Prosegue la disanima dei
primi 400 numeri di Tex Gigante visto come prosecuzione di temi e stilemi
propri dell’epica popolare, iniziata QUI, e proseguita nella
sezione “Epica e Pallottole” (QUI, QUI, QUI e QUI), cui è seguita la parte intitolata “La logica del narrare
per il gusto di narrare” (prima parte apparsa QUI, seconda QUI, la terza QUI
e infine quarta QUI)
Con questo post, l'analisi di Tex va per un po' in riposo nella riserva Navajo, ma proseguirà più avanti per delineare gli aspetti più fantastici del Ranger... e per tentare l'ideazione di una "impossibile" conclusione!
5. L’epica in
Tex:
prime ipotesi di conclusione
Nel corso di questi post, abbiamo cercato di mettere in
evidenza alcune caratteristiche che risultano ***comuni*** all’epica (classica,
medievale e rinascimentale, soprattutto nella sua versione destinata a un
pubblico più popolare) e agli albi di Tex, pur tenendo conto che il Tex del
1948 è profondamente diverso da quello del 1980.
Non è qui il caso di valutare se le sopravvivenze
evidenziate siano coscienti o meno negli autori, poiché sarebbe necessario un
lavoro di intervista approfondito (e al giorno d’oggi, purtroppo impossibile
viste le dipartite dei principali protagonisti di quella cavalcata) e, benché
interessantissimo, forse superfluo: non sempre la composizione di un’opera, specie
di quella destinata a un pubblico popolare sotto la pressione di scadenze e di
“gusti e mode” ha alle sue spalle riflessioni accademiche.
Con ciò non si vuol dire affatto che lo zeitgeist (spirito dei tempi) sia stato
“subito” e non rielaborato: dietro l’affermazione spesso ripetuta che i fumetti
Bonelli nascevano da “buoni artigiani” non si nasconde una falsa modestia o la
svalutazione del proprio mestiere. Tutt’altro. Dietro ogni artigiano dei tempi
passati si trovava davvero tutta l’esperienza delle generazioni precedenti, dei
“nani sulle spalle dei giganti” di rinascimentale memoria. Anzi: per
correttezza e gratitudine dobbiamo ammettere che spesso abbiamo avuto dei
giganti sulle spalle di altri giganti.
Gli sceneggiatori e i disegnatori Bonelli sono stati
soprattutto abili e intelligenti lettori o fruitori del materiale precedente.
Come l’artigiano di una volta “andava a bottega” essi hanno saputo distillare
delle regole, degli stilemi e li hanno riversati nei loro albi. G.L. Bonelli sapeva
di essere sulla scia di Omero quando raccontava di terre favolose nascoste
sotto i canyon dell’Arizona? Forse sì, forse no, ma è irrilevante. La
letteratura ***dietro di lui*** rielaborava il viaggio fin dall’Odissea (e anche da prima), la scuderia
Bonelli è stata brava a trovare e a formare autori che sapevano pescare dall’immaginario
collettivo e riproporre “quello che funzionava” (che, al di là di ipocrisie e
schieramenti aprioristici, è la mission
di una casa editrice popolare come la SBE).
Nessuno, credo, ha chiesto a John Ford quante volte avesse
letto l’Iliade e l’Odissea [1], ma l’epica occidentale, e
la sua declinazione nella sfida alla Frontiera sono indubitabilmente i
discendenti dell’epica greca.
Tralasciando quindi le questioni di principio, abbiamo
rilevato come il numero di stilemi narrativi formali e contenutistici descritti [2], sembra presupporre questa continuità tra
l’epica canterina e il fumetto. Il fumetto, come altri linguaggi e generi della
paraletteratura [3] quali il feuilleton, la
telenovela, il fotoromanzo, saccheggia dai generi “alti” in maniera talvolta
inconsapevole e approssimativa, talvolta consapevole e raffinata. Ma in entrambi
i casi questa opera di riferimento ai generi più “ufficiali” porta a una rinuncia
dell’approfondimento psicologico in favore di una dimensione più superficiale
certo, ma proprio per questo molto meno impegnativa: lo scopo è il delectare,
il divertire, non il discere, l’insegnare; non la ricerca dell’arte, ma
dello svago.
Il tutto, lo ripetiamo, deve essere inserito in un
contesto di produzione che non è affatto disinteressato economicamente (o
tendente a vantaggi indiretti quali la fama o il prestigio), ma che anzi fa della
vendita del prodotto realizzato la ragione ultima della produzione stessa.
Non lasci stupiti che, anche in questo, la casa editrice
di Tex segue la linea dei canterini medioevali.
L’epica in Tex è quindi uno stilema, spesso appassionante
e ben noto al vasto pubblico nelle sue linee essenziali, e come tale viene
utilizzato dai produttori: per vendere maggiormente grazie a storie in cui si
può sognare, evadere, senza pensare troppo, con una ricetta che ottiene il favore
del pubblico da oltre sessant’anni perché è una ricetta vecchia quanto la
letteratura popolare [4].
