mercoledì 30 ottobre 2013

RILEGGENDO V FOR VENDETTA - Spunti di analisi: Storie




THE SAME OLD STORY


La storia di Moore è la “solita” storia di Moore: una storia d’amore con una ambientazione fantastica, con un narratore che ci guida alla novità passando dalla tradizione. In V fa parlare con una voce nuova un tema classico, che in apparenza sembrava aver già detto tutto anni prima: non ci sono paludi, supereroi, Immateria, inferni, ma c’è la distopia.
La Gran Bretagna (anzi: l’Inghilterra) che ha fatto nascere Thomas More (nessuna parentela) e la sua Utopia [1], ha generato anche George Orwell e il suo 1984.

E proprio Orwell è il chiaro riferimento dell’“Inghilterra dopo il regno”, ma ciò non stupisca: Moore usa situazioni note per inserirci le proprie idee innovative, un punto di vista nuovo. Ciò che conta, anche in V, non è la trama (benché i colpi di scena e le intuizioni narrative geniali non manchino neppure qui), ma il linguaggio, le scelte fatte con il fumetto e per il fumetto.
“Ora vi faccio vedere cosa si può fare con immagini e parole fisse in sequenza”, sembra dirci l’autore.
E, a ben rifletterci, rimaniamo abbagliati più per **come** ci trasmette i contenuti, che per i contenuti stessi.[2]

A corona delle scelte testuali, e ad esse funzionale, ecco il disegno di David Lloyd.
E’ un disegno apparentemente opaco e monotono, che talvolta appiattisce le differenze dei volti. Eppure questo disegno oscuro è probabilmente il modo più efficace (se non l’unico) per rendere questa Londra post-apocalittica che fa da sfondo e da protagonista nella trama: dalle immagini infatti emerge uno senso di cupa angoscia, che si lega strettamente all’angoscia dei personaggi “principali”.
E’ un mondo piatto dai colori piatti [3], un mondo di facce tutte simili perché gli animi sono omologati. La maschera di V è, paradossalmente, proprio perché maschera l’aspetto più individuale in una massa di volti\maschere uniformi, figli di un regime totalitario.

L’analisi della parte grafica in questo contesto si dovrà ridurre alle poche frasi appena dette, poiché intendiamo concentrarci sull’analisi contenutistica ed ideale del testo. Un’analisi che, tuttavia, non potrà che essere parziale: troppo complessa la narrazione, troppi piani che si intersecano rivelandosi a vicenda, troppi punti di vista che si mostrano a chi vuole trovarli.

Ma questo in fondo è il destino dei capolavori: le nostre proposte di interpretazioni saranno, quindi solo due delle possibili, e chi ha letto l’opera potrebbe trovarli banali, poco importanti. Ovviamente ci piacerebbe che da queste parole qualcuno ricavasse uno spunto cui non aveva pensato.

Perché qui sta la grandezza di Moore: le sue opere, anche le “minori”, sono stratificate, ambigue (nel senso più positivo del termine), danno risposte eppure creano sempre nuove domande; possono essere lette con una distrazione figlia della schiavitù della trama o analizzate con piglio da filosofi. Comunque ci si voglia avvicinare ad esse, la soddisfazione è garantita, perché il Bardo di Northampton ha ben appreso l’oraziano concetto dell’arte: Miscere utile dulci (“Unire l’utile al dilettevole”).[4]

Come non vedere letteratura pura (a prescindere dal medium usato) in questo sviluppo della trama apparentemente criptico che apre imprevisti squarci su temi politici ed etici universali? Come non ritrovarlo in una narrazione che riesce ad essere corale eppure con dei protagonisti ben definiti, in psicologie realistiche eppure archetipiche? Come non scorgerlo in una conclusione prevedibile/ /imprevedibile che riesce a toccare il profondo della coscienza senza scadere in un patetico che risulti a è stesso?
V for Vendetta è tutto questo, e anche di più.

Dal punto di vista della letteratura noi abbiamo scelto di analizzarlo sotto due prospettive: prima l’opera come un Blidungsroman e poi come battaglia di idee.
Quindi sedetevi comodi nella vostra poltrona, gioite per la possibilità che termini il razionamento della carne, e sintonizzatevi sui 275 e 285 in onde medie.
Benvenuti in un alternativo 1997.
Ascoltate ancora una volta la Voce del Fato.




[1] il libro Utopia è nella biblioteca di V: appare nella settima vignetta di Tavola 1, la prima apparizione di V, accanto alla Capanna dello Zio Tom, al Capitale e… al Mein Kampf.



[2] l’ostilità di Moore per le trasposizioni cinematografiche delle sue opere (e siamo arrivati ormai a quattro più il film su Constantine, personaggio inventato da Moore benché la trama del film riprende una run di Ennis) sembra nascere proprio da questa pregiudiziale sul linguaggio del fumetto: Moore concepisce le sue opere fumettistiche come destinate a questo medium, e solo qui trovano la loro piena espressione. Moore sembra dirci: “Queste storie sono fatte per essere raccontate in QUESTO modo; se cambiate il modo di raccontarle, le svilite, ne fate un’imitazione mal congegnata”.



