l'efficacia della sua espressione sta nel gusto del lettore.

Ciuffi celebri e modelli
E' pur vero che le espressioni facciali (e i lineamenti) sembrano un aspetto di interesse “minore” per l'autore, che limita le prime e non si preoccupa di differenziare le seconde. Sembra che tutto debba essere sacrificato a quel dinamismo della narrazione ricercato, che pure si perde nei momenti di dialogo.[10]
La limitazione dei lineamenti, la “velocità” porta alla creazione di fisionomie fin troppo simili, che vengono spesso risolte attraverso “l'aggiunta” di particolari (baffi, caschi, visori, pettinature cangianti da tavola a tavola come il “ciuffo mobile”  di Zimmer, etc.) che garantiscono l'immediato riconoscimento del personaggio da media distanza.



In sintesi: i disegni sono il vero punto di forza dell'autore. Dinamici, tendenti alla spettacolarità (spesso raggiunta), funzionali a una narrazione che mira più  all'intrattenimento che all'approfondimento psicologico o filosofico.
Alcune scelte grafiche sono condizionate dal de gustibus: o si adora il tratto del disegnatore, o lo si respinge. Più che in altre prove, però, l'autore ha saputo maturare uno stile meno estremo, più gradevole e leggibile anche per un pubblico medio. E' vero che chi cerca un'avventura classica europea o bonelliana (ma anche di una certa matrice USA) non sarà pienamente convinto.
Ma non si può piacere a tutti, in fondo.


[10] è interessante notare come nei dialoghi, nonostante il periodo-Bonelli dell'autore, i personaggi continuino a non guardarsi l'un l'altro. L'autore stesso mi ha specificato (comunicazione verbale personale) che si trattava di una scelta. Tuttavia non sembra che questa scelta risponda a un valore simbolico così chiaro (ad esempio l'incomunicabilità vel similia)
Difficile guardarsi negli
occhi mentre si parla...
PS: le immagini (e i testi) non sono di mia proprietà, e qui compaiono a corredo di una (bonariamente ironica) recensione. Questo blog non ha fini di lucro!

2 commenti:

  1. Qui,per quanto l'ironia la faccia da padrona,si comincia a sentire la mancanza di un'aggancio visuale immediato alle considerazioni. In piu' questa sorta di censura di immagini sbilancia il tono della critica principale (la spettacolarizzazione a scapito dei contenuti) verso lettura di semplice 'rosicata' dello sceneggiatore escluso dalla produzione. ;)

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  2. Hai ragione.
    Tenterò una (timida) difesa ricordando che questo era, ovviamente, il punto più complesso da fare senza le immagini originali.

    Dai, non rosico... sto rosicando? Oddio, non lo pensavo, davvero.
    Grazie al cielo dopo il "distacco" ho finito (e pubblicato) un piccolo romanzo, quindi direi che alla fine mi è andata bene
    E

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