Gian Luigi Bonelli ha creato Tex pescando da un
immaginario di paraletteratura che risaliva al grande romanzo d’appendice del
1800, il feuilleton, mescolato con le influenze dei romanzi salgariani e
del fumetto d’avventura di matrice anglosassone (ma anche italiana) della prima
metà del 1900[5]: la discendenza dall’epica di alcuni dei caratteri citati è
quindi probabilmente indiretta e, ribadiamo, non possiamo sapere quanto voluta.
I suoi successori (e lui stesso, almeno dagli anni ’60 in poi) hanno sfruttato
maggiormente la mitologia del West proposta dal cinema americano, o hanno fatto
proposto una interpretazione del ranger più vicina a modelli polizieschi,
seppur non holmesiani[6].
In questa evoluzione le caratteristiche
epiche di Tex, specie quella capacità di affrontare avventure iperboliche o in
terre fantastiche, sono diminuite a vantaggio di una maggior “verosimiglianza”
delle storie.
Nel contempo anche Tex come personaggio si è
evoluto: ha perso quella inossidabilità, quella immutabilità che lo rendevano totalmente
epico. Non è però diminuita la sua capacità di essere infallibilmente sempre
dalla parte del giusto – dell’essere ***IL*** giusto – a prescindere dalle
singole azioni che svolge.
Proprio l’infallibilità dell’eroe, le
ambientazioni che sporadicamente tornano sul fantastico, la missione di
giustizia (anzi: di Giustizia), l’indubbia superiorità dell’eroe-Tex sul comune
mortale, la sua “monotonia” nell’essere costante nel suo carattere eroico, sono
gli elementi che segnano in fondo la serie del ranger, e che gli derivano dalla
sua tradizione epica.
E quella ripetitività delle storie da cui siamo partiti,
lo ribadiamo, a nostro giudizio deve essere visto non in senso assoluto (tutte
le storie di Tex sono state già scritte, ci si può solo noiosamente ripetere),
ma inserita in quel grande contesto di epica popolare (e più in generale di
letteratura popolare) che mira al divertimento anche attraverso formule già
viste ma efficaci.
Se è del fumetto seriale il fin la maraviglia,
questa non deve essere data dalla novità, ma dalla infinita capacità di
variazione di ciò che già si conosce.
E questo è stato ben compreso a suo tempo dai canterini,
e nel secolo scorso dagli autori che hanno reso Tex un eroe.
[1]
Forse gli sarà stato chiesto se avesse letto Maupassant prima di fare Ombre Rosse: ma chi leggesse Palla di Sevo dell’autore francese (o Haycox,
che è il tramite tra questi e il film) non ritroverebbe il senso epico della
pellicola, perché Maupassant vuol raccontare altro, e adatta il tono a questo
suo scopo. Ombre Rosse è nipote di Palla di Sevo per lo spunto, ma è nipote
anche dell’Iliade per il “fattore
assedio” mediato da Fort Alamo.
[2]Ricordiamo che
abbiamo quasi sempre rinunciato ad enumerare tutte le apparizioni di una determinata
caratteristica: citare, ad esempio, tutte le apparizioni dell’espressione
formulare “vecchio cammello” oltre che lungo e noioso, sarebbe stato
assolutamente superfluo. Lo scopo di questo articolo è testimoniare le sopravvivenze,
non quella di enumerare quante volte ricorrono e tutte le loro sottili varianti.
[3] Per il concetto di paraletteratura si rimanda ancora
al già citato C. Bordoni – F. Fossati, Dal feuilleton al fumetto – Generi e
scrittori della letteratura popolare, Editori Riuniti – Collana Libri di
Base n. 90, Roma 1985, pagg. 7-9
[4] La minaccia alla prosecuzione della saga texiana
sembra dipendere più nella disaffezione del pubblico giovane a un certo tipo di
medium fumetto che nella ripetitività delle storie.
[5] Sia detto in nota con voluta punta di polemica:
questo fa di Tex un vero “romanzo popolare”, lo specchio dei sogni, delle aspirazioni alla Giustizia e dei
modelli di una parte dell’Italia del dopoguerra. Solo la spocchia
intellettualistica ed elitaria di alcuni critici non sa vedere quanto di “popolo”
ci sia nel sogno di un mondo diverso, che non è “oppio” né “la fuga del
disertore” ma “il sogno di libertà dell’ingiustamente incarcerato” (citando a
memoria Tolkien, un altro autore epico svalutato ingiustamente da una certa
critica radical chic).
[6] Questa tendenza “poliziesca” si è fatta sentire
soprattutto quando il timone della serie è divenuto pressoché esclusivo di
Claudio Nizzi, da metà degli anni ’80 a metà di quelli ’90. Il fatto che l’unica
serie esplicitamente di investigazione della Bonelli (Nick Raider) fosse stata ideata e per la gran parte scritta da
Nizzi, sembra dare un tassello importante per capire le scelte dell’autore su
Tex.
PS:
le immagini non mi appartengono e sono per lo più tratte da pubblicazioni della Sergio Bonelli Editore. Sono qui a corredo dell'articolo di critica e
analisi. Questo blog non ha fini di lucro.
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