[3] Inizialmente la storia era stata ideata in bianco e nero. Quando fu ripresa (e terminata) per il mercato americano, fu sapientemente colorata da Lloyd stesso,  Dodds e Whitaker.



[4] in un’epoca in cui, con tutto il rispetto, si propone al Nobel per la Letteratura un Roberto Vecchioni, che con le sue opere non ha mai superato gli angusti confini nazionali, una candidatura al premio di Alan Moore sarebbe probabilmente da considerare con la dovuta attenzione. In fondo è un autore che ha avuto vistose ricadute mondiali della sua opera (restando nell’ambito di V, pensate Anonymous). Non nego che sarebbe molto divertente vedere il figlio dell’anarchica working class britannica con barba e anelli avvicinarsi al re di Svezia, ritirare il premio… e probabilmente lanciarsi in un discorso sull’abolizione della monarchia!

L’immagine è tratta da QUI e non mi appartiene. Qui appare a corredo dell’analisi. Questo blog non ha fini di lucro.

martedì 29 ottobre 2013

RILEGGENDO V FOR VENDETTA - Spunti di analisi: Intro




RILEGGENDO V FOR VENDETTA

Ogni tanto ci ricaschi. 

Non sai che fare, la pigrizia e la vecchiaia ti tengono lontani dalle novità, quindi ti riguardi gli X-Men di Lee. Dopo dieci secondi pensi che all’epoca non ti eri accorto che digrignavano tutti senza grande senso.

Poi vai nel settore classici.

Ok. Per Dark Knight Returns sai già che leggerai una pagina, e finirai per rileggerlo tutto. Watchmen lo stesso. 2001 Nights idem. Gilgamesh ti blocca almeno fino a quando sta sulla Terra. Toppi ti farà perdere tra le sue linee nere e i suoi bianchi pieni. Gaiman ti incanterà con Paura di cadere e Death…
Poi ti ricordi che è da un pezzo che non prendi in mano V for Vendetta. Che hai amato più di Watchmen, perché se nei Guardiani c’è la mostruosa genialità di un Dante del fumetto, la lucida perfezione geometrica della sceneggiatura, in V c’è il cuore. E sai che devi riprenderlo, rileggertelo da capo a fondo, assaporarlo, sentire i ricordi che salgono, innamorarti di Valerie, metterti sul balcone a fare le serenate rancorose alla Giustizia e non sentirti ridicolo. 

Andare a sollevare la maschera senza sollevare la maschera.

E sei nel Vortice. Perché V è la “solita” storia di Alan Moore. Perché tutte le storie di Moore parlano d’amore, in un certo senso. E qui c’è l’amore più grande che ci sia.

 “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.” 

(GV 15, 13)

Così ti immergi, ti fai catturare e ti rileggi tutto. E alla fine (potenza di un capolavoro) ti senti meglio, soddisfatto di un’esperienza che solo chi sa leggere può provare. Senti di essere meno incompetente di quanto qualcuno creda e ripeschi vecchie idee che risalgono alla prima lettura, tanti anni fa. 

E ci lavori sopra. 
Perché V non è una stella che splende, ma un impulso che muove sempre nuove idee.


L'immagine non mi appartiene, ma è stata presa da QUI , e appartiene agli aventi diritto. Qui è a semplice corredo dell'articolo. Questo blog non ha fini di lucro.

martedì 1 ottobre 2013

IMPARARE A RICORDARE - LA MORTE NELL'INCAL (INDICE)


Ed ecco i link alle diverse parti di questa nostra analisi.
Commentate, criticate, dissentite, condividete :-)

1. Introduzione: MORTE ED ETERNO RITORNO NELL'INCAL

2. LA MORTE COME MECCANISMO NARRATIVO

3. LE MOLTE FACCE DELLA MORTE

4. L'ACCETTAZIONE DELLA MORTE

5. LA NEGAZIONE DELLA MORTE




L'immagine non mi appartiene ed è qui a corredo dell'indice degli articoli. Questo blog non ha fini di lucro

IMPARARE A RICORDARE - LA MORTE NELL'INCAL 5

Termina il nostro viaggio su come il tema della Morte sia trattato nell'Incal di Jodorowsky e Moebius.
Abbiamo iniziato QUI con una INTRODUZIONE, poi abbiamo proseguito analizzando LA MORTE COME ESPEDIENTE NARRATIVO e LE MOLTE FACCE DELLA MORTE; infine abbiamo parlato della ACCETTAZIONE DELLA MORTE così come viene descritta in questo capolavoro del fumetto.


La vanità dell'immortalità: il nuovo corpo del Prez

5. La negazione della morte

 Nell'Incal la morte può essere negata, o almeno si può tentare di sottrarsi ad essa.
Il Prez diventa Necro-sonda
Questa negazione (ancora una volta con una duplice valenza) si esemplifica nelle due figure del Prez e di John Difool.

Il Prez cerca di evitare la morte creando false copie del suo corpo [1] o corpi continuamente diversi per la sua mente.
E’ uno sfuggire alla morte che rivela la sua sterilità: si tratta infatti di un falso cambiamento, aiutato dalla tecnologia, che serve solo a farlo vivere in piaceri destinati a distrarlo fino alla successiva clonazione. Simbolicamente l’ultima incarnazione del Prez sarà la Necrosonda, l’invincibile portatrice di morte, che verrà smembrata fino a ridursi a una telecamera senziente.

Jodorowsky sembra volerci dire che il Prez non è più vivo da tempo, che può solo osservare la realtà (la teleamera) senza poter intervenire su essa; la sua ultima mutazione in alleato di uno stupito Difool, è spiegato da Solune non come atto di volontà, ma perché “ha sempre obbedito al potere centrale, ed il potere centrale adesso siamo noi”.
La negazione della morte ha fatto di Sua Ofidità Maggiore, il grande serpente che cambia pelle, un involucro vuoto in cui altri pongono un contenuto.
Eppure, nell'ennesima e voluta ambiguità dell’Incal, solo tramite questo strumento la Galassia potrà arrivare al Sonno Teta (L'Incal V, 42) e sconfiggere la Tenebra.

John rifiuta la morte...
La negazione della morte di John subisce delle evoluzioni nel corso dell’opera: c'è un'evoluzione, un cambiamento perché John stesso cresce. Ovvero muore il vecchio io del protagonista, che rinasce nella continuità.
Questi cambiamenti, soprattutto all'inizio, passano attraverso il rischio della morte o la morte fisica (provvisoria) di John (vedi LA MORTE COME MECCANISMO NARRATIVO).

Inizialmente, quando viene gettato nel pozzo d’acido, John ha semplicemente ed animalmente terrore della
Orh
morte, perché si tratta di una morte fisica, e John ritiene di non essere altro che un corpo fisico.
Alla fine Difool (“The Fool”, la carta iniziale dei Tarocchi, lo stato di incoscienza dell’uomo) è cresciuto spiritualmente: non teme più una morte del corpo, una morte fisica, ma rifiuta la morte come perdita della propria individualità.
E questa è la vera differenza tra John e il Prez: il nostro eroe grida all’Incal: “Io non voglio fondermi nella tua unità! Io scelgo di essere me stesso dentro me stesso!” (L'Incal, VI, 36).
Ed è qui che John raggiunge la sua vera maturazione, con la scoperta del suo ruolo: incontrando Orh, scoprirà che l’Incal è il “portatore della somma dei sogni umani”e il germe della creazione del nuovo universo, di tutti coloro che l’hanno sognato o si sono donati perché vivesse.

John ha scelto di esserne escluso, ed ora che anela a dissolversi in questa pura coscienza, viene respinto: ciò che aveva scelto senza aver consapevolezza della scelta, viene ora affermato: lui è “il testimone eterno, la goccia che non si dissolve mai nell’oceano”. Così viene rimandato indietro nel tempo, alla sua iniziale caduta verso il lago d’acido per “imparare a ricordare”.

L’estrema fuga dalla morte (ma esiste una morte definitiva da cui fuggire?) è proprio in questo tempo
L'opera alchemica si compie
circolare che si piega su sé stesso per ricominciare: i sette predestinati tornano sulla Terra da cui si era originata la vicenda, John è solo come lo era all’inizio, l’Incal ritorna a Orh, l’universo ricomincia, John è al suo punto di partenza.

Solo ricordando sarà un ricominciare arricchito, una sorta di Eterno Ritorno nietzschiano, in cui l’uomo superiore accetta tutto il suo passato (e il ripetersi eterno della propria vita) come la condizione indispensabile per essere la creatura unica che è. 

Ma per chi conosce la filosofia di Jodorowsky, la fine era, tutto sommato, prevedibile: l’Universo che rinasce è il sogno della Galassia che medita. E come lo stesso Jodorowsky ha sperimentato nei suoi sogni lucidi, “il cervello non conosce la morte” [2].

Sta all’uomo saggio, al risveglio, trasportare gli insegnamenti ricevuti nei sogni in quel grande sogno lucido che è la realtà.


[1] Vedi il primo capitolo de Prima dell’Incal di Jodorowsky e Janetov, dal titolo I due orfani, dove il Prez si fa sostituire da un robot assolutamente identico, e così scampa dall’attentato organizzato contro di lui proprio da Difool.
[2] Psicomagia, cit. pag. 46.


Ricordare... per (non) ricominciare una volta ancora
Le immagini non mi appartengono, e sono tratte da Jodorowsky\Moebius, L'Incal, Edizioni Di. Esse, e le citazioni di cui si dà il riferimento, sono qui usate a corredo dell'analisi. Questo blog non ha fini di lucro.